Destinazione Brennero:

i rastrellamenti dei Tedeschi a Tollo

di Gabriella Toritto

Era il dicembre del ‘43 ed erano lì riparati. Erano tutti lì sotto. C’erano uomini, donne, bambini, anche neonati. Già, Renzo Brunetti, mio cugino, era nato da poco. Erano spaventati, sì, ma anche fiduciosi dell’arrivo degli Alleati.

Si diceva che sarebbero arrivati per l’8 dicembre, festa della Madonna Immacolata. Erano tutti a casa di Tito Lombardi (zio Tito), Ufficiale dello Stato Civile del Comune di Tollo.

Zio Tito ospitava i suoi parenti e compaesani. Nella cantina della sua casa, parte del palazzo della baronessa Nolli (allora adibito anche come campo di internamento di una novantina di confinati politici slavi), in prossimità del sagrato della chiesa madre di Tollo, la famiglia Lombardi aveva offerto rifugio ai parenti Brunetti, ai Toritto, ai Masciarelli, ai Polidori, al dottor Mazzoccone e alle sue figlie, al parroco, Don Giorgio Santone, alla di lui sorella, Laurina, e ad altri compaesani, in tutto circa un centinaio di persone. Vi erano anche i Caruso, Ida e Rocco Marini. Erano tutti lì, rifugiati nella grotta. Attendevano di essere liberati.

La festa dell’Immacolata tuttavia era ormai trascorsa ed erano tutti ancora nascosti e sempre più dubbiosi. Fu così che la sera del 12 dicembre, temendo il peggio, Don Giorgio Santone, ispirato e in gran segreto, assieme alle fedelissime pie donne Fedora Ciccotelli, Rosina Brunetti (mie zie, con cui ho vissuto la mia infanzia a Tollo) e Laurina Santone, si recò nella chiesa grande della Maria Santissima Assunta, per “consumare”, in comunione, tutte le “particole”, ovvero le ostie, e per evitare che queste rimanessero incustodite in preda agli ultimi tragici atti bellici che si sarebbero verificati di lì a poco.

I tedeschi erano in paese da tempo. Tollo aveva conosciuto con loro il campo di internamento. Aveva visto razzie, rastrellamenti, uccisioni. I Tedeschi irrompevano nelle case delle famiglie inermi, cercando uomini e viveri, quando andava bene.

Mio nonno materno, il vecchio Tommaso Brunetti, più volte li aveva visti entrare in casa. Tremava al solo pensiero, non per sé, ma per le due giovani figlie: Italia, chiamata anche Italina, mia madre, e zia Rosina.

È stato un uomo fortunato Tommaso! È stato sempre rispettato. Il figlio Amelio riuscì anche a sfuggire alla “caccia all’uomo“, dovendo provvedere alla moglie, Gasperina, incinta, e agli allora piccoli quattro figli.

Amelio Brunetti, mio zio, grazie a nonno Tommaso, che perorò per lui, rimase accanto alla propria famiglia anche quando il giorno di Santa Lucia, il 13 dicembre del 1943, i Tedeschi entrarono nel rifugio in cui erano nascosti. Già, per quelle famiglie, lì riparate, non vi fu la tanto attesa liberazione. Durante i combattimenti sul Sangro, esattamente nei pressi di Lanciano, la forte resistenza dei Tedeschi rallentò l’avanzata degli Alleati.

Shnel, shnel”, intimarono i nemici con i fucili puntati. Iniziò così per Tollo lo sfollamento: uno ad uno – uomini, donne, bambini – furono costretti ad uscire da quel rifugio al fine di evitare il peggio.

La famiglia Lombardi, quella di zio Tito, restò ancora per alcuni giorni in paese, obbligata a spostarsi presso la segheria Mancinelli, mentre la propria casa veniva requisita e trasformata in Comando per le successive operazioni belliche dei Tedeschi.

Le altre famiglie furono forzate a scendere nella piazza del paese e lì indotte a salire su due camion. Era sera inoltrata. Era buio. Gli uomini furono in buona parte rastrellati. Ad Amelio Brunetti fu concesso di restare assieme ai propri cari. Il più piccolo dei suoi figli, Renzo, mio cugino, aveva solo 25 giorni.

Casa Brunetti, quella di mio nonno Tommaso, era proprio lì in piazza e i Tedeschi concessero a mio zio Amelio di rientrare nella propria abitazione per prendere un po’ di viveri e qualche coperta. Ma mio zio si attardava e i Tedeschi avevano fretta. Volevano allontanarsi dal paese al più presto. Temevano l’arrivo degli Alleati. Amelio, uscendo di casa, era lento, camminava a fatica. Il sacco di farina e le coperte pesavano. Un tedesco, urlando minaccioso, gli andò contro per puntargli il fucile in petto. Allora Anna, mia cugina, oggi suora, di nove anni, la più grande fra figli e nipoti, si scagliò contro il soldato e gli morse una mano. Il tedesco, poco prima tanto bellicoso, doveva essere anch’egli padre, poiché comprese il gesto ed accarezzò la sua testolina.

I camion tedeschi, diretti a Chieti e carichi delle famiglie Brunetti, Toritto, Ciccotelli, Marini, Caruso, Santone e Mazzoccone, fecero appena in tempo ad allontanarsi dal centro del paese quando la piazza fu bombardata.

A Chieti Scalo gli sfollati vennero raccolti nella Manifattura di Tabacco, piena di pidocchi, dove restarono per due, tre giorni. Furono raggiunti dai Lombardi e dai Piattelli la notte del 15 dicembre.

Il 17 dicembre del 1943 furono tutti caricati su carri bestiame alla stazione di Chieti Scalo con destinazione Brennero.

Pieni di pidocchi, affamati, annullati della loro dignità, pigiati in vagoni freddi e sporchi, spaventati per il loro destino, attraversarono l’Appennino abruzzese, diretti a Roma. Passando per Sulmona, Collarmele, Celano, Tagliacozzo, persone degne e solidali si recarono in stazione per offrire pane, latte, acqua, olio al passaggio del treno della morte.
Ah! L’olio! Annina Brunetti Lombardi, cugina di mia madre, aveva visto scivolare dalla mano di uno dei suoi figli una bottiglia d’olio che finì a terra frantumandosi e riversando tutto l’olio.
Ah! L’olio! Allora l’olio era raro, merce preziosa, così come la farina! Ci potevi campare!

Ma ciò che più affliggeva il cuore di zia Annina era il cattivo presagio dell‘olio riverso a terra. Così si diceva in Abruzzo. E così fu. Quella guerra, quello sfollamento, quella bottiglia d’olio finita a terra costarono a zia Annina Brunetti Lombardi la perdita di un bellissimo figlio.

A Roma Gasparino Masciarelli e famiglia scesero per essere ospitati da amici. Don Giorgio Santone e la sorella Laurina scesero a Firenze, dove avevano un fratello.
Da Firenze il treno, risalendo verso Nord, proseguì per Bologna, passando per ponte Lago Oscuro, sul Po, procedendo verso il Brennero.

Era notte quando attraversarono il Po. Dati i tempi, nonno Tommaso Brunetti invitò tutti ad osservare il grande fiume con attenzione, poiché allora a degli sfollati appariva “evento irripetibile!” Fu tuttavia difficile scrutare il corso d’acqua attraverso l’oscurità della notte e le fessure del carro bestiame.

Intanto il treno proseguiva la sua corsa attraverso la pianura nebbiosa e fredda. I “passeggeri” erano sempre più stremati. Erano in viaggio da una settimana. Era notte fonda quando vi fu l’ennesima fermata.

Italia, mia madre, avvertì fra le parole concitate dei soldati tedeschi… “Vicenza …….” Ebbe un tuffo al cuore … Forse si era sbagliata a capire? Quindi si animò di tutto il coraggio possibile. Avanzò verso i soldati tedeschi e chiese in quale fermata fossero. Le confermarono di essere giunti alla stazione di Vicenza. Allora, rivolgendosi sempre ai militari, li pregò di poter parlare con il cognato Michele Ventrella, impiegato nell’Economato delle Ferrovie di Verona ma residente a Vicenza.
La sua richiesta fu accolta e a notte inoltrata zio Michele, dopo avere riabbracciato le cognate, mia madre e zia Costanza (sorella di mio padre, allora in guerra) riuscì a negoziare con i Tedeschi, facendo scendere non solo i suoi più stretti familiari: i Toritto, i Brunetti, i Ciccotelli, i Lombardi, ma anche la parentela più lontana.

La notizia si sparse subito di vagone in vagone e molti furono i compaesani che ottennero di scendere in quella stazione.

I Tollesi furono ospitati a Vicenza e dintorni, mentre il treno riprese la sua folle corsa: destinazione Brennero.

Era il 23 dicembre del 1943. Di lì a pochi giorni sarebbe stato Natale. Il Natale del ‘43 per la città di Vicenza fu tragicamente memorabile a causa del terribile bombardamento delle fortezze volanti, i B29 degli Alleati!

Alle famiglie vicentine che ospitarono gli sfollati, questi ultimi parvero senza vita. La solidarietà fu lodevole. Vicenza, Malo, Arzignano, Sandrigo, Schio misero a disposizione case, scuole per l’accoglienza; coperte, cibo per la sopravvivenza; tutto il cuore per “riscaldare” e far sentire meno soli gli sfollati.

-Per anni gli sfollati hanno raccontato ai loro figli, ai nipoti l’orrore della guerra, nonché la grandezza di tanta generosità ed ospitalità. Anche queste sono pagine di Storia.

Si ricordano doverosamente per le testimonianze rese: Italia Brunetti, Anna Brunetti (Suor Agata), Tommaso Brunetti, Ivonne Lombardi Ambrosini, Edgardo Lombardi, Costanza Toritto, Ilda Ventrella Scatena.

-Chi dovesse riconoscersi nel racconto è pregato di scrivere al giornale o al blogspot dell’autrice al link seguente https://gabriellatoritto.blogspot.com/search/label/Racconto?m=0

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