Contro tutte le gerarchie

   di Marco Tabellione

 In un passo fulminante di Al di là del bene e del male Nietzsche descrive due atteggiamenti apparentemente antitetici ma in realtà complementari. Da un lato gli assertori della propria volontà, idolatri di sé stessi, esaltatori della causa sui (ognuno è artefice di sé stesso) dall’altra coloro che, credendosi inferiori alle necessità della vita, ripongono le cause dell’esistenza al di fuori del controllo umano. Per Nietzsche si tratta di due comportamenti di comodo: i primi tendono a sostenere che l’uomo è causa del suo destino perché vogliono arrogarsi la responsabilità del potere e la gestione della vita altrui, i secondi invece attribuiscono alle necessità della vita le radici degli accadimenti, perché, al contrario, non solo non vogliono addossarsi l’onere di governare l’esistenza degli altri, ma preferiscono demandare anche la gestione della propria. In sostanza, nelle considerazioni di Nietzsche ci troviamo di fronte a una negazione filosofica della tendenza della umanità a cercare in modo accanito qualcuno cui affidare il controllo dell’organizzazione politica, intendendo politica nel senso di polis, cioè di comunità in senso lato.

    La necessità di un potere, del dominio di un’autorità, spesso è stata imposta razionalmente per spingere all’ossequio; in effetti fa parte dell’autoritarismo far credere alla necessità di una direzione unica. Come ha dimostrato Freud in Psicologia della massa, la relazione con il leader spesso è di tipo libidico e dà vita ad un rapporto che lo stesso Freud definisce ipnotico. In sostanza, l’accettazione delle gerarchie si affermerebbe in un ambito in cui la consapevolezza diventa minoritaria, ed emergono le pulsioni dell’inconscio, le quali vengono liberalizzate, come sostiene lo stesso Freud, determinando non solo gli atteggiamenti irrazionali della massa e della folla, che l’iniziatore della psicanalisi considera vicini alla barbarie, ma anche l’affidarsi affettivo, di massa e folla, a tipi umani dirigenti e autoritari. Tali relazioni perverse vengono scatenate, secondo Freud, da fenomeni di identificazione, di immedesimazione e persino di innamoramento patologico.

    Dunque il dramma della gerarchia è che non solo viene imposta e viene voluta da coloro che detengono il potere, ma è cercato e accettato anche da coloro che subiscono il potere, i quali ovviamente sono anche ben disposti a prendere il posto di chi lo detiene. Il potere è dominio, nel mito biblico il dominio presuppone la responsabilità degli uomini, i quali domineranno la terra nel senso che la controlleranno ma saranno anche custodi di essa; e ciò in una chiave in cui neanche il testo sacro contribuisce a sceverare fra dominio e cura. Così l’uomo vive costantemente con l’idea della necessità del potere, benché esso sia male. Ciò accade quando si spaccia per realistica una situazione imposta da pochi, che considerano realtà oggettiva, un campo che invece è stato delimitato e delineato da essi stessi. Da tali premesse è evidente che la Storia, nel senso di passato determinato in una ricostruzione narrata, si presenta sotto la forma della risultante di una continua lotta combattuta tra poteri. Per quanto l’evoluzione della civiltà, nobilitata dal progresso culturale, consenta di iniettare nel processo storico giudizi definitivi imprescindibili, perché hanno alla loro base la difesa della vita e della dignità umana. In altre parole, non possiamo considerare la condanna dell’olocausto contro gli ebrei come la conseguenza di una visione derivata dai vincitori. Anzi, piuttosto occorre ancora ribadire quella condanna, in una contemporaneità nella quale i popoli continuano ad essere vittime delle angherie violente di chi gestisce il potere e si arroga il diritto di decidere per le collettività.

    Sia Freud sia Nietzsche hanno spiegato bene i motivi del persistere del rapporto gerarchico tra gli uomini mostrando il carattere complementare del potere e di chi lo subisce, una strana complicità che finisce però per generare tanta sofferenza. Nonostante la democrazia venga considerata un valore inoppugnabile, in realtà viene continuamente negata dalla diffusione delle gerarchie. Anzi il sistema odierno nel quale democrazia e gerarchie coesistono si afferma come una specie di ossimoro, una contraddizione di termini, che abbiamo il dovere e la responsabilità di continuare a mettere in discussione, in difesa del senso autentico che attribuiamo alla civiltà.

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