La vita che non muore di Marco Tabellione

Chiare Edizioni – marzo 2021

di Gabriella TORITTO

La vita che non muore è un romanzo, edito da Chiare Edizioni nel marzo 2021, scritto da Marco Tabellione, poeta, scrittore e docente.

Il romanzo ha come sfondo la musica che innalza e avvicina l’uomo al Divino, all’Universo.

Stefano, il protagonista, è un pianista di successo che insegue il sogno di scrivere ed eseguire un’opera sinfonica dalle inaudite sonorità. Una sera, dopo un concerto, non prestando ascolto alle suppliche e agli avvertimenti profetici della moglie, da cui vive separato, ma verso cui prova, ricambiato, ancora profondi legami d’amore, si avvia verso casa premendo un po’ troppo sull’acceleratore dell’automobile.

Si risveglia in una stanza d’ospedale, ormai privo di ogni sensibilità ed inseguito da un impenetrabile ed inquietante mistero che avvolge la sua esistenza fin dal concepimento.

È la vita che non muore il filo conduttore del racconto, nonché la spinta vitale da cui è avvolto l’universo, che pulsa secondo sonorità profonde, mai ascoltate, che Stefano vorrebbe tradurre nel pentagramma; ma ora, inabile com’è, preferirebbe la morte, che, improvvido, cerca in ogni modo.

La vita però trionfa e la bellezza salva il mondo.

D.1. All’inizio del romanzo mi ha colpito la riflessione secondo cui, a fronte di tanta sofferenza e malvagità che riscontriamo nel mondo, l’arte sembra essere “immorale” poiché prepotente come la vita stessa che sgorga anche nei terreni più rocciosi o sabbiosi. Tale riflessione iniziale stride con la conclusione del romanzo in cui l’arte e la bellezza, di dostoevskijana memoria, salvano il mondo.

R.1. Le opere artistiche, come la vita, sono spesso cariche di contraddizioni, che non sempre possono essere negate né risolte. Nel caso del mio libro va detto che quella contraddizione, che Lei ha brillantemente rilevato, riguarda le opinioni di due personaggi differenti, poste all’inizio e a conclusione del romanzo. Nel finale si prova proprio a rispondere e a negare quell’affermazione iniziale secondo cui l’arte sarebbe immorale. In realtà l’arte non è immorale, quando, nella forza spirituale che essa comunica, consente alla nostra vita di elevarsi dalla materialità e dunque dal dolore e dalla tragicità dell’esistenza. L’arte non può salvare direttamente le vite umane; per certi versi rappresenta un dispendio di energie e denaro che potrebbero essere impiegati direttamente per aiutare chi soffre. Ma non sempre si può e si deve agire direttamente. Durante il concerto finale la moglie stessa convince Stefano che non ha sprecato il denaro per la sua esibizione, se con quei fondi ha creato una musica che ha comunque permesso di salvare vite umane anche se da un punto di vista tutto spirituale.

D.2. Nel romanzo Lei si sofferma a considerare il concetto di eternità che fa coincidere esattamente “in ciò che succede”. E “ciò che succede”, “succede per sempre” – Così Lei scrive. –

È successo per sempre”, evoca “i quanti” che permangono nello spazio e nel tempo, seppur invisibili, così come permane l’amore che, come la vita, non muore.

R.2. L’eternità, che in fondo è il tema fondamentale del romanzo, è una dimensione che di solito è lasciata investigare dalle religioni. In realtà, per quanto mi riguarda, è un pensiero fisso, una costante anche della mia attività poetica, come nella mia ultima raccolta L’eternità dell’acqua. Quella frase, che Lei ha giustamente sottolineato, è il risultato di continue riflessioni che credo chiunque svolga nel segreto della propria mente, e che rimandano a due domande fondamentali: “Perché la vita esiste? Può essere eterna? Mi è sembrato di poter rispondere con un’evidenza, quasi una banalità. È evidente, infatti, che quello che non potrà mai essere cancellato, e che dunque è eterno, è tutto ciò che abbiamo vissuto e che va ad alimentare la nostra memoria e la nostra coscienza. La nostra coscienza rappresenta una forza spirituale in sé capace di trascendere il tempo, di sfuggire all’istante che consuma tutto e di dare un senso al nostro vivere per la morte. La coscienza dell’uomo, la sua capacità di esprimersi nell’arte, credo sia questo il vero miracolo della natura.

D.3. “Lo sai che le persone non muoiono?” A più riprese, attraverso una narrazione incalzante, trepidante ed avvincente, ritorna il tema dell’immortalità e dell’eternità che costituisce il leitmotiv del romanzo, il quale si snoda attraverso quattro sezioni che richiamano i quattro elementi cosmogonici: Acqua, Fuoco, Terra, Aria, a spiegare la profonda connessione tra il microcosmo umano e il macrocosmo naturale.

Lo stesso pentagramma è la rappresentazione dei quattro elementi metafisici dell’Acqua, dell’Aria, del Fuoco, della Terra, più l’elemento dello spirito. I cinque elementi sintetizzerebbero le forze elementali, spiritiche e divine dell’Universo, che sono alla base dell’Opera della Creazione. I quattro elementi dell’Acqua, dell’Aria, del Fuoco, della Terra, uniti tra loro nel corpo vivente, si separerebbero col sopraggiungere della morte.

R.3. Anche in questo caso Lei è stata acuta nel cogliere i contenuti metafisici del romanzo. Le quattro parti, ispirate agli elementi di Empedocle, accompagnano i quattro momenti della vita del musicista. Il periodo della crescita è legato alla Terra, cioè alle radici, all’humus culturale; poi c’è il periodo del Fuoco, che segna il momento della massima realizzazione energetica e vitalistica. Poi arriva il periodo dell’Acqua, il momento della saggezza, dell’equilibrio, scaturito dal dolore, è il momento della capacità di aderire come un liquido alla realtà. Poi, infine, giunge il momento del compimento spirituale, l’età dell’Aria, che descrive la parte finale della vita del musicista, in una conclusione dove ho voluto, attraverso l’arbitrio della scrittura, fingere che la spiritualità, cioè quella dimensione a cui mi riferivo prima e di cui neanche gli atei possono negare l’esistenza, possa esistere di per sé, possa esistere slegata dalla materia. Mi sono chiesto: e se la nostra coscienza, che è spirituale, potesse in qualche modo essere in collegamento con il mistero dell’essere, “il mare dell’essere” come lo chiama Dante? Questa utopia segna la fine del romanzo, ma è ovviamente una risposta poetica, di cui non posso avere una certezza razionale.

D.4 Come è nato il romanzo? Quali gli eventi ispiratori?

R.4. Il mio è sempre stato un linguaggio poetico, la mia vocazione è poetica. La poesia però è un’arte per pochi, ha una cassa di risonanza davvero ridotta. Questo non è un problema perché lo scrivere ha valore in sé, è un modo di essere, non di cercare il successo. Però può essere incoraggiante riuscire a cogliere con la nostra scrittura la sensibilità di un’altra persona, e con un romanzo è più facile. Ma oltre a ciò, il romanzo vuole essere un inno all’arte e alla capacità espressiva dell’uomo, che credo sia il prodotto più puro della coscienza umana. L’arte, intatti, è immune da quelle ragioni economiche e utilitaristiche che investono ogni branca della nostra esistenza. L’economia riesce a piegare tutto, ma non l’arte, se per arte intendiamo non il prodotto, bensì il bisogno e l’impulso di esprimerci. L’arte vera non è mercificabile, non si vende. L’arte è pura, ed è forse l’unica dimensione dell’uomo rimasta pura. Ovviamente mi riferisco al momento iniziale e creativo dell’arte, che non corrisponde mai ad un immediato bisogno commerciale. Inoltre l’arte è l’unico spazio non conflittuale dell’uomo, l’unico ambito in cui non è possibile rinvenire la conflittualità tipica dell’essere umano. Ogni relazione è sempre una relazione di potere dell’uno nei confronti dell’altro; il rapporto stretto tra artista e fruitore, invece, è libero sia dal potere sia dalla lotta e dalla competizione. Questo è il segreto dell’arte, e questo segreto si amplifica oltremodo con la musica, che è magica, ecco perché non potevo non dedicarle un romanzo.

D.5. È soddisfatto della sua opera? Quali sono i suoi prossimi impegni?

D.5. Sono soddisfatto della Vita che non muore nella misura in cui ho firmato il visto si stampi per l’editore, Arturo Bernava. Ma in realtà non si è mai soddisfatti; non si scrive per gli altri, non si scrive neanche per sé stessi, si scrive perché scrivere è un modo di essere, perché fermare e cercare di eternare il linguaggio interiore che ci scorre dentro è un modo di affrontare la vita, e di renderle omaggio. E questo non finirà mai per me, non potrò mai dire sono arrivato, proprio perché non cerco di arrivare da qualche parte, è piuttosto il viaggio che mi interessa, perché è il viaggio, cioè la scrittura, che mi rende vivo. È ciò che alimenta anche il mio lavoro di insegnante, a cui sono giunto proprio attraverso la scrittura e la letteratura, e ci sono giunto con un sogno: illuminare con la poesia la vita degli alunni così come la poesia ha illuminato la mia. Sto lavorando ad un nuovo saggio in cui utilizzo i poeti per delineare un’utopia, il sogno di una umanità nuova, capace di andare al di là dell’utilitarismo, delle conflittualità e della materialità. Forse è possibile, come sosteneva Kant, trattare gli altri non come strumenti ma come fini, è possibile giungere a considerare il rispetto dell’altro come un valore sacro; anche perché questa è l’unica via che ci garantisce dal male: non farlo agli altri sperando che non ci venga fatto. Tra le nuvole, vorrei intitolare così il libro, perché lì “dalle nuvole”, lì dove sono di solito i poeti e gli artisti, si può guardare la vita dall’alto e, forse, comprenderla meglio.

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