Don Giacomo Alberione. La “Buona Stampa” e le Edizioni Paoline
Fin dagli inizi del ventesimo secolo i pontefici della Madre Chiesa di Roma posero l’accento sulla “bontà” delle nuove invenzioni, specialmente delle tecnologie della comunicazione al fine dell’evangelizzazione Urbi et Orbi.
In Miranda Prorsus – La meravigliosa invenzione – trentottesima enciclica di Papa Pio XII, si legge che le invenzioni tecniche, benché frutto dell’ingegno e del lavoro umano, sono pur sempre dono di Dio, da cui proviene ogni cosa “buona e giusta”. Infatti Dio non solo dà l’esistenza ad ogni creatura, ma, dopo averla creata, la conserva e la sviluppa.
Papa Pacelli riteneva che alcuni dei nuovi mezzi tecnologici avrebbero consentito di moltiplicare le forze e le possibilità fisiche dell’uomo nonché di migliorare le sue condizioni di vita. Altri avrebbero coinvolto la vita dello spirito, in quanto, attraverso le espressioni artistiche, avrebbero contribuito alla diffusione delle idee e offerto alle persone la facile fruizione di immagini, notizie e insegnamenti, quale nutrimento della mente anche nelle ore di svago e di riposo. Per Papa Pio XII fra le invenzioni del ventesimo secolo, riguardanti l’intrattenimento e l’informazione, quelle che registrarono un notevole sviluppo furono il cinematografo, la radio e la televisione.
Dunque la Chiesa accolse fin dall’inizio e con entusiasmo le nuove tecnologie ma rimase con materna ansia e vigilante sollecitudine a proteggere da ogni pericolo i suoi figli, ormai avviati sulla strada del progresso. Infatti già da quei tempi era acclarato che i nuovi mezzi tecnologici avrebbero esercitato un potente influsso sul modo di pensare e di agire degli individui e delle comunità. E, così come l’apostolo Paolo si era avvalso delle lettere (Le Epistole) per comunicare con le Comunità cristiane diffuse intorno al mar Mediterraneo e per evangelizzare i Gentili, la Chiesa fece proprie le nuove tecnologie di comunicazione per diffondere il messaggio dell’eterna salvezza, messaggio d’incomparabile ricchezza e potenza che ogni uomo, ogni anima, al di là del paese o del tempo cui appartiene, deve potere accogliere.
Ancor prima di Papa Pacelli, il 12 febbraio 1931 fu Pio XI, primo fra tutti, a servirsi della mirabile invenzione marconiana con un radiomessaggio attraverso i cieli a tutte le genti e ad ogni creatura, alla presenza dello stesso inventore, Guglielmo Marconi, e dell’allora Segretario di Stato, Eugenio Pacelli, divenuto più tardi Papa Pio XII.
Nella storia della Chiesa, tuttavia, l’uomo che più di tutti seppe coniugare le invenzioni tecnologiche con l’evangelizzazione fu di certo Don Giacomo Alberione, definito anche l’imprenditore di Dio.
La sua storia ebbe inizio a San Lorenzo di Fossano, in provincia di Cuneo, dove Giacomo Alberione nacque il 4 aprile 1884 nella cascina delle Nuove Peschiere. Il papà Michele e la madre, Teresa Allocco, ebbero anche altri figli: Giovenale, Francesco, Giovanni, seguiti da una sorellina, che morì nel primo anno di vita, e dall’ultimo fratello Tommaso. Quella di Giacomo fu una famiglia di poveri contadini, profondamente cristiana e laboriosa, che riuscì a trasmettere ai propri figli una forte educazione al lavoro e un’incrollabile fede nella Provvidenza. Il 5 aprile, il giorno dopo la nascita, Giacomo ricevette il Battesimo nella cappella dedicata a San Lorenzo.
Il progetto di Dio su Giacomo cominciò ad evidenziarsi molto presto. Infatti in prima elementare, interrogato dalla maestra Rosa Cardona su cosa avrebbe fatto da grande, egli rispose con chiarezza: «Mi farò prete!». E così fu.
Gli anni della fanciullezza e dell’adolescenza furono orientati in tale direzione.
Nell’abitazione di famiglia il parroco don Montersino aiutò Giacomo adolescente a prendere coscienza della vocazione e a rispondere alla chiamata del Signore. Nel Seminario di Bra, dal 25 ottobre 1896 al 7 aprile 1900, trascorse quattro anni ginnasiali. A 16 anni Giacomo entrò nel Seminario di Alba, dove incontrò il canonico Francesco Chiesa, professore di filosofia e di teologia dogmatica e morale, il quale gli fu padre, guida, amico, consigliere per 46 anni. Ormai giovanissimo sacerdote pregò molto, studiò e si dedicò alle attività di predicazione, catechesi e conferenze nelle parrocchie della diocesi. In particolare approfondì testi che lo illuminarono e lo aggiornarono sulla situazione della società civile ed ecclesiale e sulle necessità dell’uomo del suo tempo. Si pose spesso il seguente interrogativo: verso dove cammina questa umanità?
Durante il percorso pastorale, però, si sentì chiamato ad altra missione: una missione nuova, eclettica nei mezzi e nelle strutture, al fine di predicare il Vangelo a tutti i popoli, nello spirito dell’Apostolo San Paolo. Avvertì il compito di dovere portare gli uomini a Dio e Dio agli uomini, utilizzando i moderni mezzi di comunicazione.
“Appunti di teologia pastorale” e “La donna associata allo zelo sacerdotale” (pubblicati rispettivamente nel 1912 e 1915) sono due importanti suoi libri, maturati in quegli anni, che ci rivelano il pensiero e l’orientamento della nuova missione da cui Giacomo si sentì “chiamato”. Attraverso la preghiera e la riflessione Don Alberione prese consapevolezza che la missione di evangelizzare il mondo doveva essere assunta e realizzata da persone consacrate. Disse e amò ripetere spesso: «Le opere di Dio si fanno con gli uomini di Dio». A conclusione del 1900, Anno Santo, fortemente colpito dall’enciclica di Papa Leone XIII Tametsi futura Prospicientibus, dedicata a Gesù Cristo Redentore del genere umano, Don Giacomo Alberione assecondò l’invito potente della grazia divina. Rivelò infatti che nella notte del 31 dicembre 1900, sostando per ben quattro ore in adorazione davanti al Santissimo Sacramento, esposto solennemente sull’Altare della Cattedrale di Alba, intravide una “particolare luce” provenire dall’Ostia. Da quel giorno avvertì di essere “profondamente obbligato a far qualcosa per il Signore e per gli uomini del nuovo secolo”, “obbligato a servire la Chiesa” con i nuovi mezzi tecnologici, frutto dell’ingegno umano.
Nacque da tale esperienza mistica l’espressione «Siete nati dall’Ostia, dal Tabernacolo!» con cui Don Alberione si rivolgeva a tutti i suoi figli e figlie spirituali delle varie congregazioni da lui fondate.
Il 29 giugno del 1907, sabato, festa dei santi apostoli Pietro e Paolo, Giacomo Alberione fu ordinato sacerdote da Monsignor Giuseppe Francesco Re. Il giorno dopo, Don Alberione celebrò la prima Messa solenne a Cherasco, sempre in provincia di Cuneo. Nei primi anni di sacerdozio Don Giacomo Alberione si dedicò particolarmente allo studio della morale, in ordine all’ufficio di confessore, e della pastorale, in ordine alla cura diretta delle anime. Nei pochi mesi di apostolato pastorale diretto incontrò il giovane Giuseppe Giaccardo che per lui divenne ciò che Timoteo fu per l’Apostolo Paolo. In quel tempo maturò il ruolo che la donna avrebbe dovuto avere nell’apostolato. Il 20 agosto 1914, mentre a Roma moriva il santo pontefice Pio X, ad Alba Don Alberione, rispondendo alla “chiamata”, diede inizio, “in forma sobria, quasi dimessa alla Famiglia Paolina con la fondazione della Pia Società San Paolo. Uomo discreto e silenzioso, sebbene vulcanico nel pensiero e nell’azione, Don Alberione si sentì strumento di Dio, mosso dalla pedagogia divina che ama “iniziare sempre da un presepio”, nel silenzio e nel nascondimento.
La famiglia umana e religiosa, a cui Don Alberione si ispirò, si compose di fratelli ma anche di sorelle, dato che egli era ben conscio dell’importante ruolo esercitato dalla donna nel “fare del bene” per la gloria di Dio e per la salvezza dei fratelli. Fu Teresa Merlo, una ventenne di Castagnito (Cuneo), la prima donna che seguì Don Alberione. Il 5 giugno 1915, con l’ausilio di Teresa, Don Alberione fondò la prima comunità femminile della futura Pia Società Figlie di San Paolo. Tra difficoltà di ogni genere, la “Famiglia” crebbe e si sviluppò. Le vocazioni maschili e femminili aumentarono e con esse l’apostolato si delineò e prese forma, tanto che nel dicembre del 1918 vi fu la prima partenza di “figlie” verso Susa. Ebbe così inizio una coraggiosa storia ricca di fede e di entusiasmo giovanile, che diede luogo ad uno stile, denominato “alla paolina”. Il cammino fu lento, faticoso ma ricco di frutti e di impensabile progresso! Dio fu sempre presente nella vita e nella realizzazione dei disegni di Don Giacomo e diede segni evidenti della sua Provvidenza e volontà. Fu solo Dio a volere la Famiglia Paolina.
Intanto alcuni anni prima, il vescovo di Alba, Monsignor G. Francesco Re, aveva incaricato il sacerdote Giacomo di dirigere il settimanale della diocesi, Gazzetta d’Alba. In seguito nacque la Scuola Tipografica Piccolo Operaio, quale nucleo, seme della futura Pia Società di San Paolo, per l’apostolato della stampa. Il 25 ottobre 1918 uscì il primo numero della pubblicazione Unione Cooperatori Buona Stampa, organo di unione tra la Pia Società San Paolo e i suoi Cooperatori, e dei Cooperatori tra loro.
Tanta operatività, tanta laboriosità furono purtroppo bruscamente interrotte nel luglio del 1923 quando Don Alberione si ammalò gravemente. Il responso dei medici non lasciava alcuna speranza. Se non che, dopo qualche tempo, contro ogni previsione della medicina, Don Alberione riprese miracolosamente il proprio cammino. In seguito egli stesso rivelò di essere stato guarito da San Paolo. Da quel momento nelle cappelle Paoline apparve la scritta che in sogno o in rivelazione il Fondatore ricevette dal Divin Maestro: “Non temete. Io sono con voi. Di qui voglio illuminare. Abbiate il dolore dei peccati”.
Sempre febbrile nel suo operato, nel 1924 Don Giacomo costituì la seconda congregazione femminile: le Pie Discepole del Divin Maestro, per l’apostolato eucaristico, sacerdotale, liturgico. Don Alberione chiamò a guidarla la giovane Orsola Rivata, oggi Venerabile e, si spera, prossima alla beatificazione.
Ormai il sogno di Don Giacomo Alberione era divenuto realtà. In quel periodo molte furono le case “filiali” fondate in Italia e all’estero, attraversando i tre oceani. A Roma Don Alberione inviò il suo fedele collaboratore Don Giuseppe Timoteo Giaccardo, il quale giunse nella capitale il 15 gennaio del 1926 con alcuni alunni della Scuola Tipografica Editrice, seguiti poi da un gruppetto di “Figlie”. Di fronte al progresso inarrestabile della scienza e della tecnica Don Alberione comprese che bisognava “correre”, che la Chiesa non poteva indugiare e restare indietro. Pertanto individuò le modalità più celeri per far giungere il messaggio evangelico ad ogni uomo in ogni angolo della Terra.
Nel 1924 pensò anche ai ragazzi, facendo pubblicare per loro Il Giornalino.
Oltre ai libri, pubblicò i periodici. Nel 1931 nacque Famiglia Cristiana, rivista settimanale il cui compito fu/é quello di alimentare la vita cristiana delle famiglie. Nel 1932 fece pubblicare “La Madre di Dio” “per svelare alle anime le bellezze e le grandezze di Maria”. Nel 1952 fu pubblicata per la prima volta “Via, Verità e Vita”, rivista mensile per la conoscenza e l’insegnamento della dottrina cristiana. Sempre nello stesso anno uscì “La Vita in Cristo e nella Chiesa”, periodico con lo scopo di far “conoscere i tesori della Liturgia, diffondere tutto quello che serve alla Liturgia, vivere la Liturgia secondo la Chiesa”.
Poi la guerra che interruppe l’infaticabile attività, ripresa dalla fine del 1945, quando Don Alberione iniziò a viaggiare attraverso i vari continenti al fine di incontrare e confermare nelle loro missioni i suoi fratelli e sorelle in Cristo. Egli fu sempre proteso in avanti, più intento a pensare a ciò che doveva essere ancora realizzato piuttosto che a guardare ciò che era già stato fatto. Si dedicò anche alla radio. La prima trasmissione radio sperimentale avvenne il giorno di Natale del 1948. Alle ore 08:00 precise la “Radio San Paolo” iniziò a chiamare gli ascoltatori precedentemente avvisati. Alle 08:10 Don Alberione, molto emozionato, davanti al microfono cominciò a parlare.
Il decennio 1950-60 vide l’affermazione e il consolidamento definitivi della Famiglia Paolina. Fu un moltiplicarsi di vocazioni, fondazioni, edizioni, iniziative molteplici, impegno nella formazione, nello studio, nella povertà.
Don Alberione si ritrovò alla guida di circa diecimila persone (compresi i Cooperatori Paolini) tutte unite fra loro dallo stesso ideale di santità e di apostolato attraverso gli strumenti della comunicazione sociale per l’avvento di Cristo nelle anime e nel mondo, tanto da investire anche sul cinema. Per svolgere l’attività cinematografica, nel 1938 il sacerdote costituì la Società Anonima Romana Editrice Film (REF), prima denominazione della San Paolo Film. Le attività furono molteplici ed indefesse. Sarebbe lunghissimo elencarle.
Di Don Alberione mi preme tuttavia ricordare il suo legame con San Pio da Pietrelcina e l’affetto filiale e fraterno con Papa Paolo VI. Il Pontefice, il 28 giugno 1969, nell’Udienza concessa al Primo Maestro e ad una folta rappresentanza di membri della Famiglia Paolina, disse di Don Giacomo, allora ottantacinquenne: “Eccolo: umile, silenzioso, instancabile, sempre vigile, sempre raccolto nei suoi pensieri, che corrono dalla preghiera all’opera, sempre intento a scrutare i “segni dei tempi”, cioè le più geniali forme di arrivare alle anime, il nostro Don Alberione ha dato alla Chiesa nuovi strumenti per esprimersi, nuovi mezzi per dare vigore e ampiezza al suo apostolato, nuova capacità e nuova coscienza della validità e della possibilità della sua missione nel mondo moderno e con i mezzi moderni. Lasci, caro Don Alberione, che il Papa goda di codesta lunga, fedele e indefessa fatica e dei frutti da essa prodotti a gloria di Dio ed a bene della Chiesa”.
E quella di Don Alberione fu veramente “Buona Stampa”, stampa e comunicazione costruttrici a vantaggio e per il bene dell’umanità.
Don Giacomo Alberione visse ottantasette anni. Morì il 26 novembre del 1971, alle ore 18:25. Un’ora prima Papa Paolo VI lo visitò e si inginocchiò davanti al suo letto, nella stanza di via Alessandro Severo 58 in Roma. Lo confortò con la sua visita e benedizione.
Papa Montini non nascose mai la grande ammirazione e venerazione provate per il fondatore delle Edizioni Paoline.
Il 25 giugno 1996 Papa Giovanni Paolo II firmò il Decreto con cui si riconobbero le virtù eroiche e il conseguente titolo di Venerabile da attribuirsi a Don Giacomo Alberione. Lo stesso Pontefice lo beatificò solennemente a Roma il 27 aprile 2003.