La guerra in Ucraina è una guerra metafisica
di Domenico Di Carlo
Per comprendere fino in fondo la pericolosità del momento che l’Europa Occidentale, la Nato e il mondo intero stanno attraversando, bisogna soffermarsi su due riflessioni che sono anche le premesse della guerra fra la Russia e l’Ucraina.
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Nelle chiese cristiane ortodosse dell’Oriente il patriarcato ecumenico di Costantinopoli è riconosciuto come il capo spirituale di tutti i cristiani ortodossi, essendo tra le più antiche istituzioni religiose del mondo. In questo scenario religioso il Patriarca di Mosca occupa il quinto posto, nonostante sul piano numerico annoveri un numero maggiore di fedeli rispetto alle altre, dopo il patriarcato ecumenico di Costantinopoli, il patriarcato ortodosso di Alessandria d’Egitto, la chiesa greco-ortodossa di Antioca e la chiesa greco-ortodossa di Gerusalemme. Proprio sulla base di tale forza ecumenica, Kirill, Patriarca di Mosca, intende sovvertire le consolidate storiche relazioni tra la chiesa ortodossa russa e quella di Costantinopoli. In passato la chiesa ortodossa ucraina si era separata da quella russa, non accettando più la sua giurisdizione, anelando ad una propria autocefalia, e per questo scomunicata dal patriarcato di Mosca. Ora, senza la chiesa ortodossa ucraina, l’obiettivo di Kirill di divenire il capo spirituale degli ortodossi d’Oriente è praticamente fallito. Inoltre, i rapporti tra le due chiese ortodosse si sono ulteriormente incancreniti allorquando il Patriarca di Costantinopoli ha concesso l’autocefalia alla chiesa ortodossa ucraina.
Queste vicende religiose, che sono alla base dell’atteggiamento del Patriarca russo Kirill, non hanno nulla né di teologico, né di morale, bensì solo politico: benedire l’invasione dell’armata russa in danno dell’Ucraina, piuttosto che da capo spirituale condannare, senza se e senza ma, l’inizio della guerra.
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La cultura politica russa non conosce e non conoscerà mai i valori e gli ideali di libertà e di democrazia che nella sua lunga storia ha sempre combattuto. Con Pietro I detto “il Grande”, lo zarismo accomunò il valore religioso del cristianesimo ortodosso all’idealismo nazionalista, imperialista e colonialista; cultura che si concretizzò dal 1600 fino al 1917, anno della rivoluzione bolscevica. L’impero zarista dei Romanov si estendeva su tre continenti: l’Europa, l’Asia e il Nord America. Fu una monarchia assoluta dove si praticò la servitù della gleba, quando nell’Europa occidentale nascevano le organizzazioni sindacali e partiti politici fondati su valori essenziali dell’uomo: libertà e democrazia. Nemmeno la rivoluzione bolscevica, fino alla caduta dell’Unione Sovietica, fu capace di cancellare quanto di più retrivo e rozzo esisteva nella cultura di un popolo: il nazionalismo, il colonialismo e l’imperialismo. Del resto, i princìpi teorici e organizzativi del leninismo erano incentrati nella lotta della classe operaia. L’egemonia della classe operaia, nel bolscevismo, doveva essere attuata in modo radicale in Russia e su scala planetaria. Questa concezione del mondo e della politica era un modo subdolo di estendere la forza colonizzatrice e imperialista dell’ideologia marxista-leninista attraverso la rivoluzione e la lotta armata. Infatti, già dal 1919 fino al 1991 fu promossa una grande organizzazione “Il Comintern” che spostava a livello internazionale la lotta contro le democrazie e le società liberali dei paesi occidentali e nord-americani. Tornando al tempo presente, non può sfuggire a nessuno come Putin da anni abbia attuato un progetto politico di tipo imperialista, colonialista e dittatoriale che affonda le radici proprio nella cultura zarista e bolscevica, intriso anche di un certo razzismo di stampo hitleriano. Ragionando, non vi sembra che quando si occupa, si devasta uno Stato democratico e si prevarica il suo popolo per difendere delle minoranze linguistiche, non sia altro che razzismo di natura provocatoria per legittimare un’invasione? L’aggressione armata della Russia a un popolo libero di uno Stato democratico non vi sembra essere un’aggressione rivolta a tutti i popoli liberi e democratici del mondo? Non ritenete quindi giusto politicamente e moralmente sostenere questo popolo, l’ucraino, con forniture di armamenti che permettano una resistenza alla violenza e prevaricazione dell’invasore, fino alla sua cacciata? La lotta di resistenza dell’Ucraina è la lotta di resistenza di tutto il mondo libero. Anche sul piano teologico, un popolo aggredito troverebbe così giustizia e diritto di salvare la propria storia, cultura e le tradizioni, la sua identità. Nella dottrina teologica, filosofica e di giustizia di Sant’Agostino e di San Tommaso d’Aquino (dottore della chiesa) trova piena giustificazione l’atto di difendere la propria vita, quella dei propri familiari e di un popolo da un ingiusto danno provocato da odio e malvagità.
Sappiamo tutti che la storia è maestra di vita, per questo, a tal proposito, pongo alla vostra attenzione come la guerra d’aggressione dell’Ucraina sembri riproporre, nelle stesse modalità e illegittimità, la Conferenza e il Patto di Monaco del 1938 tra Gran Bretagna, Francia, Italia e Germania, in base al quale la Germania di Hitler fu autorizzata all’annessione di territori dello Stato cecoslovacco abitati da popolazione tedesca. La Russia ha invaso la Crimea e il Donbass così come la popolazione dei Sudeti che abitavano parte del territorio cecoslovacco. Contro quel patto si schierò decisamente Wiston Churchill le cui parole rimasero scolpite nel tempo nella mente dei popoli democratici occidentali “Potevano scegliere tra il disonore e la guerra. Hanno scelto il disonore e avranno la guerra”. Di conseguenza, memore di quanto accaduto, credo opportuno che i governanti dei paesi democratici, i quali certamente non dovranno mai desistere dall’uso della via diplomatica e del negoziato, abbiano però l’obbligo di assumere una posizione ferma e appropriata alla figura dittatoriale di Putin. C’è una critica ricorrente, sulla stampa e nei talk show, contro il Governo e l’operato del Consiglio e della Commissione Europea, sulla fornitura di armi all’Ucraina. La critica è montata da un certo pacifismo alla moda, quel pacifismo che non ha il coraggio di scegliere da che parte stare. Non scegliere significa solo favorire l’aggressore. In talune manifestazioni di gruppi limitati e minoritari, si è inveito contro il Partito Democratico, la Nato e altre forze politiche.
Viviamo in una nazione democratica dove tutto è consentito, ma dobbiamo ricordare a noi stessi e a loro che la storia insegna il presente e il futuro. Se si desse credito a questi gruppi significherebbe che la storia della resistenza in Italia fu un errore; fu un errore per gli anglo-americani armare i partigiani; fu un errore far morire centinaia di migliaia di giovani americani sui territori europei; fu un errore inviare armi alla Russia per respingere l’invasione nazista. Quindi la storia fu tutto un errore: fu un errore liberare l’Europa dal nazismo, restituendo ai popoli occidentali la libertà e la democrazia!
Se mai ci fosse una critica da avanzare ai governanti europei, sarebbe questa: come è stato possibile non capire la strategia, la tattica e il progetto politico di Putin? Perché in molti hanno taciuto? I governanti e i servizi segreti dei paesi occidentali sapevano che Putin aveva invaso l’Europa di spie. Perché avrebbe corrotto vari strati della società europea? Quale era il suo scopo se non di abbattere la democrazia e la libertà?
Su questi interrogativi i governanti dovranno essere più trasparenti con i popoli europei, perché l’errore di Putin di avere invaso un paese sovrano non li solleva, e non li solleverà, da responsabilità politiche e morali.
La riconferma di Macron a presidente della Francia e di seguito a presidente di turno della UE ci libera da una grossa preoccupazione politica in quanto l’altra candidata, Marine Le Pen, forse avrebbe bloccato l’integrazione europea, di conseguenza arrecando un durissimo colpo all’alleanza atlantica. In Italia e in Europa i movimenti populisti ne avrebbero tratto vantaggio, in particolare la Russia di Putin, che avrebbe senza colpo ferire avuto più facilità nella destabilizzazione dell’Europa.
Vorrei ancora ricordare come i tentativi diplomatici, di Macron, di Erdogan, di Scholz, di Bennett con Putin per arrivare alla pace, si sono rivelati un fallimento. Perché?
Non è questo il tipico atteggiamento psicologico del dittatore (Stalin, Hitler …) che considera i colleghi dei dignitari di corte, e che conosce solo il fragore delle armi per raggiungere obiettivi da megalomane?
Proprio dalla riconferma a presidente di Macron mi sovviene un episodio della storia europea. Il 10 dicembre 1951, sei paesi aderenti alla Comunità Economica del Carbone e dell’Acciaio si riunirono a Strasburgo, e nel Consiglio Europeo si ebbe il trionfo della linea politica di De Gasperi il quale propose di inserire nel testo della nascente Comunità Economica di Difesa un riferimento ben preciso a progettare e costituire un’Autorità politica di cui indicò i riferimenti in un “corpo eletto comune e deliberante” e un “bilancio comune”.
De Gasperi, in quell’occasione, difendeva con decisione le sue idee, perché da grande statista era convinto che quello fosse il momento opportuno, e che ci si trovasse dinnanzi alla svolta della storia europea, la cui costruzione sarebbe stata reale e irreversibile.
Il 27 maggio 1952 a Parigi venne firmato il trattato della CED. Per De Gasperi il trattato aveva acceso una luce di speranza, perché all’articolo 38 prevedeva espressamente un’Europa sovranazionale e integrata. Era, dunque, il cappello politico della futura Comunità politica europea. Ai parlamenti europei, tuttavia, competeva il compito di ratifica del trattato, il quale venne approvato dai parlamenti di cinque Stati aderenti meno il sesto. Purtroppo, non entrò in vigore a causa della mancata ratifica dell’Assemblea Nazionale francese (29 agosto 1954) per la tenace opposizione dei comunisti e della destra gollista che nell’occasione si unirono contro il governo di Renè Pleven, con motivazioni diverse: i primi sotto ordine di Stalin di combattere in ogni nazione la nascita dell’Unione Europea; i secondi sotto il profumo inebriante della “grandeur” perché non avrebbero voluto perdere la gestione dell’esercito francese. De Gasperi, sul letto di morte, raccomandò ai suoi colleghi europei l’approvazione dei trattati: la CED e la Comunità politica europea sostenevano che Stalin e i suoi epigoni conoscevano solo il fragore delle armi; per il grande statista italiano il pensiero nei confronti del dittatore era che non aveva, nei suoi riferimenti culturali e politici, il termine “pace”.
Questa è la sola ragione per cui bisogna avere un esercito europeo forte, con finalità deterrenti, dinanzi al quale il dittatore Putin non potrà considerare i rappresentanti di Governi liberi e democratici come dignitari di corte, bensì statisti verso i quali portare rispetto e con cui sedersi intorno a un tavolo per negoziare la pace Questa è la ragione per essere solidali con l’Ucraina, per aiutarla economicamente, anche con forniture di armi e tramite pesanti sanzioni alla Russia, per arrivare alla pace.
Dunque, l’urgenza è ripristinare il diritto internazionale liberando l’Ucraina dall’invasore; ripristinare l’integrità territoriale e l’identità di un popolo pressoché cancellata. Anche la fornitura del gas russo a prezzo vantaggioso per i paesi europei, fra cui l’Italia, disvela, in tutta la sua drammaticità e dimensione. il folle progetto di Putin che non è certo quello di accrescere, con le risorse economiche dell’energia, la condizione economica-sociale della Russia, bensì quello di rafforzare l’apparato militare e potenziare gli armamenti per destabilizzare, con le minacce e con la forza, l’Europa, ridisegnando, in tal guisa, con la forza, le aree d’influenza russa del vecchio continente. La libertà e la democrazia in Europa sono minacciate, e non possono essere oggetto di negoziazione con questioni economiche. Possiamo, nel caso, rinunciare al gas russo abbassando il Pil economico e il nostro modus vivendi; possiamo rinunciare a un certo benessere, ma mai e poi mai possiamo rinunciare al valore più prezioso per la dignità umana: la libertà.