STATISTI CERCASI Qualche considerazione sulla condizione carceraria …

di Miriam Severini

Edi Goffman, sociologo statunitense del secolo scorso, definiva il carcere come “istituzione totale”.

Ma chi è esterno spesso fatica anche solo lontanamente ad immaginare cosa significhi abitarci dentro.

Abitare, recita Treccani, dal latino habitare, propr. «tenere», significa “avere come propria dimora”.

In che modo un’istituzione totale, dunque, può diventare “casa?”.

Per comprendere a pieno la complessità di tale paradosso, è necessario individuare le caratteristiche che determinano cosa sia, l’istituzione totale. Afferma Goffman che un’istituzione totale si ha quando ogni attività si svolge nello stesso luogo e sotto la medesima autorità, gli individui agiscono sotto sorveglianza costante costretti ad attività per gruppi numerosi e vi sono regole ferree e ripetitive che supportano la standardizzazione dei comportamenti.

Come se questa prospettiva non fosse già abbastanza terrificante, è fondamentale porre l’accento su come oggi, in Italia, tale istituzione sia gestita (o meglio, ”non” sia gestita), oltrepassando anche quelle norme che dovrebbero garantire una vita in carcere se non dignitosa, quantomeno tollerabile.

Non ci addentreremo nei vari “report” che, sanciscono in maniera inesorabile in merito al fatto che, le carceri italiane siano sovraffollate, né concentreremo le nostre attenzioni sulle condanne che la Corte europea dei diritti dell’uomo ha inflitto a più riprese all’Italia per trattamenti umani degradanti, proprio per la mancanza di spazi detentivi adeguati!

No, al contrario affronteremo la tematica, forse ancora più grave, del perché nessuno o pochi politici si occupino e si siano occupati, in Italia, di queste tematiche.

In realtà, l’Italia, è sempre stato un paese “forcaiolo” e coloro che seriamente e fattivamente si sono occupati dei problemi chi vive in carcere ovvero delle detenute, dei figli delle detenute (fenomeno tipicamente italiano), dei detenuti e dei poliziotti che lavorano nelle carceri italiane, sono stati storicamente solo i “Radicali” e qualche esponente del P.S.I.

Questo perché occuparsi di carceri, fa inesorabilmente perdere voti in Italia.

Tornando al Paese forcaiolo che è l’Italia, mi ricordo distintamente che nel 1983, quando un galantuomo come Enzo Tortora, veniva sbattuto, in primis sulla prime pagine dei giornali in manette e poi in carcere senza alcuna prova, se non “grazie” a delle invettive sgangherate e pasticciate di un camorrista “ciarliero” ed inattendibile, tutta l’opinione pubblica, salvo qualche mirabile distinguo, affermava.:

..se l’hanno messo dentro, qualche cosa deve aver fatto, vedrai…”

Invece non solo non c’era nessun valido motivo, ma al contrario c’era un castello farlocco senza alcun riscontro oggettivo, assolutamente illogico, che ha però contribuito a distruggere la vita, la salute di Enzo Tortora ed anche quella di sua figlia, scomparsa recentemente.

Senza andare a scomodare tutto quello che accadde poi dal 1992 in poi, occorre sottolineare che in Italia, vedere sbattuto in carcere qualcuno ha sempre dato curiosità conturbante, soddisfazione e a volte giubilo, ed allora perché la mano politica avrebbe dovuto occuparsi delle condizioni in cui si trovavano queste dannate e questi dannati??

Ecco, il problema è proprio questo, senza andare ad indagare, ad accertare in merito agli innocenti che scontano o hanno scontato pene detentive anteriori al primo grado di giudizio, preferisco soffermarmi sullo stato di vita di coloro che sono colpevoli e che correttamente e dovutamente devono “scontare” la loro pena nelle “spesso” infami carceri italiane.

Se noi non esigiamo condizioni di vita dignitose e soprattutto se non garantiamo loro adeguati percorsi formativi e professionalizzanti da fare in modo che, una volta abbandonati i luoghi di detenzione, possano avere, delle concrete possibilità lavorative alternative al “crimine”, noi non solo non contribuiremo alla realizzazione di una Società migliore, ma al contrario, saremo complici nella realizzazione di una Società sicuramente peggiore!

È un po’ la differenza tra l’essere uno “statista” ed un “politico, del resto, pare che la differenza tra l’uno e l’altro sia che il politico si occupa del contingente, mentre lo statista lavora per le generazioni future…

Ci sono ancora statisti in Italia?

Fatevi sotto, c’è molto lavoro per Voi.

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