Dopo la Tirreno-Adriatico e in attesa del Giro d’Italia

BENTORNATO GIRO D’ABRUZZO!

   di Ermanno Falco

Abbiamo già avuto modo di sottolineare come tra l’Abruzzo e il ciclismo esista da sempre un legame solido ed intenso, fatto di secolare passione popolare vissuta attraverso corrispondenze consistenti in temprata disponibilità al sacrificio, impulso istintivo alla velocità e al movimento, non che in un certo slancio alla novità e al futuro, restando comunque con tutti e due i piedi piantati sulla rocciosa superficie dell’umana fisicità aggiornata alla luce della evolvente tecnologia.

Tra tutte le regioni del centro-sud siamo sicuramente al primo posto per vocazione, tradizione, pratica ed organizzazione nello sport del pedale, un primato che ci mette a diretto contatto con la Toscana dei Bartali, dei Magni, dei suoi tanti campioni scapigliati e ciarlieri espressi nel tempo e con quello stesso nord del Paese, ove da sempre si concentrano, in uno con il capillare uso quotidiano del mezzo, elevate adesioni al movimento, qualità tecnico-atletiche ed eccellenza di infrastrutture e risorse.

La costante presenza della nostra regione tra quelle che ospitano più frequentemente e con successo arrivi e partenze di quel Giro che è e rimane una delle più importanti e seguite corse a tappe del mondo costituisce un meritato riconoscimento alla dimensionalità articolare della nostra organizzazione ciclistica e al tempo stesso il volano più efficace per la promozione di una terra che rispetto alle sue potenzialità turistiche ha ancora tanta strada da fare sulla via del superamento del gap che la distanzia da altre realtà meno favorite dalla natura ma più dinamiche e attrezzate in termini di strategia imprenditoriale e funzionalità promozionale.

Il ciclismo, per la propria caratteristica capacità di cogliere e mettere in risalto città, scorci paesaggistici e ricchezze naturali, rappresenta l’occasione ideale per far conoscere il variegato ventaglio ambientale di cui dispone l’Abruzzo ad un pubblico vasto come quello televisivo, composto non solo da appassionati sportivi, ma da tanti telespettatori che si mettono in visione anche solo per la curiosità di scoprire territori loro sconosciuti con le modalità rapide ma non sommarie offerte dai tanti commenti didascalici che da tempo corredano le riprese ed i servizi delle manifestazioni più seguite.

Alle straordinarie bellezze collinari e montane, da sempre spettacolari scenari dei tanti percorsi abruzzesi, si sono aggiunti lo scorso anno l’incanto e le emozioni di una cronometro a squadre che inaugurava la “Corsa Rosa” attribuendo al fattore ambientale un’importanza che sovrastava di molto la pur eccelsa valenza agonistica legata all’evento sportivo di livello internazionale. Un “vernissage” da brividi inscenato lungo la Ciclovia dei Trabocchi da Fossacesia ad Ortona, nel cuore della costa teatina, con la spuma dell’Adriatico che inonda garretti e narici e con gli occhi catturati dai trabocchi che dalla terra ghermiscono l’azzurro come ragni pazienti e laboriosi, per non dire della suggestione onirica esercitata dallo spirito di un Poeta che nel “buen retiro” di San Vito, grazie anche alle bellezze di natura, formidabili antidoti ad ogni deriva di morte, colse in un colpo solo felicità d’amore ed ispirazione letteraria.

Proprio con quella tappa iniziale, tanto breve quanto indimenticabile, si è avuta certezza e conferma di un connubio che sublima insieme sport e terra: il primo perché supera la banalità scontata di una scenografia consueta, la seconda perché assurge a notorietà vasta e all’incondizionata ammirazione di chi forse non aspettava altro che di essere sorpreso da una cartolina turistica inedita ed affascinante, accompagnata magari dal sottile rammarico che non gli sia stata proposta prima.

Anche quest’anno la primavera ciclistica si è aperta in Italia con una competizione storica, quella Tirreno-Adriatico la cui prima edizione risale al 1966, quando Franco Mealli, toscano della provincia aretina trapiantato a Roma, presidente del Velo Club Forze Sportive Romane, si propose di far sposare la sanguigna passione per il ciclismo del’Italia centrale con la necessità di ancorare i primi mesi della stagione agonistica al calendario delle classiche primaverili che da tempo costituivano e costituiscono il prodromo alle grandi competizioni a tappe internazionali.

Felice fu l’intuizione di unire le due coste della penisola, tanto vicine quanto tra loro diverse, valicando la dorsale appenninica per valorizzarne quei percorsi che risultarono quanto mai adatti alle “performances” ciclistiche, oltre che a mettere in luce le immense risorse culturali e umane di terre che erano state culla della civiltà occidentale, grazie ai tanti popoli che vi si insediarono, nonché alla secolare, determinante presenza del Cristianesimo e della Chiesa di Roma.

Era il tempo in cui si dipanava l’ultimo capitolo della saga degli eroi della strada, personaggi resi leggendari da narratori di sicuro e suggestivo estro letterario, moderni cantastorie dalla fantasia rapida e ferace, bravi ad infervorare al diapason l’allora disponibilissima immaginazione dei lettori, al tempo in cui immagini in diretta, sofisticate tecnologie di ripresa ed apparati informatici erano ancora abbondantemente di là da venire.

Penne illustrissime, come quella surreale e fiabesca di Dino Buzzati, di Indro Montanelli lucida, schietta e serrata, di Gianni Brera, neologista rivoluzionario stralombardo e anticonvenzionale e di Sergio Zavoli, instancabile indagatore di anime e storie solo apparentemente banali e modeste, hanno onorato, insieme a tanti altri, lo sport che con la boxe si adatta meglio di altri a rappresentare drammi , fulgori e fallimenti della vita di tutti i giorni, tanto da cogliere partecipazione e interesse da parte di chiunque, a prescindere da genere, grado di cultura e posizione sociale.

Ricordo perfettamente l’entusiasmo sollevato dai corridori in transito nei piccoli paesi della nostra provincia, dove un traguardo volante riusciva a mobilitare moltitudini di sportivi la cui passione doveva accontentarsi delle stentate immagini in bianco e nero della televisione di Stato, l’unico mezzo che ti garantiva lo spettacolo dopo averti magari costretto a lunghe attese monoscopiche, reiteratamente condite (anche un po’ sadicamente) dall’abusatissimo “refrain”: “Siamo in attesa di collegarci …”.

La prima edizione della “Corsa dei due mari”, anno 1966, fu vinta da Dino Zandegù e si concluse proprio a Pescara dopo tre sole tappe, brevi ma assai impegnative. Al secondo posto e con lo stesso tempo del vincitore si piazzò il nostro Vito Taccone, penalizzato per il solo fatto di essere arrivato secondo nella volata vinta a San Benedetto del Tronto dal corridore veneto. Quella delusione divenne però nel cuore del piccolo guerriero marsicano ardente desiderio di rivincita, che il “camoscio d’Abruzzo” coronò dopo qualche mese, esattamente il 24 di luglio, sul traguardo di Piazza Duca degli AbruzzI, vincendo nel tripudio di migliaia di pescaresi ed abruzzesi in delirio la ventunesima edizione del Trofeo Matteotti.

Esattamente vent’anni dopo, nel 1986, la corsa “coast to coast” doveva registrare la vittoria di un altro atleta nostrano, Luciano Rabottini, nato in Belgio da abruzzesi emigrati, ottimo professionista per tutti gli anni ’80, decennio in cui fu un “habituè” del Giro d’Italia, di cui in quel periodo mancò solo l’edizione 1987. Rabottini dopo il ritiro è rimasto con tutti e due i piedi nell’ambiente delle due ruote sia come imprenditore commerciale (avviatissimo e ormai “storico” il suo negozio di Marina di Città Sant’Angelo, da sempre meta di appassionati a cui il nostro dispensa preziosi consigli tecnici e di preparazione fisica), che come brillante opinionista con una rubrica in onda da quasi trent’anni su di una nota emittente televisiva locale.

Da qualche anno a questa parte, causa la marcata internazionalizzazione del ciclismo e la penuria di figure italiane di vertice mondiale, anche quella che una volta era appannaggio dei nostri corridori oggi parla lingue diverse ed inusuali, come il polacco di Michal Kwiatkowski e lo sloveno di Primoz Roglic e Tadej Pogacar, oltre al danese, idioma sicuramente più noto nell’ambiente, del vincitore di quest’anno, il bravissimo Jonas Vingegaard.

In attesa del ritorno, ormai abituale, del Giro, che quest’anno prevede uno spettacolare arrivo in salita a Prati di Tivo sabato 11 maggio (tappa in partenza da Spoleto) e la partenza il giorno dopo da Avezzano alla volta di Napoli, la novità più gustosa e perciò più attesa è stata rappresentata dalla “resurrezione” del Giro d’Abruzzo, una corsa anch’essa a tappe che, nata agli albori degli anni ’60 come semplice occasione agonistica per il movimento amatoriale, a metà degli anni ’90 si aprì alla partecipazione mista professionisti-dilettanti, vivendo per circa un decennio la propria era di platino, grazie soprattutto all’azione instancabile di veri e propri giganti dell’organizzazione sportiva, primo tra tutti il grande Umberto Di Giuseppe, per svariati anni “Patron” del Velo Club Montesilvano .Personaggio e sodalizio legati in perfetta simbiosi identificativa che hanno fatto la storia non solo dello sport della città rivierasca, ma dell’intero sistema ciclistico regionale, assicurando con grandi sacrifici ed estremo coraggio perfetta agibilità funzionale e formidabile vetrina pubblicitaria ad un settore vivacissimo e nevralgico dello sport regionale.

Se l’Abruzzo del ciclismo è tanto stimato e valorizzato a livello di istituzione e di calendario professionistico annuale lo si deve alla presenza e all’azione ultradecennale di grandi pianificatori, come appunto “Umbertone”, del teatino Maurizio Formichetti, dello stesso Luciano Rabottini, di Stefano Giuliani, del giornalista aquilano Enrico Giancarli, nonché dal “team” che sia pur faticosamente tiene in vita, in attesa di un auspicato rilancio, il Trofeo Matteotti e che fa capo al Presidente del Pescara Daniele Sebastiani,

Per la cronaca la rinnovata gara a tappe abruzzese è stata vinta dal Kazako Aleksej Lutsenko, dell’Astana Qazaqstan Team, che ha preceduto nella classifica finale il russo naturalizzato francese Pavel Sivakov ed il neozelandese George Bennet. Non va inoltre dimenticato che nel 2029 , giusto a distanza di vent’anni dal terremoto, l’Aquila ospiterà il Campionato Europeo di ciclismo su strada. Sarà quello, dopo la designazione a Capitale della Cultura 2026, il definitivo suggello della rinascita e del ritorno al connaturato splendore del nostro capoluogo regionale.

GIRO D’ABRUZZO 2024, VINCITORI DI TAPPA:

1° tappa martedì 9 aprile: Vasto-Pescara (km. 161) Enrico Zanoncello;

2° tappa mercoledì 10 aprile: Alanno-Magliano dei Marsi (km. 161) Jan Christen;

3° tappa giovedì 11 aprile: Pratola Peligna-Prati di Tivo (km. 163) Aleksej Lutsenko;

4° tappa venerdì 12 aprile: Montorio al Vomano-L’Aquila (km. 169) Pavel Sivakov.

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