Sentenza sottotetti del Consiglio di Stato del 22.11.2021 Illegittimità di norme edilizie del Comune di Montesilvano

Per una nuova urbanistica prestazionale

di Giuseppe Di Giampietro – digiampietro@webstrade.it

1. Il caso e la sentenza. Il Consiglio di Stato (CdS) ha certificato con la sentenza 7785 del 22-11-2021 quello che da oltre un decennio andavamo dicendo riguardo alle normative urbanistiche del Comune di Montesilvano. Ossia della presenza, nel regolamento edilizio comunale e in altre norme tecniche locali, di una serie di illegittimità, consuetudini e “cattive pratiche”, incontrollate, che, con l’intento di favorire un’industria edilizia locale in crisi, ha spesso favorito pochi operatori danneggiando molti residenti. Operando spesso in Zona B di completamento, con interventi di sostituzione edilizia di piccoli edifici esistenti con condomini pluripiano ad alta densità, si è aumentato il carico urbanistico sull’intorno urbano esistente, senza un adeguato aumento degli standard urbanistici corrispondenti (marciapiedi, parcheggi, alberi, servizi e spazi pubblici), degradando così l’intorno urbano preesistente, invece di contribuire a migliorarne il valore con i nuovi interventi.

In particolare, il CdS corregge, con la sentenza di secondo grado, le precedenti sentenze del Tar di Pescara, di inammissibilità del ricorso di un gruppo di cittadini di via Liguria contro alcune norme urbanistiche comunali. Il comitato di cittadini, assistiti dall’avvocato Andrea Granata e da tecnici locali, protestavano contro una serie di norme edilizie che avevano consentito la costruzione di un nuovo palazzo di cinque piani su una strada di casette a due-tre piani, in presenza di una strada larga meno di 5 metri, senza marciapiedi, senza parcheggi, verde e alberi, senza un idoneo sistema fognario. In sostanza, l’intervento approvato, con volumi realizzati ma non computati, stava cambiando la tipologia edilizia preesistente sulla via, delle villette della città-giardino in prossimità del mare, sostituite con nuovi condomini ad alta densità. Ma tale cambiamento avveniva senza adeguare il sistema urbanistico, gli standard urbanistici, la rete stradale, infrastrutturale, del verde esistente. Con la normativa illegittima comunale dei sottotetti fantasma, non computati ma poi venduti ed abitati, si aumentavano surrettiziamente altezze, volumi e carico urbanistico autorizzato, in particolare, aumentando di un intero piano il nuovo edificio, con sottotetti abitabili e, di fatto, venduti poi a nuovi abitanti, ma non computati, né per i volumi, né per le altezze, né per le distanze, né per gli standard urbanistici relativi ai nuovi abitanti insediabili.

2. La città illegittima e degradata. La città di Montesilvano è piena di interventi di questo genere, che creano volumi edilizi nei sottotetti, abitati da abitanti fantasma, che non esistevano al momento del permesso di costruire, ma che poi, appena ultimati i lavori, vengono condonati “surrettiziamente”, tanto che i sottotetti da “abitabili” diventano anche abitati e, con il pretesto della legge regionale per il loro recupero, essi vengono venduti ad abitanti veri. Tuttavia, per questi “abitanti fantasma” non sono stati contestualmente predisposti, né pagati gli standard urbanistici relativi, di verde, servizi, parcheggi pubblici.
Per questi edifici e questi sottotetti non sono state computate nemmeno l
e altezze e le distanze relative, perpetrando abusi. Come è avvenuto, ad esempio, per le altezze massime di m. 10,50 consentite di fronte al mare, nel PP1 nella zona del curvone, laddove le illecite norme sui sottotetti hanno permesso di realizzare, invece, edifici di quasi 15 m. di altezza, al posto dei 10,50 m. consentiti, grazie ai volumi e alle altezze dei sottotetti non computati. Edifici che hanno dunque infranto le regole fissate nel piano particolareggiato e tolto la vista del mare agli edifici retrostanti.

Nella stessa zona del PP1, con altre furberie, con norme ad hoc” dello “ius montesilvanensis“, che solo i sacerdoti dell’urbanistica locale conoscono, gli edifici della zona nuova del PP1 sono cresciuti in altezza di due piani, oltre ai cinque previsti dal piano particolareggiato. Il sesto piano è venuto fuori con una norma speciale (poi abrogata nel 2007, ma che ancora oggi viene applicata) del cosiddetto art. 26 delle norme tecniche di attuazione del piano regolatore, che concedeva un incremento volumetrico del 20% solo ai grandi proprietari con più di un ettaro di terreno edificabile. Il settimo piano è stato aggiunto con la norma sui sottotetti fantasma. In tale modo, il PP1, un quartiere previsto per 5 mila abitanti, è diventato un quartiere da 7 mila abitanti insediabili. Ma gli standard urbanistici sono rimasti quelli previsti per i 5 mila abitanti iniziali. Se il problema non è esploso è solo grazie al fatto che la crisi edilizia ha fermato il completamento del quartiere, e molte di quelle case erano state vendute, come seconde case turistiche, a persone che non ci vivono tutto l’anno. Ma oggi, la lenta trasformazione delle seconde case in residenze principali, sta facendo emergere nel quartiere il problema della carenza di servizi e della incompletezza del disegno della città nuova.

3. Un altro esempio di “bad practice”. Sono molte le norme illegittime, inique o con effetti perversi presenti nei regolamenti locali. Esse vanno discusse pubblicamente e cambiate, impedendo che continuino a degradare la città. Occorre avere chiari gli obiettivi finali di un’edilizia sostenibile, di alto valore ambientale, fruibile da tutti gli abitanti, in cui il nuovo valorizza e completa l’esistente.
Oltre alle norme sui sottotetti, altezze, e standard urbanistici, spesso assenti o scavalcate negli interventi edilizi di trasformazione dell’esistente, sono particolarmente inaccettabili anche le norme sulle altezze consentite e sulla
distanza dalle strade. In particolare è inaccettabile la norma comunale sull’allineamento prevalente, che permette ai nuovi edifici di allinearsi a quelli già esistenti. Essa avrebbe un senso se si completassero i fronti stradali esistenti con edifici nuovi della stessa tipologia e altezza di quelli preesistenti. Ma questa norma non può essere utilizzata per costruire condomini pluripiano, allineati a casette monofamiliari della città-giardino a mare, prive di marciapiedi, parcheggi, verde. L’allineamento prevalente può andare bene per un quartiere di villette, ma è inaccettabile per condomini pluripiano privi di distanze idonee, marciapiedi, parcheggi, alberi. E questo soprattutto in una città con aspirazioni turistiche.

4. Un’urbanistica nuova. Ma forse la sentenza del CdS impone dunque un’urbanistica manichea, della conservazione dello status quo? Non è dunque possibile un’edilizia nuova, fatta di edifici più alti, di maggiore densità, fatta di palazzi e condomini, invece che di villette e case basse? Certo che sì, ma questi cambiamenti con nuovi interventi edilizi, non possono essere mistificati, e i nuovi volumi realizzati devono essere computati per intero, facendosi carico degli oneri urbanistici indotti dall’intervento, ossia del carico urbanistico sull’area, prevedendo la realizzazione di servizi e standard adeguati al nuovo intervento.
Questi alcuni criteri per una nuova urbanistica prestazionale:

– Occorre fare in modo che ad ogni intervento nuovo, o di riqualificazione e ampliamento dell’esistente, corrisponda un miglioramento dell’intorno urbano adiacente e un aumento intrinseco del suo valore, con interventi di adeguamento delle infrastrutture urbane adiacenti, dei servizi e della qualità urbana proporzionali al numero dei nuovi abitanti insediabili.

– Si possono anche aumentare altezze, densità o cambiare le tipologie edilizie preesistenti, ma a questi incrementi del carico urbanistico devono corrispondere adeguati aumenti degli standard urbanistici pubblici e un ridisegno dell’intorno urbano adiacente.

– Piuttosto che continuare con pratiche di monetizzazione di servizi che non saranno mai realizzati, o con cessioni di aree al Comune come pagamento degli oneri di urbanizzazione, quando spesso il Comune non ha i fondi per trasformare quelle stesse aree cedute in servizi e standard urbanistici (verde, parcheggi, marciapiedi, aree pubbliche) e spesso è costretto a rivendere le suddette aree agli stessi costruttori, sarebbe meglio chiedere ai costruttori stessi di realizzare direttamente i servizi su quelle aree, in modo che diventino attrezzate, fruibili da tutti i cittadini dell’area adiacente alla nuova costruzione, e che il nuovo intervento si traduca in un incremento di valore di tutti gli immobili della zona interessata.

– Occorre integrare un’urbanistica delle quantità (metri cubi, metri quadri, rapporti di copertura, distanze, densità etc) con un’urbanistica prestazionale, direttamente visibile in loco, rapportata ai nuovi abitanti insediabili con le nuove costruzioni. Ad esempio, con l’obbligo di realizzare nelle nuove costruzioni o trasformazioni dell’esistente lo standard di almeno un nuovo albero per abitante insediabile. Vista l’importanza del verde per la qualità della vita, la salute e il valore dell’abitare, sarà la necessità della sua dotazione a porre un limite fisico ad altezze, cubature, densità dei nuovi edifici, in relazione alle aree disponibili, proprio per la necessità di avere aree per piantare nuovi alberi. Oppure si sceglierà di realizzare una costosa edilizia con verde verticale e artificiale, come nell’esempio dei grattacieli del Bosco Verticale di Stefano Boeri a Milano. Gli standard residenziali obbligatori devono essere realizzati sullo stesso lotto, o ad una distanza non maggiore di 250 m. (1/4 del massimo raggio di accessibilità pedonale), contestualmente alla realizzazione dell’opera.

Il valore delle case (e quindi la loro stessa vendibilità) sarà proporzionale alla dotazione di servizi, standard, infrastrutture, qualità urbana dello spazio pubblico disponibile, sostenibile, di alto pregio ambientale, e all’accettabilità sociale dell’intervento. Un valore reale per l’edilizia, per il costruttore, per gli utenti e abitanti di quelle case. Una città nuova deve nascere da quella censura del Consiglio di Stato del 22 novembre 2021.

FIG. 1 – Isolati del PP1 a Montesilvano. Circa 125×170 m. 2,1 ettari. 12 edifici da sette piani, circa 400 appartamenti. Oltre 1.000 abitanti. Benché di ampia dotazione di verde e parcheggi condominiali, i circa 3.000 mq di verde condominiale ospitano circa 300 alberi. Mancano 700 alberi (circa 4.000-7.000 mq) per raggiungere lo standard di un albero per abitante. Ma è anche il degrado e l’abbandono del viale Alberto D’Andrea che ha contribuito alla diminuzione del valore degli immobili

FIG. 2 – Il bosco verticale di Stefano Boeri a Milano, ospita circa 20.000 piante, appartenenti a 100 diverse specie vegetali: l’equivalente di una foresta di 2 ettari, innestata in una piccola porzione di terreno di 1.500 metri quadri, al centro di una grande città. Una risposta costosa allo standard di un albero per abitante.

FIG. 3 – Montesilvano PP1. Edificio di via Verga-Curvone in costruzione. L’altezza massima consentita dal PP1 per gli edifici entro i 100 metri dalla spiaggia è di 10,50 m. Qui, la norma comunale illegittima sui sottotetti, censurata dal CdS, ha permesso di realizzare quattto piani + balaustra brise-soleil. Quasi 15 m. di altezza, invece dei 10,50 consentiti. Un abuso che toglie luce e veduta del mare a tutti gli altri edifici retrostanti.

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