Autonomia e unione
Autonomia e unione
di Marco Tabellione
In un mondo globalizzato, dominato da entità sovranazionali, come l’ONU o l’Europa unita, parlare di autonomia regionale potrebbe sembrare un controsenso. Eppure occorre prestare attenzione perché forse non si tratta di orientamenti in contrapposizione. In effetti bisogna interrogarsi sulle finalità di entrambe le dimensioni, quella localistica e quella globale. Le istituzioni collettive rispondono all’esigenza di dare vita, nella direzione globalizzante che caratterizza l’epoca ultra contemporanea, ad entità sovranazionali, in grado di offrire un indirizzo appunto globale.
Ma proprio perché le nazioni dal dopoguerra in poi hanno cominciato a ideare forme di contatto e simbiosi politica sovrastatale, proprio perché le aziende hanno smesso di essere nazionali e hanno trovato la loro identità in forme multinazionali, proprio in un momento in cui la globalizzazione sta, con il web, determinando rischi paurosi di omologazione, proprio in questo momento le singole realtà comunitarie hanno bisogno di essere difese. Vi è una grande esigenza di proteggere un patrimonio culturale che rischia di andare perduto, e da questo punto di vista ben vengano le tendenze tese ad affermare l’autonomia locale.
Di fronte a queste premesse risulta difficile contestare le richieste di autonomia differenziata giunte da tre regioni in primis, Lombardia, Veneto ed Emilia Romagna, seguite poi da altre. A livello teorico si può sostenere che lo stesso criterio che ha portato all’istituzione delle regioni dovrebbe spingere a concedere sempre maggiore autonomia a queste entità territoriali, nell’ottica di un progressivo e auspicato decentramento del potere. Tale evenienza tra l’altro è prevista da un apposito articolo della Costituzione, l’articolo 116, a cui si richiamano le regioni sopracitate. Va detto per inciso che la riunione del Consiglio dei Ministri del 14 febbraio 2019, non ha fatto sortire niente di concreto in tal senso, anche per i dissidi sulla materia all’interno della coalizione di governo.
Ciò che naturalmente la maggiore autonomia non dovrebbe consentire è la nascita di una secessione dal resto del paese. Più gestione locale dell’amministrazione non deve significare distacco dalla unità sovraregionale, così come, allo stesso modo, l’identità della nazione e della cultura italiana non devono rappresentare una negazione della sovranità europea. Siamo di fronte cioè ad un criterio teorico e se vogliamo filosofico nel quale la libertà delle singole unità non danneggia la possibilità di un’unione sempre più onnicomprensiva. È in soldoni l’idea della libertà singola che arricchisce la libertà collettiva e non si pone in dialettica con essa.
Naturalmente si tratta di equilibri particolari, delicati, che presuppongono senso di civiltà, rispetto dell’individuo e delle istituzioni. Presuppongono, inoltre, la capacità di andare oltre la semplice contrapposizione di interesse, per fare in modo che ognuno si attivi contemporaneamente per il proprio interesse e per quello degli altri, nella consapevolezza che garantendo e difendendo gli interessi altrui si agisce anche in difesa dei propri.
Nel caso specifico si auspicano istituzioni locali capaci di attivarsi per la propria autonomia, ma anche per il riconoscimento della necessità di un’unione nazionale e sovranazionale che a sua volta sia garante delle autonomie locali. Così come il rispetto dell’altro si fa difesa e garanzia del rispetto di sé, la difesa delle autonomie locali dovrebbe diventare una garanzia della difesa dei diritti a livello globale. Si tratta però di conquiste forse più morali che civiche o politiche, per le quali occorrerebbe uno scatto evolutivo che forse non siamo ancora in grado di compiere.