INCONTRO CASUALE
Esci la mattina presto di una bella giornata di febbraio. La luce già intensa del sole invernale, il cielo nitido di un blu perfetto, le strade ancora appena velate di una sottile lastrina di umidità vaporosa e verdastra sembrano volerti distrarre, rincuorandoti, dal freddo che dalla faccia paonazza, unico spazio di pelle indifeso, scivola impietoso sul resto del corpo restringendone sensibilità e movimenti.
Sembra scontato rifugiarsi in un bar, nel primo avvistato tra sciarpa e cappello, per assicurarti un rifornimento supplementare di calore energetico, di quella scorta di sicurezza e ottimismo che solo un espresso di classe o uno scambio di vedute con un amico possono regalarti per far fronte dignitosamente ai mai digeriti rigori della brutta stagione.
E meno male che il clima di Montesilvano è tra i migliori in Abruzzo, una terra dove alla dolce temperatura della prolungata primavera costiera si oppone minacciosa la severa, medievale temperie delle conche e delle montagne, palcoscenico autentico e profondo di un’anima che deve alla natura i propri connotati atavici di diffidenza e silenziosità, ma anche di ospitalità e attitudine al soccorso.
Ma tant’è: a chi è nato nel fulgore dell’estate anche l’Adriatico “a lu verne” può somigliare al Mare di Barents e la sabbia bionda e delicata del nostro litorale ai ghiacci infiniti e abbacinanti dell’Artico, chè ciò che conta, alla fine, è la risposta psico-fisica che il cervello dà al mondo esterno e alle sue provocazioni.
Il caffè è come dev’essere: stretto da irrorare la lingua e a stento il palato, ma saporoso e incandescente da scaldare, metaforicamente s’intende, l’anima e il cuore.
Immerso nell’ultimo, ritardato istante di quel lecito piacere, il richiamo alla realtà trova occasione nella voce ruvidamente affettuosa di un amico, un parlare che, rarefatto e come perso nel tempo, frammisto al distratto chiacchiericcio della caffetteria, arriva alle orecchie ancor più piacevole e familiare.
Convenevoli pochi, tra noi non ce n’è bisogno: quando incontri un vero amico non importa se dall’ultima volta sono passati vent’anni o un’ora. Non c’è cambiamento d’aspetto che tenga e il tempo si restringe e condensa alle intese solidali cementate, fino ad escludere “tutto il mondo fuori”, come direbbe con poetica sintesi il grande Vasco da Zocca.
E poi, come se nelle nostre vite recenti non ci fossimo occupati d’altro, lui mi fa: “’Stu Pescara oramai non smette di darci dispiaceri, possibile che non c’era un attaccante degno di questo nome da prendere a tutti i costi per cercare di andarci davvero in serie B? Tu che ci stì ‘mmezze e ci scrive, che ne pensi?”
Al che io: “Mah, ‘sta Società (Pescara Calcio 1936) non mi pare sia attrezzata per tornare quest’anno in serie B. Mi sbaglierò, ma tutto sommato nè il presidente Sebastiani, nè il direttore sportivo Foggia si potevano aspettare miracoli da questa vetrina invernale che è sempre stata un “mercato delle pulci” dove trovare una vera occasione è un fatto più unico che raro. Le squadre si fanno in estate, anzi, a primavera, quando si progettano le migliori e sostenibili strategie di mercato buone a vincere il campionato. E per vincere in serie C, o Lega Pro, come preferiscono i precisini, ci vuole una intelligente combinazione di gioventù ed esperienza, dote, quest’ultima, che al Pescara fa difetto e lo dimostra il crollo degli ultimi due mesi, quando dal primo posto con sei punti di vantaggio siamo precipitati al quinto, dieci punti dietro alla capolista Entella.”
“Allora cosa dobbiamo sperare a questo punto?”
“Secondo me solo di andare ai play-off e di arrivarci nella migliore forma possibile e cioè molto meglio di come stiamo oggi. Perciò Baldini in questi tre mesi dovrà superarsi per realizzare una vera e propria impresa per dare la sveglia a ragazzini che a causa della loro immaturità non sono in grado di mantenere a lungo un alto livello di condizione. Chi lo sa fare, invece, vince il torneo e merita il salto di categoria.”
L’amico storce la bocca e con un’espressione tra l’ironico e il rassegnato fa: “Bah, meglio cambiare discorso, hai visto come vola Sinner? Un ragazzino che migliora giorno per giorno e sembra non soffrire l’enorme pressione agonistica e mediatica che lo accerchia da ogni parte!”
“Sinner, come ha detto qualcuno, è talento e genialità italiana innestata in un cervello e in un temperamento tedeschi: praticamente il miglior corredo genetico che un atleta può avere, soprattutto negli sport individuali e ancor di più nel tennis, che è genialità e muscoli, divertimento e fatica, brio e tenacia, insomma un gran rimescolarsi delle migliori tendenze istintive dei due popoli, che magari non si amano alla follia, ma sono come costretti dalla storia a confrontarsi e ad ammirare, magari inconsapevolmente, i pregi dell’altro accantonando i difetti propri.”
“ E dove pensi che arriverà il “roscio” di Sesto Val Pusteria?”
“Arriverà a confermarsi per lungo tempo, salvo malaugurati problemi fisici, il numero 1 del mondo, un trono che si è conquistato con merito e fatica e che sta facendo esplodere come non mai il fenomeno tennis in Italia. Sono passati quasi cinquant’anni, dai tempi della Davis cilena vinta da Panatta, Barazzutti, Bertolucci e Zugarelli e con Nicola Pietrangeli capitano non giocatore, che il nostro Paese non fosse così forte in questo sport: due “Insalatiere” vinte in due anni e tanti giocatori, oltre a Sinner, ai vertici delle classifiche nei campi maschile e femminile. Insomma, una disciplina che sembrava in ombra, come purtroppo evidenziavano i troppi campi e centri sportivi riconvertiti in spazi per il Calcio a 5 e, più recentemente, per il rampantissimo Padel che improvvisamente e clamorosamente risorge grazie ai campioni di oggi che hanno rispolverato alla grande la gloria di coloro che per primi resero popolare la racchetta a queste latitudini.”
“E la Ferrari invece, secondo te, uscirà fuori da questa interminabile crisi di risultati? Pensi apporterà qualcosa di buono un campione come Lewis Hamilton, pilota pluri-vittorioso, noto per la lucidità e la tenacia della sua condotta in gara ma ormai non più giovanissimo?”
“Hai detto bene, Hamilton è un vero e proprio “mastino” della Formula 1: la sua determinazione e la sua sete di vittorie sono proverbiali, come la razionale padronanza di tutti gli aspetti, tecnologici e sportivi di una corsa. Da questo punto di vista sbaglia chi esprime perplessità sulla sua età e sul suo residuo ardore agonistico: fin quando si sentirà di farlo il britannico scenderà in pista con il solo e preciso intento di vincere. Ed è troppo intelligente per non capire se il momento del ritiro è arrivato o no; del resto a quarant’anni un pilota automobilistico può ancora mostrare i migliori segni della propria bravura e Lewis sa che in Ferrari c’è quanto di meglio per il rilancio di una carriera che sin qui è stata semplicemente ineguagliabile per correttezza, regolarità e risultati. Sono sicuro che quest’anno noi italiani ci divertiremo di più a vedere le corse e a tifare per un “Cavallino” di nuovo competitivo e scalpitante.”
Il tempo è passato in fretta, i saluti sono inevitabili: “Dobbiamo vederci quanto prima, ti chiamo, tanto ho il numero …”
Sgattaiolo fuori per primo e mi riconsegno alla sciarpa e al cappello di prima, ma anche all’introspezione riflessiva provocata da quell’incontro dentro al bar.
Ripenso al caldo del bar, al caffè buono, alla chiacchierata. All’improvviso un dubbio: chi era quell’amico che condivideva con me gli stessi interessi sportivi al punto da sembrare me stesso?