CICERONE: CATO MAIOR de SENECTUTE
Marco Tullio Cicerone
Marco Tullio Cicerone nasce ad Arpino il 3 gennaio del 106 a.C. da una famiglia dell’ordine equestre. Questo grandissimo personaggio, appartenente all’ultimo periodo della Repubblica Romana prima dell’avvento dell’ Impero, è stato un letterato, un filosofo, un avvocato di grido ma anche un politico di peso. D’altronde astrologicamente Cicerone appartiene al Capricorno, un segno governato da due pianeti: Marte che conferisce ai Nativi l’aggressività, la grinta, il coraggio e Saturno che dona raziocinio, prudenza, tenacia. Non è un caso che appartengano al Capricorno uomini politici e capi di Stato quali Federico II di Svevia, Lorenzo il Magnifico, MaoTse Tung ,.. Con l’Ascendente nel segno del Capricorno troviamo Giulio Cesare, Carlo V d’Asburgo, Elisabetta I d’Inghilterra, Camillo Benso Conte di Cavour, Romano Prodi, e altri…
Biografia
Cicerone si trasferisce giovanissimo con la famiglia a Roma dove frequenta lezioni di giurisprudenza e si perfeziona nell’arte oratoria. Si fa subito conoscere come avvocato con le prime due orazioni “Pro Quinctio” e soprattutto con la “Pro Roscio Amerino” che però oltre alla fama di grande avvocato gli procura l’inimicizia di Cornelio Silla, uomo forte della politica romana, avendo danneggiato Crisogono, un suo liberto fedelissimo. Probabilmente, anche per sottrarsi all’ira di quest’ultimo, nel 79 a.C. se ne va ad Atene e in Asia Minore. Al rientro a Roma Cicerone, sfruttando il prestigio e la fama di avvocato, si avvia alla vita politica. Nel 76 a.C. gli fu assegnata la carica di questore nella città di Marsala, nel 69 a.C. fu nominato edile e nel 66 a.C. pretore fino a ricoprire successivamente anche la carica di console.
Conflittualità tra Giulio Cesare e Pompeo
Nella Repubblica Romana cominciava a delinearsi il conflitto tra Giulio Cesare, leader del Partito Popolare e Pompeo, sostenuto invece dal Senato e dagli Aristocratici. Cicerone nel 63 a.C., quando era ancora Console, non aveva esitato a scagliarsi contro Catilina, rappresentante dell’ala più radicale dei Popolari di cui faceva parte anche Giulio Cesare. Alcuni anni dopo nel 58 a.C., Cicerone fu accusato di aver dato la morte ai membri della congiura di Catilina senza processo e fu mandato in esilio.
Nel 53 a.C., con la morte di Licinio Crasso, il triumvirato si scioglie e la conflittualità tra Cesare e Pompeo andò aumentando fino a trasformarsi in una vera e propria Guerra Civile. Nel 49 a.C. Cesare, reduce dalla gloriosa conquista della Gallia, decise di tornare a Roma col suo esercito contro il parere negativo del Senato. In quella circostanza pronunciò la famosa frase “il dado è tratto” e varcò il Rubicone. Pompeo, che aveva il grosso delle truppe fuori da Roma, fuggì in Puglia e poi in Albania. Cesare intuì che non c’era tempo da perdere e si imbarcò immediatamente per l’Albania lasciando due delle sue legioni a Brindisi al comando di Marco Antonio. A Durazzo però Cesare, in chiara inferiorità numerica, subì una terribile sconfitta con la perdita di mille uomini.
Cesare non si perse d’animo, riparò in Tessaglia e a Farsalo, nonostante avesse un numero di soldati nettamente inferiore, con una serie di abili e geniali mosse tattiche ottenne a sorpresa la vittoria. Pompeo, sconvolto e spaurito, pensò di andare in Egitto a chiedere aiuto al giovane Tolomeo XIII che, per tutta risposta, gli tagliò la testa che poi portò in dono a Cesare su un piatto d’argento. Cesare però non gradì la cosa e sembra che sia scoppiato in lacrime… Gli ultimi seguaci di Pompeo furono poi sbaragliati a Tapso e Munda. Giulio Cesare tuttavia, soddisfatto della vittoria, perdonò l’avversario Cicerone richiamandolo dal ritiro di Brindisi ma confinandolo ai margini della vita politica. Da quel momento fino alle Idi di Marzo (15 marzo 44 a.C.)
La morte di Cesare alle Idi di Marzo
Cicerone si dedicò a scrivere opere di retorica e di filosofia. Mentre si andava profilando lo scontro tra Ottaviano e Marco Antonio, Cicerone coerentemente con i suoi ideali “repubblicani” e la sua avversione per i dittatori, scagliò le famose quattordici FILIPPICHE contro Antonio che poi lo fece uccidere dai suoi sicari a Formia il 7 dicembre del 43 a.C.
Opere
Pricipali orazioni: Pro Quinctio, Pro Roscio Amerino, Catilinarie, Pro Milone , Philippicae
Opere di retorica e politica :De oratore, De re publica, Brutus
Opere filosofiche: De natura deorum, De Officiis
Cato Maior De Senectute
È un’opera filosofica scritta da Cicerone nel 44 a.C. e dedicata all’amico Attico. Composta di 23 capitoli, ha la forma di un dialogo sulla vecchiaia che si svolge nell’anno 151 tra Catone il Censore ottantatreenne e i più giovani Publio Cornelio Scipione e Gaio Lelio. Cicerone sceglie per questo discorso la figura di Marcio Porcio Catone perchè Catone, detto il Censore, era un uomo tutto d’un pezzo, tradizionalista e conservatore, ligio agli usi antichi, soldato valoroso e politico tenace: era insomma il rappresentane di quella classe che aveva fatta la grandezza di Roma che però cominciava a cedere il passo davanti alle novità che essa stessa aveva contribuito a introdurre con le sue conquiste.
Il dialogo inizia con le parole di Publio Cornelio Scipione e di Gaio Lelio Minore che si complimentano con Catone per la serenità e la compostezza con cui vive la vecchiaia. Le critiche comunemente rivolte alla vecchiaia sono essenzialmente quattro: 1) la debolezza e la decadenza fisica 2) l’attenuarsi delle capacità intellettive 3) l’impossibilità di godere dei piaceri dei sensi 4) la paura dell’uomo per l’avvicinarsi della morte.
Catone fa una accalorata difesa della vecchiaia confutando una ad una tutte queste critiche.
Per quanto riguarda la prima accusa: “La debolezza e la decadenza fisica in vecchiaia causano l’allontanamento dalle attività della vita quotidiana”, Catone afferma che l’accusa è falsa perchè molte funzioni possono essere svolte con il semplice ausilio della mente. Cita a tal riguardo che lui stesso ed altri coetanei illustri come Appio Claudio e Scipione Emiliano partecipano attivamente alle sedute politiche in Senato.
Per quanto riguarda la perdita di memoria Catone sostiene che questa appare maggiore in chi non si dedica ad alcuna attività e cita Temistocle che, da vecchio, conosceva tutti i nomi degli abitanti della sua città e anche Sofocle che scrisse e recitò un’intera tragedia pur trovandosi in età molto avanzata «Non con le forze, non con la prestezza e l’agilità del corpo si fanno le grandi cose, ma col senno, con l’autorità, col pensiero.» Dalla vecchiaia non bisogna pretendere energia e vitalità le quali a volte anche in gioventù scarseggiano. Al recupero dell’energia fisica giova non solo l’esercizio fisico ma anche quello mentale .
Terza accusa: la perdita dei piaceri in tarda età. Catone ammette che nella vecchiaia si assiste ad una attenuazione del desiderio sessuale ma ciò non è del tutto negativo perchè la libidine è nemica della temperanza, della virtù e della ragione e, se non è dominata, induce gli uomini a commettere delitti di ogni genere. Gli anziani tra l’altro possono godere dei piaceri della tavola condotti con moderazione tanto più se viene data maggiore importanza alla compagnia e ai discorsi. Una vecchiaia libera da impegni, ambizioni e desideri dà la possibilità di dedicarsi allo studio e alla agricoltura. Questa attività non è impedita dalla vecchiaia, e coltivare la terra, occuparsi degli alberi da frutta e della vite è quanto mai benefico per il corpo e per lo spirito. Senofonte nei suoi libri loda l’agricoltura e testimonia che essa è un’attività degna anche di un re e porta l’esempio di Ciro il Giovane Re dei Persiani e di eminenti personalità della storia di Roma quali ad esempio Cincinnato e M.Curio Denatato che alternavano attività politica e agricoltura.
L’autorevolezza della vecchiaia deriva da una vita ben vissuta. Presso i popoli più civili c’è un grande rispetto e una grande considerazione per gli anziani; di questo un ottimo esempio lo ha dato Sparta che, al contrario di Atene, assicurava agli anziani in qualunque caso un posto a teatro.
La quarta accusa: la vecchiaia avvicina alla morte. Catone afferma che bisogna imparare a non temere la morte e cita il pensiero di grandi filosofi come Pitagora e Platone. L’anima è divina e immortale: si trova temporaneamente nei corpi; ma dopo la morte del corpo torna in cielo per l’eternità. La certezza di una vita dopo la morte e la prospettiva di essere ricordati spingono molti uomini a compiere grandi opere. I saggi muoiono tranquilli perché sanno che raggiungeranno una condizione migliore. Catone ha vissuto bene una lunga vita, e vede con favore il giorno ormai vicino in cui la lascerà. E per tutti questi motivi la vecchiaia gli è leggera e anche piacevole.
Modernità del DE SENECTUTE
Il De Senectute è un’opera rasserenante che riesce a far accettare la vecchiaia e nonostante sia stata scritta da Cicerone più di duemila anni fa, è di una MODERNITA assoluta! Il segreto dell’arte di invecchiare sta nel fare una vita attiva e morigerata, nel coltivare molti interessi. Se andiamo a rileggere alcuni capitoli dell’Opera di Cicerone rileviamo una sorprendente concordanza con le considerazioni espresse dal Professor Francesco Maria Antonini ,considerato uno del fondatori della Gerontologia: “Le capacità creative ed associative dell’uomo possono continuare a svilupparsi se stimolate da una intensa vita intellettuale e così compensare la decadenza organica e prevenire l’emarginazione”
Confrontiamo il Decalogo del Professor F.M.Antonini sulla BUONA VECCHIAIA con quanto affermato da Catone in alcuni Capitoli.
Punto 3: ” Dedicati ad un lavoro creativo, l’invecchiamento è diverso a seconda del lavoro che si compie ( e del piacere che si prova facendolo )… CAPITOLO VII
Punto 4: ” Spostati progressivamente man mano che invecchi, da attività fisiche ad attività intellettuali “ … CAPITOLO X e XI
Punto 6: “ Per vincere la solitudine non essere egocentrico, non interessarti solo di te, ma soprattutto degli altri”… CAPITOLO XIV
Punto 7: “ La vecchiaia non allontana dalla vita attiva. Le attività che si avvalgono del vigore fisico, possono essere sostituite, nell’età matura, da altre in cui prevalgono le forze dello spirito” … CAPITOLO VI