Liste d’attesa eccessivamente lunghe e tutela del diritto alle prestazioni mediche in tempi ragionevoli (seconda parte)
(… continua)
Viceversa, relativamente ai controlli successivi rispetto al primo contatto le richieste devono essere gestite dal Medico Specialista della struttura, tramite l’attivazione di apposite agende dedicate – anche definite come C.U.P. di II livello – senza demandare al Medico di Medicina Generale e/o al Pediatra di Libera Scelta la prescrizione della prestazione sanitaria tramite ricetta del Servizio Sanitario Nazionale, effettuando così la presa in carico dell’assistito, percorso che si riferisce a problemi clinici già definiti.
Quanto sopra riportato trova piena conferma nel Piano Nazionale di Governo delle Liste di Attesa (P.N.G.L.A.) triennale che impone il rispetto, da parte delle Regioni e delle Province Autonome, dei tempi massimi di attesa individuati nei rispettivi Piani Regionali di Governo delle Liste di Attesa (P.R.G.L.A.), tempi massimi regionali che non devono essere superiori a quelli indicati dal piano nazionale.
In merito, il P.N.G.L.A. e, conseguentemente, i vari P.R.G.L.A. contengono e individuano dettagliatamente le singole prestazioni medico sanitarie e le relative modalità di erogazione, ivi compresi i termini massimi per ciascuna specifica prestazione.
Del resto, come anticipato, sebbene le norme e i provvedimenti impongono il rispetto di determinate tempistiche a seconda dello specifico caso sanitario, nella realtà quotidiana non sempre detti termini vengono rispettati generando, così, un vero e proprio disservizio e, conseguentemente, un vero e proprio disagio per i pazienti che, in alcuni casi, può rivelarsi fatale.
Nondimeno, il legislatore ha fornito uno strumento normativo finalizzato a porre rimedio alla lungaggine delle liste d’attesa, vale a dire il decreto legislativo 29 aprile 1998, n. 124 recante norme in materia di “Ridefinizione del sistema di partecipazione al costo delle prestazioni sanitarie e del regime delle esenzioni, a norma dell’articolo 59, comma 50, della legge 27 dicembre 1997, n. 449” pubblicato in Gazzetta Ufficiale alla serie generale n. 99 del 30 aprile 1998 e entrato in vigore in data 1° maggio 1998.
Infatti, la norma in parola prevede l’ipotesi in cui venga fornita una prenotazione di prestazione sanitaria oltre i termini sopra detti prevedendo, addirittura, l’ipotesi nel caso in cui non sia possibile prenotare la prestazione in quanto le prenotazioni siano sospese e, dunque, le prestazioni sanitarie non prenotabili.
In particolare, l’art. 3, comma 13, del decreto legislativo da ultimo menzionato, dispone che, qualora l’attesa della prestazione richiesta si prolunghi oltre i termini, come sopra visti, l’assistito può chiedere che la prestazione venga resa nell’ambito dell’attività libero-professionale intramuraria, ponendo a carico dell’azienda unità sanitaria locale nel cui ambito è richiesta la prestazione la differenza tra la somma versata a titolo di partecipazione al costo della prestazione e l’effettivo costo di quest’ultima, sulla scorta delle tariffe vigenti.
Viene specificato, altresì, che nel caso in cui l’utente sia esente dalla predetta partecipazione, l’azienda sanitaria locale di appartenenza e l’azienda unità sanitaria locale nel cui ambito è richiesta la prestazione corrispondano, in misura eguale, l’intero costo della prestazione.
In altre parole, detta norma prevede che, nel caso di superamento dei tempi massimi come sopra descritti, si può ottenere che la prestazione che è stata prenotata oltre i limiti temporali imposti o che, addirittura, non è stata possibile prenotare, venga erogata da altra struttura pubblica e/o convenzionata in grado di erogare la prestazione di diagnostica o specialistica entro i termini massimi stabiliti o, alternativamente, che la detta prestazione medico sanitaria venga erogata in intramoenia (vale a dire erogata dal medico specialista, in regime di libera attività professionale, all’interno della struttura ospedaliera) senza oneri aggiuntivi oltre al pagamento del ticket, qualora dovuto.
A tali fini, l’utente deve presentare domanda all’ASL di appartenenza corredata dalla proposta motivata di un medico specialista.
Ma vi è di più.
Asseritamente, qualora venga fornita una prenotazione della prestazione sanitaria oltre i limiti temporali massimi e l’utente, conseguentemente, ottenga la prestazione sanitaria a pagamento, all’esterno della struttura pubblica o convenzionata, l’utente stesso potrà richiedere il rimborso alla struttura sanitaria delle somme eccedenti l’importo dovuto a titolo di ticket, qualora dovuto. Diversamente, se l’utente beneficia dell’esenzione del ticket il rimborso potrà essere richiesto integralmente, ossia per l’intera somma corrisposta per la prestazione sanitaria dall’utente medesimo.
Inoltre, l’utente, sempre in caso di mancato rispetto dei termini massimi potrebbe ricorrere a cure all’estero a spese del Servizio Sanitario Nazionale, nei casi e nei limiti indicati dalla legge, così come espressamente sancito dalla legge 23 ottobre 1985, n. 595, art. 5, nonché dal D.M. Sanità 3 novembre 1989, in virtù dei quali i cittadini residenti in Italia hanno diritto a rivolgersi all’estero presso centri di altissima specializzazione per prestazioni che non siano ottenibili in Italia tempestivamente o in forma adeguata alla particolarità del caso clinico.
Tale diritto è riconosciuto anche nel caso in cui manchi la preventiva autorizzazione amministrativa, ove venga accertato che l’intervento sia avvenuto in stato di necessità, vale a dire che sia stato effettuato sollecitamente per non compromettere in maniera definitiva il risultato.
Nel caso in cui tale diritto venga negato, l’utente può rivolgersi all’Autorità Giudiziaria per ottenere il rimborso delle spese sostenute.
In merito, appare comunque consigliabile prenotare e, quindi, farsi inserire nella lista d’attesa anche se non sono rispettate le condizioni di prenotazione e, in particolare, i termini espressamente imposti, al fine di dimostrare il mancato rispetto da parte della struttura dei tempi massimi e, conseguentemente, la violazione del diritto di ottenere la prestazione medico sanitaria in tempi ragionevoli e, comunque, entro i tempi massimi normativamente imposti.
Ebbene, in caso di liste d’attesa eccessivamente lunghe, l’utente potrà ottenere la prestazione privatamente al solo costo del ticket, qualora dovuto.
A tale conclusione, sono giunte anche alcune corti nazionali e, in particolare, la Suprema Corte.
Più precisamente, sul punto, la Corte di Cassazione[1] aveva chiarito che “[…] nell’ipotesi in cui a fondamento della domanda di un assistito dal Servizio Sanitario Nazionale, rivolta ad ottenere il rimborso di spese ospedaliere non preventivamente autorizzate dalla Regione, vengano dedotte ragioni di urgenza (che comportano per l’assistito pericoli di vita o di aggravamento della malattia o di non adeguata guarigione evitabili soltanto con cure tempestive non ottenibili dalla struttura pubblica), manca ogni potere autorizzatorio discrezionale della pubblica amministrazione, non essendo rilevante in contrario la eventuale discrezionalità tecnica nell’apprezzamento del motivo di urgenza, atteso che oggetto della domanda è il diritto primario e fondamentalmente alla salute, il cui necessario temperamento con altri interessi, pure costituzionalmente protetti (quali la esistenza delle risorse del Servizio Sanitario Nazionale con le conseguenti legittime limitazioni con leggi, regolamenti ed atti amministrativi generali), non vale a privarlo della consistenza di diritto soggettivo perfetto, tutelabile innanzi al giudice ordinario” sì che “ pur in mancanza di preventiva autorizzazione, ben poteva richiedere il rimborso delle spese sostenute per l’intervento chirurgico effettuato presso un centro specializzato esterno alla struttura pubblica o convenzionata”.
A tale interpretazione ha aderito anche il Tribunale di Castrovillari[2] che ha ordinato all’Asl provinciale il pagamento delle spese riabilitative sostenute da una vittima di un incidente stradale, stabilendo che il rimborso è riconosciuto anche per quelle terapie che consentono di “[…] elidere o attenuare gli effetti della patologia, se del caso, anche mediante potenziamento delle capacità residue (diverse abilità) del soggetto”. Per il Tribunale di Castrovillari, dunque, è possibile ottenere il rimborso anche solo per prestazioni sanitarie, che offrano l’opportunità di migliorare le proprie condizioni di integrità psico-fisica, in quanto hanno ad oggetto la tutela di un diritto primario e fondamentale della persona – ossia il diritto alla salute, aderendo alla precedente pronuncia della Cassazione[3].
Più recentemente, anche il Tribunale di Lecce[4] ha riconosciuto il diritto alla salute sotto un nuovo e specifico punto di vista: il diritto, in caso di emergenza, al rimborso per prestazioni sanitarie effettuate presso privati e non preventivamente autorizzate, laddove si riscontri l’impossibilità di ricorrere a strutture pubbliche e, dunque, laddove non venga effettuata e garantita la prestazione sanitaria entro i termini massimi stabiliti dalla legge. (fine)
*Cultore della Materia in Diritto Notarile nell’Università degli Studi di Bologna
[1] Si v. Corte di Cassazione, sentenza n. 2444 del 20 febbraio 2001.
[2] Si v. Tribunale di Castrovillari, sentenza n. 1112 del 2013.
[3] Si v. Corte di Cassazione, sentenza n. 2923 del 27 febbraio 2012.
[4] Si v. Tribunale di Lecce, sentenza n. 5448 del 12 gennaio 2016.