Un dono “filosofico” a tutta la Redazione de Il Sorpasso
VOLANDO ALTO (anche noi!….)
Un dono “filosofico” a tutta la Redazione de Il Sorpasso
I
“ Fatti non foste a viver come bruti, ma per seguir virtute e canoscenza ” (Inferno, Canto XXVI, v. 119-120)
Questi due versi della Divina Commedia, dopo quelli iniziali, sono certamente i più noti e conosciuti al mondo, anche tra chi non ha avuto modo di leggere o di studiare l’immortale opera di Dante. In questo canto – detto di Ulisse – Dante propone alla nostra attenzione un tema decisivo della cultura classica che, in seguito, nel corso dei secoli, si è riproposto sempre negli stessi termini: andare oltre i limiti, provare/fare nuove esperienze. Dante riesce a sintetizzare questi concetti in un verso meno noto, ma senz’altro impareggiabile nella sua forma e nel suo contenuto:
“ Dei remi facemmo ali al folle volo ” (Inferno, canto XXVI, v. 125)
Nella ricostruzione poetica di Dante, Ulisse è il simbolo dell’uomo coraggioso e temerario che, dopo mille avventure, convince i suoi frati a non volersi negar l’esperienza di procedere, seguendo il cammino del sole, da oriente verso occidente, lì dove si pensa vi possa essere il mondo senza gente. Ulisse parla ai suoi compagni di avventure e di sventure e li convince a voler andare oltre le Colonne d’Ercole, oltre Gibilterra, in un mondo mai esplorato prima. Proprio per questo è un folle volo. La possibilità del ritorno in patria, alla vita tranquilla e senza pericoli nella propria famiglia, viene così esclusa, per poter tentare ciò che nessuno ha mai tentato prima: scoprire l’ignoto.
II
Aristotele scrive queste parole (circa 1650 anni prima di Dante…), nelle prime pagine della sua opera La Metafisica: “… gli uomini, sia nel nostro tempo sia dal principio, hanno cominciato a filosofare a causa della meraviglia: essi, da principio, si meravigliarono delle stranezze che erano a portata di mano, e in un secondo momento, a poco a poco, procedendo in questo stesso modo, affrontarono maggiori difficoltà, quali le affezioni della luna e del sole e delle stelle e l’origine dell’universo…”. I professori di filosofia, nelle proprie classi, hanno abitualmente riassunto questo splendido passo, affermando che la filosofia ha origine dalla meraviglia. Non è un concetto errato, ma andava e va sempre spiegato: una affermazione dice poco e niente, senza adeguata spiegazione. La meraviglia, come prima cosa, non è stupore; nei nostri dialoghi, spesso, si cade in questo grave errore di sovrapporre meraviglia e stupore. Lo stupore è un sentimento che scuote la nostra sensibilità, per ciò che è bello, particolare, meraviglioso, splendido etc. Ci stupisce, ad esempio, il bambino piccolino che sa esprimersi correttamente, quando parla con un adulto; ci stupisce il tavolo natalizio imbandito con cura e raffinatezza; ci stupisce uno spettacolo naturale di incomparabile bellezza; ci stupisce la novità che cogliamo ovunque, nel corso di un viaggio di piacere. Tutto ciò, però, non ha a che fare con il concetto di meraviglia: anzi, Aristotele ci fa capire, senza ombra di dubbio, che la meraviglia è, ridotta a una sintesi estrema, un vero e proprio salto nel buio, un tremendo dramma. La meraviglia, così, è una stranezza, una scoperta inaspettata, che sorge da incertezze, timori, preoccupazioni, è il laborioso e complesso tentativo di spiegare maggiori difficoltà. E se Aristotele si riferiva alle affezioni della luna e del sole e delle stelle e all’origine dell’universo, che erano il salto nel buio di tempi lontanissimi dai nostri, oggi potremmo dire che la nostra filosofia, la nostra meraviglia, il nostro salto nel buio, è cercare di capire l’ignoto, l’incerto, lo strano che ancora c’è, nel nostro mondo e nell’universo, malgrado i grandi progressi della scienza. In sintesi: la filosofia fa paura, incute timore, è ricerca continua, tensione verso l’ignoto. Una vera e drammatica scoperta fu certamente la teoria dell’evoluzione: lo stesso Darwin ne era cosciente, poiché ne parla più volte nella sua opera L’origine della specie (1859). Lo stesso si potrebbe dire di tanti altri drammi. Prendo un altro, clamoroso esempio: la scoperta dell’inconscio e la psicoanalisi di Freud, delineate e chiarite ne la Introduzione alla psicoanalisi, la raccolta completa delle sue lezioni universitarie a Vienna, nel biennio 1915-1917. E che dire della teoria della relatività, formulata da Einstein, dopo lunghi anni di studio (almeno i primi due decenni del Novecento)? Oppure della rivoluzione di Internet (le cui origini, non proprio nelle modalità attuali, risalgono al biennio 1982/84), vero, grande salto nel buio delle conoscenze umane, con il quale ci confrontiamo problematicamente ogni giorno?
III
Federico Nietzsche è il filosofo che più ha incarnato l’idea e la consapevolezza del concetto di dramma della conoscenza, in alcune sue notissime opere (abitualmente poco o per niente lette dai più che ne parlano …), tra le quali vanno almeno ricordate La gaia scienza (1882) e Così parlò Zarathustra (1883/5). È in queste due opere che emerge e si definisce il concetto di Ubermensch. Con una evidente forzatura etimologica e con un grave e volontario errore interpretativo, questo concetto, soprattutto in Italia, è stato tradotto con quello di superuomo. Ma Ubermensch, etimologicamente e concettualmente, significa uomo-oltre: Uber in tedesco significa appunto “oltre” e Mensch è termine che non dovrebbe tradursi con uomo, ma con umanità; d’altra parte, quando noi diciamo, ad esempio, che l’uomo è mortale non ci riferiamo a un uomo in particolare, bensì a “ogni uomo” che è destinato a morire. Questo uomo-oltre, nello Zarathustra, a un certo punto, viene descritto attraverso alcune analogie o miti; tralascio di analizzare dettagliatamente la figurazione splendida, celeberrima del pastore che morde la testa di un serpente, e mi soffermo solo a semplificarla, per chiarezza espositiva. Esistono due possibilità, per un uomo-oltre: o l’accettazione acritica della tradizione (il serpente che è in gola al pastore e gli impedisce di respirare) o il salto nel buio (il morso alla testa del serpente, che viene poi sputata): una “tragica” meraviglia che può essere rappresentata simbolicamente da un ponte, mai prima attraversato da un uomo. Dinanzi a un ponte, si deve decidere cosa fare: o si torna indietro, verso quella che Nietzsche definisce tradizione e/o storia del passato – tutto già noto, conosciuto, vissuto, provato, giudicato, accettato, criticato, ma pur sempre nel solco della tradizione; oppure, si va oltre, si cerca di attraversare il ponte, sapendo, però, che si lascia il noto per l’ignoto, il rassicurante per il problematico, il comune per l’insolito, il sereno e tranquillo per lo Zauma, il drammatico. Zarathustra, colui che predica ai nuovi uomini-oltre, spinge ad andare oltre il ponte, oltre la storia, oltre la tradizione: è il più gravoso dei salti nel buio, ma è l’unico che può garantire all’uomo-oltre di fondare dal nulla un nuovo mondo, un nuovo pensiero, una nuova umanità. In fondo, è questa – e solo questa – la vera Der Wille zur Macht, la vera volontà di potenza: il poter fare quello che si può e si sa fare, secondo le proprie attitudini e capacità, per un mondo nuovo e diverso, mai prima “sperimentato” e ricercato….
Che ciascun amico de Il Sorpasso tragga, da queste mie brevi riflessioni “filosofiche”, gli spunti utili a rendere la nostra fatica editoriale sempre più rispondente alle vere esigenze del nostro territorio. Buon lavoro per l’anno appena iniziato.
Raffaele Simoncini