Caterina Benincasa
Grande domenicana, è vissuta nel XIV secolo. Ancora oggi le sue opere, dal “Dialogo”, alle oltre 350 “Lettere”, alle “Preghiere” sono oggetto di studi approfonditi. In particolare l’Epistolario è opera da cui non si può prescindere, poiché costituisce una testimonianza diretta della vita della santa, scritto e/o dettato direttamente da lei e pertanto autentico nella descrizione di un mondo al femminile, non filtrato dall’interpretazione del genere maschile.
Le “Lettere” sono importanti poiché attraverso esse comprendiamo come una donna, poco colta, abbia potuto trattare, dibattere con illustri uomini della Chiesa, con gli stessi pontefici, su quesiti di rilevanza religiosa e politica, come se fosse persona di non comune preparazione e competenza. Affrontò ogni argomento con acume e pragmatismo.
Già scrivendo su Giovanna d’Arco, vissuta circa un secolo dopo, abbiamo avuto modo di accennare come il Medioevo sia stata un’età in cui politica e religione furono tra esse interconnesse.
Nell’Età di Mezzo la struttura sociale gerarchica, statica, e l’economia chiusa, che ignorò lo scambio, trovarono un evidente corrispettivo in una visione prettamente stabile della realtà intera, permeata profondamente dalla religiosità cristiana che dominò la civiltà medievale. L’ordine del Creato, in quanto provvidenziale e voluto da Dio, fu allora ritenuto perfetto e immutabile.
L’elemento che accomunò tutti gli uomini del Medioevo fu la religiosità, tanto che lo storico francese Marc Bloch li definì un “popolo di credenti“. In tutto il Medioevo vigette una visione metafisica del mondo: “Tutto è permeato dalla religione”, scrisse lo storico Hauser.
In tale contesto si staglia la figura di Caterina che con semplicità, entusiasmo e convinzione superò di gran lunga in acume governanti e diplomatici provvisti di maggiore preparazione. Molti sostennero che la fede, la santità e l’ispirazione consentirono a Caterina di arrivare dove cultura e preparazione vennero meno. Altri ipotizzarono che alcuni suoi scritti siano stati “rivisitati” laddove le sue testimonianze erano un po’ “semplici”. È comunque inconfutabile che la santa ebbe la forza di affrontare colloqui di rilievo in cui si confrontò con personaggi altolocati che seppero apprezzare i suoi pensieri e pareri.
Caterina nacque a Siena Il 25 marzo 1347. Il padre, Jacopo Benincasa, fu tintore nel rione di Fontebranda. La madre, Lapa Piagenti, mise al mondo una prole numerosa: ben 25 figli, fra cui Caterina che fu la penultima ed ebbe una gemella spentasi pochi giorni dopo la nascita. A noi non sono pervenuti tutti i nomi dei numerosi fratelli, mentre menzioniamo quello di Bonaventura, sorella la cui presenza fu di notevole importanza nella prima infanzia di Caterina.
L’ambiente familiare, in cui la santa crebbe, fu profondamente religioso ed influì notevolmente sul carattere della fanciulla attratta dalle pratiche spirituali, tanto che a sei anni ebbe la prima visione e a sette, volendo imitare gli anacoreti e manifestando il desiderio di diventare missionaria, fece voto di castità. Ma come accadeva in quel tempo madre e padre avevano ben altri progetti sulla figlia e pensavano al momento opportuno di riuscire a darla in moglie. Anche la sorella Bonaventura consigliò la giovane Caterina affinché affievolisse i suoi fervori religiosi e pensasse a possibili future nozze.
Gli avvenimenti presero tuttavia ben altro corso poiché Bonaventura morì di parto e i genitori iniziarono ad esercitare pressioni su Caterina perché sposasse il cognato rimasto vedovo, suscitando un rifiuto secco e categorico della santa.
Nel Medioevo l’aspirazione delle famiglie di far sposare il cognato rimasto vedovo con delle figlie più giovani era consuetudine abbastanza ricorrente, tanto che in proposito si è parlato anche di un tentativo di “sopraffazione androcentrica”. Possiamo però affermare che tale consuetudine si è protratta sino a tempi non lontani da noi.
La futura Santa contestò in modo deciso la proposta anche perché era già fermamente convinta di scegliere la vita monastica e l’invito a lei rivolto fu assunto come un segno evidente per cui dare un indirizzo preciso e irremovibile alla sua vita. Si oppose in modo energico ai progetti matrimoniali dei suoi genitori finché nel 1363 cadde ammalata. Il suo corpo si ricoprì interamente di vistose pustole, in particolare il viso, il collo e le braccia.
La malattia evidenziata da Caterina ritorna spesso nelle biografie anche di altre sante, dove è stata riscontrata l’insorgenza di disturbi fisici quando le giovani venivano costrette dalle famiglie a compiere scelte di vita che respingevano. Venivano prese da tremiti e febbre, non riuscivano a parlare, rifiutavano il cibo sulla base del fenomeno denominato della “santa anoressia”.
Non ci addentriamo su diagnosi che non ci competono, se fossero crisi di panico, disturbi psicosomatici o altro e continuiamo il racconto.
Caterina fu presa da conati di vomito, ronzio alle orecchie, capogiri, senso di soffocamento, vertigini, disturbi alla respirazione e una inspiegabile malattia della pelle che la sfigurò.
Così le nozze furono evitate, dopodiché la futura santa riuscì ad entrare fra le Mantellate domenicane di Siena, nonostante la giovane età.
Da quel momento in poi si dedicò alla vita ascetica, a opere di pietà e di misericordia, che furono ritenute eccessive tanto che contro di lei si levarono diverse voci e la giovane domenicana fu soggetta ad una vera e propria denigrazione a cui reagì raddoppiando il suo impegno nei confronti dei poveri e degli ammalati, specialmente i lebbrosi di San Lazzaro. La faticosa attività che avrebbe potuto riempire addirittura la vita di due persone e che lei proseguì da sola non bastò a completare la sua esistenza, così continuò a seguire con occhio vigile le vicende storiche della Chiesa e del papato avignonese, convinta che senza il ritorno del pontefice a Roma, sede storica e tradizionale da sempre, non si sarebbe potuto dar vita ad un programma di vero rinnovamento di cui la Chiesa e il papato in quel momento avevano un gran bisogno.
Fu per lei motivo di grande gioia il ritorno a Roma di Urbano V e successivamente le sembrò funesto il suo rientro in Francia. Del resto Caterina poco prima della inattesa partenza di Urbano ebbe una visione nota e significativa in cui Dio intese allontanarla dalla vita contemplativa per affidarle un compito come messaggera fra gli uomini, volta a riportare nella cristianità la perduta pace. La visione fu importante, sebbene meno sconvolgente di quelle avute da Brigida di Svezia, poiché da essa scaturì la radicale trasformazione della vita di Caterina.
Dopo la visione ella volle avviare un programma di azione destinato a produrre mutamenti che la santa ritenne indispensabile per il bene della Chiesa e della cristianità. La domenicana si propose innanzitutto di pacificare l’Italia, dilaniata da continue contese cittadine e da odi, quindi di procedere alla pacificazione di Roma e al rientro definitivo dei pontifici, e mirò a realizzare una crociata contro i Turchi e a riformare la Chiesa. Questi furono i punti in cui e su cui, secondo Caterina, la Chiesa si doveva impegnare al fine di una profonda rigenerazione da tempo annunciata e mai realizzata.
La santa volle condividere il suo programma con i membri dell’Ordine domenicano e con i suoi superiori. A quel punto si riaccese la malevolenza nei suoi confronti, già espressa nel passato, e la senese fu chiamata a Santa Maria Novella, in Firenze, in occasione delle Pentecoste del 1374 quando si riunì il Capitolo generale dell’Ordine. In quel contesto fu interrogata poiché i superiori volevano comprendere a fondo le sue intenzioni, l’autenticità della sua fede ed eventuali apostasie nei suoi ragionamenti. La santa subì un vero e proprio processo che superò ampiamente convincendo tutti della sincerità e dell’eccellenza del suo programma.
In proposito conviene fare un parallelo fra l’atteggiamento della domenicana con quello di Giovanna d’Arco. Quest’ultima, confusa e molto spaventata, trovandosi in una situazione non del tutto diversa, perse il controllo di sé e dette agli inquisitori risposte pericolose per cui letteralmente si autocondannò, andando incontro all’esecuzione capitale. Caterina invece rispose in modo fermo e chiaro. Le sue idee, la preparazione con cui esse furono espresse ed elaborate e la determinazione, che trasparirono, condussero il Capitolo generale dell’Ordine a darle credito.
Caterina vinse per la sua abilità di convincimento, di persuasione che la contraddistinse e fece di lei un personaggio di eccezionale statura ed interesse, tanto che nel 1375 su incarico di Papa Gregorio XI, il quale credeva nella crociata auspicata dalla santa e voleva che fosse completamente organizzata, prese parte alla predisposizione di un progetto di guerra santa avviato in varie città della Toscana.
Purtroppo fra la Chiesa e le città toscane i rapporti erano tesi e Caterina si adoperò invano al fine di scoraggiare l’unione di una lega toscana contro il pontefice, poiché la situazione precipitò e scoppiò un conflitto tra Firenze e il pontefice – la famosa guerra degli “otto Santi”.
Toccò a Caterina, a prova del grande prestigio nonché dell’onore che le fu riservato, di recarsi ad Avignone, da Gregorio XI, quale ambasciatrice dei fiorentini. Il pontefice accolse con benevolenza colei che fu denominata “l’italiana” ma la situazione peggiorò poiché Firenze scese apertamente in lotta contro il pontefice e gli ambasciatori, inviati ad Avignone, non vollero ascoltare ulteriormente Caterina, che, messa da parte, soffrì molto di quella che definì la “malafede dei governanti”.
Il viaggio di Caterina ad Avignone e i contatti avuti con il pontefice diedero comunque i loro frutti poiché la santa riuscì con autorevolezza a convincere Gregorio XI sull’opportunità di rientrare a Roma argomentando ragionamenti di carattere politico e non attraverso pregiudizi, come quelli invocati da Brigida di Svezia. Infatti se Brigida invitò il pontefice a rientrare in Roma affinché i Romani si ravvedessero e la città fosse salvata dalla corruzione dilagante, Caterina propose un programma politico le cui argomentazioni partivano dalla constatazione della difficile situazione storica e politica dell’Occidente che la Chiesa non era riuscita a risolvere dalla Francia. Inoltre insistette molto sul pericolo derivante dal rafforzamento della potenza turca nel Mediterraneo che il pontefice avrebbe potuto fronteggiare meglio da Roma, ormai minacciata dagli infedeli.
Il pontefice, dopo una lunga esitazione, il 16 settembre 1376 rientrò a Roma con l’intenzione di riportare la sede del papato stabilmente nell’Urbe. Tenne in grande considerazione le proposte di Caterina tanto che, lasciando Avignone, ordinò alla santa di tornare nuovamente a Firenze al fine di portare a compimento un’azione pacificatrice con la città, pacificazione che sarebbe stata necessaria e di supporto al rientro del papato in Italia.
In Firenze però le condizioni erano molto peggiorate. Fu quello il momento del “tumulto degli Ammoniti” e del “tumulto dei Ciompi” che pose in pericolo l’esistenza della stessa santa, messaggera di pace. Pertanto non fu possibile alla senese “tessere” il riavvicinamento fra Roma e Firenze.
Nel 1378 Gregorio XI, ultimo papa francese, morì e così fallì il congresso convocato a Sarzana, destinato a normalizzare i rapporti fra il papato e la Toscana, irrimediabilmente guastati nell’ultimo periodo.
A riportare un’atmosfera più distesa contribuì il pontefice italiano Urbano VI quando il 18 luglio 1378 in Firenze, a Palazzo Vecchio, fu appeso il sospirato e atteso ramo d’ulivo, apportatore di pace fra le due potenze.
Quel momento sembrò aprire per Caterina un nuovo periodo operoso, denso di realizzazione e riconoscimenti per la sua infaticabile azione pacificatrice. La santa tornò a Siena e dettò il famoso “Dialogo della Divina Provvidenza”, dove furono raccolte e condensate le numerose prove della sua vita con molteplici richiami alle lettere, alle visioni e alle esperienze mistiche destinate nel loro complesso ad animare quello che poi fu denominato il vero libro della Benincasa.
Urbano VI, dopo la successione di sette pontifici francesi, con il suo carattere intransigente purtroppo urtò la sensibilità dei porporati, privandosi dell’iniziale disponibilità di non pochi alti prelati e funzionari di Curia. I contrasti venutisi nuovamente a creare in Roma e nei territori della Chiesa si guastarono a tal punto che si giunse ad una vera e propria rivolta terminata con la scelta di un nuovo pontefice Clemente VII, Roberto di Ginevra, eletto a Fondi il 20 settembre 1378, anno in cui si verificò un lungo e grave scisma d’Occidente, che fece tramontare ogni progetto di crociata e di riforma interna e trascinò la cristianità in un quarantennio di conflitti che si aggiunsero al precedente settantennio di pontificato avignonese.
Caterina fu addirittura accusata di essere la causa di quello scisma per avere insistito a favore del rientro del papato in Roma ma, lungi dall’arrendersi, riprese la sua infaticabile opera di “tessitura” pacificatrice. Del resto ella aveva già dato prova di rifulgere nei momenti di maggiore difficoltà e affermò con determinazione che lo scisma era la chiara conseguenza della lunga permanenza dei pontefici in Francia e che i suoi detrattori confondevano la causa con l’effetto.
Papa Urbano VI, uomo risoluto e deciso, convinto dalle argomentazioni di Caterina, la chiamò a Roma dove la santa prese parte e parola al Concistoro il 25 novembre 1378, rianimando il Collegio cardinalizio spento e demotivato e scagliandosi contro gli scismatici, in primis Roberto di Ginevra, divenuto Clemente VII. Promosse la crociata a lungo rimandata e richiamò attorno a Urbano VI gli uomini di più alta spiritualità da ogni contrada della penisola.
La presenza di Caterina in Roma ebbe un’influenza positiva su Urbano VI poiché la santa riuscì a smussare gli aspetti più rigidi e intransigenti del pontefice nei confronti degli abitanti dell’Urbe. Il suo innato spirito caritatevole ebbe la meglio nei confronti dei Romani.
La domenicana usò sempre espressioni improntate ad un caldo senso di carità cristiana e riuscì a convincere il pontefice ad accogliere i suoi “diletti figlioli”, a non respingerli per nessuno ragione. Secondo la santa era Infatti importante che tutti si ravvedessero in virtù di un atteggiamento amorevole e non costretti da un’eccessiva animosità e severità.
Il papa afferrò appieno il senso e la portata delle affermazioni della santa e grazie a lei gradualmente ristabilì un clima più disteso nella città. Sicché mentre vent’anni prima gruppi di cittadini vocianti inseguivano Brigida di Svezia, invitandola senza troppi complimenti a lasciare la città di Roma, dove non aveva nessun motivo per trattenersi e dove era malvista, nel 1378 gli stessi cittadini presero a seguire Santa Caterina lungo il percorso giornaliero che la portava dalla sua residenza, non lontano dal Pantheon, sino alla chiesa di Santa Maria sopra Minerva e di lì sino al Ponte Sant’Angelo e a San Pietro, scortandola incantati dall’aureola di Santità che la circondava.
Caterina riuscì a tessere rapporti, che diedero ottimi risultati, anche con i potentati italiani. Scrisse a Giovanna II di Napoli, aperta sostenitrice del partito francese dall’epoca del Concilio di Fondi, la quale, pur non scostandosi dai suoi convincimenti, mitigò l’iniziale entusiasmo e cominciò a considerare con attenzione le ragioni di papa Urbano VI e del Collegio cardinalizio romano.
La santa domenicana fu sempre molto operosa ma nel biennio 1378-1380 attraversò il momento più difficile e faticoso della sua vita, tesa sempre alla riparazione delle colpe e all’espiazione del male. Si prodigò per una quantità di cause, per la capitolazione della fortezza di Castel Sant’Angelo ancora nelle mani dei Francesi e fece pressione sul condottiero Alberico da Barbiano affinché cacciasse gli avversari di Urbano VI sconfitti a Marino. Inoltre riuscì a ristabilire completamente la pace fra il popolo e il Pontefice nel corso di una sommossa animata da emissari francesi.
Ormai fiaccata dall’immensa mole di lavoro affrontato sempre con grande entusiasmo, dalle continue preghiere, dalle visioni che le causavano dolori lancinanti, emorragie e comparsa di piaghe, e dai ripetuti digiuni, l’illustre domenicana deperì rapidamente fino a che il 29 aprile del 1380 chiuse per sempre gli occhi.
I suoi funerali furono tre e oltremodo solenni. Più che funerali furono dei veri e propri trionfi: il primo voluto dal pontefice; il secondo dal senatore Giovanni Conti; l’ultimo dall’Ordine dei Predicatori.
Unanime fu il riconoscimento dei suoi grandi meriti, uniti all’eccezionale capacità di inserirsi nei più diversi contesti, di cui riuscì a cogliere il focus, comprendendo come dovessero essere affrontati e risolti i problemi.
Dopo la morte sulla sua tomba iniziarono a moltiplicarsi i miracoli, originando un moto destinato a crescere di densità sia in Roma sia in tutta la Chiesa che la canonizzò nel 1461 durante il pontificato di Pio II Piccolomini.
Nell’ambito della missione affidatale, la domenicana ebbe sempre la consapevolezza del suo ruolo di donna, animata da coraggio, volontà e spirito di iniziativa in quel tempo inusuali nel genere femminile.
Ebbe costanti rapporti con il clero regolare di altri Ordini religiosi, in particolare con i Francescani e gli Agostiniani, e con le donne dell’Ordine dei Predicatori, come Maria Mancini da Pisa e Bianchina Salimbeni.