LA CAPPELLA SISTINA D’ABRUZZO

 dell’archeologa Arianna Di Felice

Durante una pigra domenica dello scorso autunno, precisamente a novembre, sono partita alla volta di una gita fuori porta che programmavo da tempo. Il mondo è pieno di meraviglie da scoprire e di bellezze mozzafiato. Tuttavia, spesso dimentichiamo come tesori di inestimabile valore si trovino anche dietro l’angolo o quasi. Come spesso accade, la Bellezza inizia sin dal viaggio in auto. Poco dopo aver imboccato l’uscita Bussi-Popoli sulla A25, infatti, si incontra una chicca meritevole di una sosta: Santa Maria di Cartignano, costruita agli inizi dell’anno Mille e poi ampliata, fino al suo abbandono nel ‘500. Quel che resta di questa struttura monastica benedettina del XI secolo sorge oggi parallelamente alla strada statale 153 del Tirino, nei pressi dell’omonima Bussi. Oltre all’ammirevole impianto architettonico prettamente romanico, ad oggi la caratteristica più attrattiva del sito è sicuramente l’assenza della copertura. Passeggiare tra questi ruderi, ma sotto il cielo come in una piccola San Galgano, dona fascino e magia a ciò che potrebbe essere forse meglio valorizzato. Il viaggio continua attraverso la valle del Tirino, passando per Capestrano e dentro splendidi paesaggi fino a Navelli, punto da cui inizia l’altopiano. Poco dopo si devia per Caporciano e quindi si sale fino a Bominaco, una piccola frazione a pochi chilometri dal Parco Nazionale del Gran Sasso e dei Monti della Laga. Qui mi sono unita a un folto gruppo di camminatori che quel giorno aveva scelto come tappa finale di un pellegrinaggio durato giorni proprio questo piccolo borgo medievale dell’Aquilano. Bominaco, antico nome Mamenacus, è stata sede di un importante complesso monastico. Sorto attorno al X secolo sotto l’ordine benedettino, fungeva da nucleo strategico per posizione e condizioni. Leggenda vuole che sia stato proprio Carlo Magno, di passaggio in queste terre durante uno dei suoi viaggi, a commissionare la costruzione dell’oratorio dedicato a San Pellegrino, al posto della chiesa preesistente, e a donare i terreni su cui fondare il monastero. Ad oggi dell’intero complesso, poi distrutto e abbandonato nel corso dei secoli, sono ben visibili il castello sul monte Buscito (roccaforte sorta durante il XI secolo e poi rafforzata nei secoli successivi, con l’accrescersi del potere del monastero sottostante), la chiesa di Santa Maria Assunta e il famoso Oratorio di San Pellegrino. Arrivati proprio davanti al cancello di quest’ultimo troviamo un cartello con un numero di cellulare, a cui risponde una gentile signora che nel giro di pochi minuti arriva a farci da guida, a titolo volontario e gratuito. La visita inizia facendo quattro passi fino alla chiesa, posta poco più in alto rispetto all’ingresso dell’Oratorio. La chiesa di Santa Maria Assunta è splendida, classico esempio di stile romanico abruzzese, con tre navate separate da colonne di recupero che terminano in tre absidi semicircolari e visibili dall’esterno. La guida ci spiega come si sappia molto poco sulla data effettiva della costruzione (anche qui attorno all’anno Mille). Quel che è certo è che nel corso del XII secolo, a partire dalla guida dell’abate Giovanni, la chiesa venne ampliata con degli elementi di eccezionale importanza, come lo splendido pulpito in pietra sorretto da colonne, la cattedra, un baldacchino e diversi affreschi. Chiusi letteralmente i battenti della chiesa, il nostro gruppo si dirige finalmente verso il piccolissimo Oratorio, grazioso e alquanto essenziale visto dall’esterno. Un’iscrizione sul piccolo rosone, che attribuisce all’abate Teodino la commissione per la decorazione dell’Oratorio, con data 1263 (probabilmente il completamento dei lavori) da qualche informazione di relativa certezza.

La guida ci fa entrare ordinatamente all’interno dell’edificio nel buio più totale. Qualcuno di noi inserisce delle monete in un contatore e uno spettacolo unico si illumina davanti ai nostri occhi. L’intera superficie del piccolo edificio è affrescata con stupefacente maestria. Colori ancora vividi, iscrizioni, figure dettagliate e variopinte corrono lungo le pareti e sull’intera volta. Entrando dall’ingresso sotto il porticato, la parete meglio conservata risulta senz’altro quella di sinistra e tutta l’aula è divisa in due da due muretti in pietra, affrescati anch’essi, che dividevano la zona destinata ai fedeli da quella destinata ai monaci. Sul fondo una scalinata che collega l’ingresso sul retro al presbiterio. È commovente l’improvvisa, incredibile bellezza racchiusa in un luogo di cui nessuno sospetta. La nostra guida, divertita dalle continue manifestazioni di stupore che osserva nei gruppi che accompagna, inizia a spiegarci il significato delle decorazioni, a partire proprio da quelle riguardanti San Pellegrino, a cui l’Oratorio è dedicato. Scene dettagliate della vita e del martirio del Santo si alternano a scene dell’infanzia e a momenti salienti della vita e della Passione di Cristo o al Giudizio Universale. Le tematiche sono accavallate tra loro, predisposte in registri differenti e su pareti opposte, in una strana sequenza continuativa e intervallate da motivi puramente decorativi dai colori sgargianti, frutto di una notevole abilità pittorica. La guida racconta come ogni ciclo sia quasi certamente opera di differenti maestri, che si sono avvicendati alla realizzazione di questi affreschi. Infatti, nonostante l’innegabile talento comune, tra i vari cicli sono evidenti alcune differenze stilistiche. Tra le migliori espressioni di queste varianti pittoriche, vi è sicuramente il ciclo allegorico dei mesi dell’anno. Riprodotto come un vero e proprio calendario, a ogni mese è abbinata una figura allegorica che impersona le caratteristiche del periodo dell’anno in questione, con miniature dei segni zodiacali, elementi del calendario lunare e i suoi influssi sulla coltivazione dei campi, in segno di rispetto della natura e del volere di Dio per le questioni degli uomini. Ogni particolare è dipinto con estrema abilità e sono tantissimi i riferimenti alle tradizioni orientali o pagane, dall’astrologia ai dragoni, a testimoniare l’altissimo livello delle maestranze e la volontà che c’era di rendere questo luogo un centro di grande rilevanza liturgica e intellettuale durante il Medioevo. Il tempo scade, le luci si spengono e lasciamo tutti malvolentieri, e ancora attoniti, questa perla così rara ed emozionante. L’Oratorio di San Pellegrino è divenuto Patrimonio Mondiale dell’Umanità nel 1996 e l’appellativo di “Cappella Sistina d’Abruzzo” descrive perfettamente questo scrigno dai tesori preziosi, che ogni anno accoglie migliaia di turisti, puntualmente incantati dall’assoluta unicità di questo luogo, orgoglio per la nostra regione.

Lascia un commento