Guerra
di Pasquale Sofi
Nessuno ci aveva creduto! Che oggi in Europa si potessero vivere momenti di guerra, qualche mese fa nessuno mai ci avrebbe creduto. Come se quanto precedentemente accaduto, in Iraq prima e in Kossovo dopo (per tacere di Cecenia, Siria e Sahel di recente), fosse stato tratto dalle scene di un film dell’orrore che ci ha coinvolti poco o per nulla. La mia generazione e tutte quelle che l’hanno seguita hanno sempre immaginato che argomenti di questa natura toccasse viverli solo ad altri e che noi ne dovessimo rimanerne immuni. Alla stessa stregua di un fumatore incallito che crede che il cancro ai polmoni prima o poi arriverà… agli altri. Non pensavamo che oggi si potessero citare termini come bombe a grappolo, armi chimiche o addirittura sentire di minacce con armi atomiche. Eppure, non solo tutto questo è successo e sta succedendo, ma è necessario che ci si dia tutti una svegliata e si cominci a riflettere sulle parole di Draghi, che tanti ancora continuano a banalizzare: condizionatore o pace. Dobbiamo cominciare a pensare che il nostro domani deve ricominciare su altre basi e ipotizzare anche che l’età del benessere che abbiamo vissuto fino a poco tempo fa dobbiamo riconquistarla con altri presupposti e altre concretezze. In realtà avremmo già dovuto farlo a seguito della pandemia, ma come al solito in Italia i proclami della montagna politica partoriscono i classici topolini. I fatti dell’Ucraina devono riportarci con i piedi per terra e farci riflettere in maniera più approfondita sulle ragioni concrete e non viziate né da ideologie nostalgiche né da pacifismi isterici. Per non tacere delle opinioni di quei frustrati che nell’affannoso tentativo di esibire una sussiegosa originalità si trasformano in apologeti delle assurdità o dell’equidistanza. Personalmente mi vergogno di essere chiamato Professore come tale Orsini, un carneade che assurge al ruolo di intellettuale per il cumulo di castronerie che dispensa in tv e nei giornali che, citandolo, invece di oscurarlo ne incentivano la notorietà. L’intervento in Ucraina ha fatto sì che l’Europa si compattasse e riproponesse una vecchia e ritrovata direzione di senso intorno a un nuovo spirito di solidarietà nei confronti di un popolo eroico che si dimostra sempre più, giorno dopo giorno, degno di ammirazione. Non oso nemmeno immaginare se ci fossimo trovati noi italiani al posto degli ucraini… ricordo a chi arriccia il naso nel leggere queste parole che noi non abbiamo mai concluso una guerra con chi l’abbiamo iniziata; questo spiega il perché ci siano in Italia persone che confondono i ruoli tra assalitore e assalito. E mi fermo qui…. Torno a ripetere dell’importanza di un’Europa coesa nei principi e nelle azioni che abbia una politica estera comune e una difesa comune. È importante, soprattutto per noi, seguire le strade dell’innovazione tecnologica e della transizione ecologica. Il pericolo maggiore che grava sui paesi occidentali è quello di commettere l’errore di assuefarsi a una guerra che pensiamo non ci appartenga e che domani, una volta arrivati al tavolo della pace, tutto ricominci come prima. Credo invece che inizierà, a quel punto, una stagione di ricostruzione e di riproposizione di nuovi valori che saranno anche il frutto della nuova geopolitica. Ci troveremo in una condizione come lo è stata quella post Yalta; ma stavolta senza conoscere chi, in questa partita, avrà il potere di dare le carte.
La storia racconta dell’imperialismo russo (lo si credeva morto nel 1991) che nel suo DNA ha sempre presentato la volontà di allargare verso occidente il proprio raggio di influenza (riducendo i paesi limitrofi allo stato di vassallaggio come lo è l’attuale Bielorussia) sebbene contasse, prima che l’Unione delle Repubbliche Socialiste Sovietiche fosse sciolta, un bacino di ben oltre 22 milioni di km quadrati di territorio, comprendente un numero di lingue, etnie e religioni impressionante. Pertanto, quanto si verifica oggi in Ucraina non è causa di motivazioni metafisiche, ma è un vizio ancestrale che l’attuale Zar del Cremlino ripropone fin dalla sua prima elezione (allora con l’intervento in Cecenia).
L’Ucraina era già stata invasa nel 1933 con Stalin, mentre nel 1939 era stata la volta della Finlandia a subire l’invasione; stessa sorte subì l’Ungheria nel 1956 con Krusciov (dopo che due anni prima lo stesso leader aveva regalato la Crimea all’Ucraina), seguita sia dalla Cecoslovacchia nel 1968 che dalla Polonia nel1980, entrambe con Breznev.
Negli anni dell’URSS l’espansionismo era stato, in un primo momento, prioritariamente mirato a un controllo politico più che amministrativo-gestionale dei paesi invasi, ma dal 1999, oltre al controllo politico, l’intervento armato cominciava ad assumere un ruolo fondamentale: l’aspetto economico, andando così a interessare soprattutto territori ricchi di petrolio, gas e terre rare; oppure vie di comunicazione sia di terra che di mare utili, oltre alla necessaria viabilità, a costruire gasdotti e oleodotti e anche per raggiungere zone di interesse strategico (la Cecenia, l’Ucraina con il Donbass e la Crimea ne sono un chiaro esempio). È nato così e si è rafforzato tra il silenzio generale e l’inconscia indulgenza degli altri stati, il potere economico e militare della Russia che attorno al suo Zar ha costruito un’oligarchia di amici- collaboratori fidati i quali, sulla scorta di quanto l’alleato cinese continua a fare ancora oggi per il mondo, vanno a investire in diverse aree appetibili, non solo dell’Europa, quali Inghilterra, Spagna e Italia, ma anche dell’Africa e del Medio Oriente.
È evidente che l’invasione dell’Ucraina sia stata abilmente preparata. Ma con quali finalità ultime ancora non ci è dato di capire; troppe risorse sono messe in campo per aspirare a raggiungere traguardi poco velleitari e non si può escludere il vecchio pazzo sogno egemonico di poter aspirare a comandare il mondo. Quasi certamente, prima ancora di agire sul fronte militare, il corpo diplomatico, complice il sonno americano, ha tessuto una rete di accordi e collaborazioni che hanno portato l’asse russo-cinese a rappresentare una vera spina nel fianco per il mondo intero.
Avevo scritto non molto tempo fa su questo giornale degli schieramenti che si andavano a riconfigurare in sostituzione dei vecchi blocchi. In quell’analisi avevo palesato le mie incertezze sui posizionamenti di India e Pakistan, ma mai avrei immaginato che le due potenze atomiche potessero schierarsi dalla stessa parte; invece, a sorpresa i due acerrimi nemici si sono schierati all’ONU a favore dall’asse russo-cinese. È sorprendente anche come questo asse abbia strategicamente attirato nella propria zona di influenza il Brasile di Bolsonaro e stia lavorando anche su Israele (oggi satellite americano non più di tanto), mentre permane l’ambiguità di Erdogan e della sua Turchia. La rinuncia di Obama prima e di Trump poi a mantenere la presenza USA nel Mediterraneo, in Medio Oriente e in Africa si sta rivelando esiziale per il mondo intero. Perché è venuta meno in quelle zone la deterrenza utile a garantire un giusto equilibrio di forze.
A scoprire il gioco geopolitico di Russia e Cina credo sia stato lo stesso Biden (troppo spesso ingiustamente vituperato da chi ingenuamente non cerca di rendesi conto dei gravi problemi interni creati da Trump) quando, tenendo all’oscuro l’Europa, ha stretto un patto di alleanza con Australia e Regno Unito per produrre sottomarini a propulsione nucleare (con le proteste scontate della Cina) nella la speranza che il vecchio accordo con la stessa Australia e la Nuova Zelanda potesse ancora reggere, mitigando in parte la carenza di forza militare nel pacifico. Nulla da fare nell’oceano Indiano dove India e Cina dominano incontrastate. Altro che NATO! Basta solo provare a elencare le potenze (soprattutto nucleari) che stanno nei due blocchi e ci si rende facilmente conto di chi al momento sarebbe destinato a soccombere. Ecco quindi la mission che dovrà guidare i prossimi anni dell’alleanza atlantica; una mission che, stravolgendo le vecchie ipotesi, rivolga l’attenzione verso nuove strategie che comportino da subito la ricerca di nuove alleanze utili per garantire gli equilibri necessari al mantenimento della pace nel mondo.
Quanto alla pace, non vorrei vestire i panni di una nuova Cassandra, perché da subito (dal 24 febbraio) ho pensato che uno spiegamento di forze così poderoso da parte della Russia in Ucraina non avrebbe potuto avere come finalità l’annessione del solo Donbass. A parere di chi scrive, l’obiettivo minimo dovrebbe essere l’occupazione del Donbass e la sua ricongiunzione costiera alla Crimea, meta più ambiziosa sarebbe l’occupazione di tutta la fascia Nord del Mar Nero dal Donbass alla Transnistria, e già questo farebbe drizzare le antenne a buona parte degli Stati del globo scatenando un intreccio di relazioni vecchie e nuove piuttosto frenetico e concitato per potersi posizionare al meglio tra gli schieramenti e garantirsi i migliori vantaggi. Preoccupano sia la baldanza e la disinvoltura con le quali vengono esibiti i muscoli da parte dei russi (carri armati e super missili di ultima generazione) che l’incertezza sugli esiti della contesa alla luce delle risultanze non solo militari ma soprattutto economiche. Purtroppo, l’enfasi della propaganda da parte di entrambi i contendenti non consente una serena valutazione dello stato delle cose: ma per volere la pace occorre essere in due e al momento siamo lontani.
Ma se dopo la Transnistria nel mirino degli ex sovietici entrerà anche la Moldavia, allora lo scoppio della terza guerra mondiale diventerà automatico. È necessario quindi puntare decisamente sulla pace ricordandoci che per mantenerla occorre una deterrenza militare equilibrata tra i due blocchi. Oggi continua ancora la corsa al riarmo nucleare; speriamo che entro la fine del decennio un accordo globale lo possa ridurre decisamente.
In questo momento l’Europa è compatta in una solidarietà senza precedenti, avendo scelto senza se e senza ma di stare dalla parte dell’Ucraina e dell’Alleanza Atlantica, ma tutto questo dipende dai vari stati nazionali. Per la prima volta il gruppo di Visegrad si è schierato con l’Occidente, con l’unica titubante eccezione del solito Orban, e quindi l’occasione che si propone diventa anche utile per le riforme che servono a costruire gli Stati Uniti d’Europa. Tutto dipende dagli stati nazionali. Da noi abbiamo visto l’adesione incondizionata (unici in Europa) alla Via della Seta cercando di compiacere ai cinesi; ma quanti adulatori hanno cercato la Russia negli ultimi anni per interessi di bottega? Chi sono costoro li conosciamo bene, ma poi quando serve ce ne dimentichiamo. A tal proposito, chissà che fine hanno fatto le inchieste della magistratura circa i rapporti con la Russia di alcuni politici? Finché non smettiamo di comportarci come un popolo di banderuole alla perenne ricerca del proprio interesse e dell’esaltazione del proprio ego, avremo sempre tra noi i professori della resa, delle equidistanze e dei distinguo, in particolare tra i giornalisti, sindacalisti, filosofi, sociologi etc. quasi tutti provenienti dalla stessa matrice. Sarebbe ormai ora di imparare a saper scegliere.