Ei fu …
di Pasquale Sofi
Con le giuste proporzioni! A ciascuno il suo scriveva, Leonardo Sciascia: a Napoleone la raffinatissima penna di Alessandro Manzoni, al Cavaliere di Arcore … quello che passa il convento …
Per tre giorni abbiamo assistito a reti unificate alla beatificazione, o poco giù di lì, del compianto Silvio Berlusconi, l’imprenditore che come Napoleone si “nomò due secoli”. Lutto Nazionale, funerali di Stato, l’omaggio del suo popolo, oltre a quello del Presidente del Consiglio che ha permesso tutto ciò, e della parte politica cui apparteneva e che in gran parte aveva fondato.
Questo perché il Cavaliere è stato l’italiano che più di ogni altro si è distinto tra la fine del Novecento e l’inizio del secondo millennio, caratterizzando quasi un trentennio sia nell’imprenditoria, che nella politica e anche nello sport.
L’uomo, accompagnato da un’intelligenza vivida, con ostinazione, tenacia e savoir faire (quando a lui necessario), è stato protagonista assoluto del suddetto periodo creando un impero quasi dal nulla; tuttavia, le celebrazioni cui abbiamo assistito sono apparse un tantino di esagerate. Non ci troviamo di fronte alla versione maschile di Madre Teresa di Calcutta…
Da giovane imprenditore avviò la sua attività nell’edilizia dove, mixando visione e qualità diede i contorni ad un progetto che portò alla realizzazione di due quartieri residenziali di concezione moderna, Milano 2 e Milano 3, caratterizzati dall’alta qualità dei servizi offerti al punto da essere definiti “ghetti dei ricchi”. Provate a immaginare negli anni ‘60-‘70 lo sviluppo di un territorio immerso in un verde strutturato, con tanto di laghetto artificiale e contornato da reti di strade separate per pedoni, ciclisti e automobilisti, con le costruzioni concepite non oltre il sesto piano (proprio l’opposto di quanto si andava realizzando in quel tempo a Montesilvano) e con i servizi essenziali strategicamente disseminati nel territorio (Milano 3 con un centro direzionale).
All’inizio degli anni Ottanta dopo aver rilevato Telemilano e averla trasformata in tv via cavo a Milano 2, la chiamò Canale 5, a cui affiancò Publitalia, la relativa concessionaria di pubblicità utile a creare così le premesse per la prima televisione commerciale nazionale alternativa al servizio pubblico. Al successo di Canale 5 affiancò, rilevandole per poche lire rete 4 e Italia 1 e, ricorrendo a furbate geniali prima e al supporto dell’amico Craxi dopo, diede l’abbrivio all’impero Fininvest.
A quel tempo la Fininvest srl era una società romana di Cesare Previti che Berlusconi trasformò in società per azioni e trasferì a Milano… Erano gli anni bui del primo periodo imprenditoriale di Silvio Berlusconi… Già non era chiaro con quali finanziamenti e da parte di chi l’imprenditore milanese avesse potuto costruire Milano 2 e Milano 3. Fanno ridere i 50 mln di lire della pensione del padre che il Cavaliere sostiene di aver impiegato nelle mega opere. Con quei soldi non avrebbe potuto comprare nemmeno una piccola parte degli alberi ivi piantumati. E comunque nella neonata Fininvest dopo qualche anno, cominciarono a confluire centinaia di miliardi di lire al punto che Berlusconi si preoccupò di allargare i propri interessi in campi quali l’editoria, il calcio, le assicurazioni e la grande distribuzione. Certamente la principale fonte di guadagno certificata era rappresentata dai proventi della pubblicità, della quale Publitalia deteneva il 70% del totale nazionale, quasi un monopolio, alimentata sempre più dalle tre reti televisive. Per questo Berlusconi sottrasse delle tre reti nazionali RAI i protagonisti televisivi più importanti del tempo, offrendo loro cifre esorbitanti e inflazionando così quel mercato. Con l’introduzione poi di novità nazional popolari quali i drive in e le telenovelas si avvicinò alle categorie sociali più umili. Il tutto gratuito, in ossequio al detto latino panem et circenses, fu ben accettato dal pubblico televisivo, compresa la formidabile capacità di spesa del Cavaliere che era e sarà alla base dei suoi successi. Certo, la capacità gestionale e l’intuizione nel tagliare i rami secchi (cedette la Standa appena ebbe sentore di affare andato male) sono stati indispensabili, ma con pochi soldi avrebbe potuto costruire quel che ha costruito? Ricordo che appena diventato proprietario e presidente del Milan sbaragliò la concorrenza per l’acquisto di un calciatore della Roma, Dario Bonetti, stopper bravino ma lungi dall’essere un fenomeno, pagandolo tre miliardi di lire, cifra esagerata per quel tempo e per il valore del giocatore; ma così iniziò la storia del Milan pluricampione. Senza omettere che l’organizzazione di tipo aziendale della squadra si rivelò fondamentale nel conseguimento del successo. Politicamente fu un personaggio divisivo: una parte dello schieramento politico gli attribuiva un potere salvifico, mentre l’altra lo considerava l’anticamera della dannazione. Tuttavia, la storia lo dovrà necessariamente annoverare tra i grandi per aver ridisegnato l’arco costituzionale sdoganando quella parte di destra nostalgica che oggi è leader al governo e creando di conseguenza per tutti i partiti un bipolarismo che prima era rappresentato solo dai due più grandi simboli politici: Democrazia Cristiana e Partito Comunista. In questo Berlusconi (che per Indro Montanelli era il più grande piazzista mai esistito) riuscì ad essere più credibile per gli elettori, che istigava contro i comunisti, piuttosto dei suoi competitor che aizzavano contro i fascisti.
Nei rapporti sociali, a detta di quasi tutti, sapeva essere impeccabile per cortesia, gentilezza e generosità, ma i buchi neri del suo percorso di vita fanno del personaggio un soggetto camaleontico. Appare inconcepibile, ad esempio, che il suo migliore amico dai tempi dell’infanzia, contrario all’unità d’Italia e leghista bossiano della prima ora (giusta intervista di Fedele Confalonieri al Corriere della sera di meno di un anno fa) e, non pensare che di questa cultura, diffusissima nel nord dell’Italia, lo stesso Berlusconi non ne sia mai rimasto influenzato. Proprio lui che divenne amico fidato di Bossi e, guarda caso, le leggi che aprirono la porta al federalismo fiscale e di conseguenza all’imminente autonomia regionale differenziata, sono dovute ai due governi del fedelissimo Giuliano Amato (che lui avrebbe voluto al Quirinale al posto di Mattarella e per il quale ruppe il patto del Nazareno). Per me è stato il primo autentico leghista camuffato da moderato.
Certamente non è stato esemplare nel rispondere agli attacchi, anche spropositati, della Magistratura (detestabile l’avviso di garanzia, come passò alla storia anche se in realtà era un avviso a comparire, pervenutogli a mezzo stampa e in pieno G8 al summit di Napoli nel 1994) che lo perseguitarono a lungo. Acclarato e condannato quale corruttore (Lodo Mondadori) ed evasore fiscale (processo Mediaset) negli altri processi (circa una trentina), diversamente da quello che fece Giulio Andreotti (che partecipò a tutte le sedute del suo processo, munito di penna e bloc notes, difendendosi con rigoroso ed esemplare civismo) a Palermo, Berlusconi esibì l’arroganza del potere ricorrendo a leggi ad personam come un qualunque autocrate. Politicamente è stato l’iniziatore della politica degli annunci mai realizzati. La sua famosa riforma liberale non è mai approdata in Parlamento e come tanti altri premier ha alternato cose buone ad altre meno.
Ma la premier Meloni nei funerali di Stato, seppur legittimi, e nelle altre celebrazioni ha colto l’occasione per perpetuare la sua personale campagna elettorale, mai sospesa.
Non siamo quindi di fronte a un Santo ma a una persona intelligente che ha saputo mettere in campo quello che la scuola da trent’anni chiede solo sulla carta: conoscenze, competenze e capacità.
La riforma degli esami di Stato già dal 1988, (che tanti media chiamano ancora esame di maturità, ignorando che la commissione non è più tenuta a pronunciarsi sulla maturità culturale dello studente), chiede ai commissari di accertare le competenze dei candidati rilevate nell’esame. Questo avviene (ma sarebbe meglio scrivere dovrebbe avvenire) attraverso le conoscenze esibite su un argomento (non più estrapolate da una tesina, ma estratto a sorte da una delle tre buste preparate dalla Commissione), utili alla definizione di un percorso pluridisciplinare (comprendente percorsi di pcto – percorsi per le competenze trasversali e l’orientamento) dal quale evincere le competenze e le capacità esibite.