Una giornata troppo particolare (prima parte)
Il 25 giugno era finalmente arrivato, aspettavo questo giorno da sette anni, da quando conobbi Giorgio alla festa di Capodanno: decisi che sarebbe diventato mio marito. Durante tutta la notte ebbi un sonno agitato e mi svegliai più volte. Mi ripetevo di stare tranquilla, avevamo curato i preparativi nei minimi particolari, sarebbe andato tutto come previsto, dovevo dormire, non potevo andare all’altare con la faccia tirata e due borse sotto gli occhi! Avrei avuto tutti gli sguardi su di me, mi avrebbero fatto la “radiografia”, la sposa ha il dovere di essere perfetta nel giorno più bello della sua vita! Continuavo a rigirarmi nel letto, avevo le lenzuola attorcigliate intorno al corpo, ero già pronta per essere “mummificata”, riuscii a districarmi dalle “bende”, mi misi a sedere di scatto, avevo come un presentimento! Avevo scelto il mese di giugno per due motivi: volevo sposarmi di sera e poi salutare parenti ed amici con una cena sulla terrazza dell’Esplanade, l’albergo più elegante della mia città. Da più giorni le condizioni del tempo erano incerte, sole al mattino e pioggia nel pomeriggio. Mi alzai, tirai su la serranda per controllare il cielo: splendeva il sole, neanche l’ombra di una nuvola! Andai in cucina per fare colazione, deserta, neanche un’anima, i miei genitori, gli zii, i cugini, dormivano tutti beatamente! Il tonfo metallico della lattiera, sfuggitami di mano, fece popolare improvvisamente la cucina di “zombi” ancora assonnati «Che succede! Hai versato il latte, porta male!» sentenziò mia zia da brava Cassandra. Aveva messo il dito nella piaga, il mio malumore lievitava come la pasta per la pizza! Mi ciondolavo da una finestra all’altra, cercavo di scrutare il cielo in tutte le direzioni. Avevo appuntamento dal mio parrucchiere nel primo pomeriggio, avrei tenuto i capelli sciolti con un ciuffo di piccole orchidee bianche, appuntate poco sopra l’orecchio. Il vestito, nella custodia, era appeso nell’armadio, la sarta l’aveva consegnato la sera prima, ma non lo avevo provato per scaramanzia. La mia casa sembrava un alveare, tutti avevano qualcosa da fare, tutti indaffarati nei preparativi, nessuno mi “filava”. Immaginavo che la sposa dovesse essere al centro delle attenzioni, invece, ogni stanza della casa era piena di abiti, scarpe, borse, occorrente per trucco e parrucco dei miei parenti! Ero la prima nipote a sposarsi, zii e cugini si erano mobilitati tutti, tutti “invitati a nozze”. Per la cerimonia avevamo scelto una chiesa gotico – romanica molto bella, tre mesi di intense ricerche per quella location! Avevo avuto una segnalazione da un mio allievo «Vada a vedere la chiesa di Santa Maria di Propezzano, a pochi chilometri dall’uscita dell’autostrada di Roseto». Passavo le mie domeniche, accompagnata dal mio paziente fidanzato, a visitare le chiese romaniche d’Abruzzo, notevole patrimonio artistico a volte poco valorizzato. San Liberatore a Maiella, San Clemente a Casauria, Santa Maria in Arabona, San Giovanni in Venere, dei veri e propri capolavori di arte sacra. Un trionfo di capitelli, rosoni, navate, lesene, campanili si stagliavano in panorami da sogno. Stavo riscoprendo i tesori della mia terra, ero di volta in volta sempre più affascinata e coinvolta dai dettagli storici, dalle leggende e dalle tradizioni che fiorivano intorno a quei gioielli di architettura. Ero confusa, tutte le chiese mi avevano entusiasmata ma nessuna mi aveva “folgorata”. Non conoscevo Santa Maria di Propezzano, decisi che forse valeva la pena di andare. Arrivammo, su una ridente collina che dominava la valle del fiume Vomano, si ergeva, in tutta la sua bellezza e maestosità, l’abbazia di Santa Maria di Propezzano. Rimasi colpita dalla facciata della chiesa, era costituita da tre parti di diversa altezza, con due rosoni asimmetrici, il portale d’accesso era protetto da un portico a tre archi con lunette affrescate, sicuramente da artisti del Quattrocento. Sfogliai la guida che avevo con me e appresi che la chiesa era stata edificata su quella collina, nel luogo dove la Madonna era apparsa, nel 711 a tre pellegrini tedeschi. Era un luogo veramente mistico! Entrai, l’interno, a tre navate divise da archi a tutto sesto, presentava resti di affreschi, sempre quattrocenteschi. Il chiostro, però, fece scoccare il “colpo di fulmine”, era quadrangolare del XVI secolo, con doppio ordine di arcate e un pozzo nel mezzo, delle lunette alle pareti, resti di affreschi seicenteschi del pittore polacco Sebastiano Majewski e nella sala del refettorio affreschi del Cinquecento con le storie della leggenda della fondazione. Andammo subito a Morro D’Oro per fissare la data, nessun problema, la chiesa era disponibile, un solo particolare, l’anziano curato si raccomandò di essere puntuali: poi avrebbe dovuto celebrare messa al paese. Nei giorni precedenti ero riuscita ad abbronzarmi per sfoggiare il mio decolté: la mia “mise” era particolare, un modello di Andrè Logue, abito con bustino e gonna lunga plissè e, per la cerimonia in chiesa, una giacchina ripresa in vita a “nido d’ape” con un morbido volant. Mi ero fatta confezionare le scarpe con lo stesso tessuto: plateau e tacchi di quindici centimetri per non sfigurare troppo vicino al metro e ottantasette del mio sposo. In compenso sovrastavo di un buon venti centimetri mio padre! Tutto era pronto, mancava solo il bouquet e il ciuffo di piccole orchidee bianche per incorniciare i miei lunghi capelli neri. Giorgio non è mai arrivato in orario agli appuntamenti; in sette anni di fidanzamento mi ha fatto sempre attendere, a volte per ore. È proprio vero che gli opposti si attraggono! Come tradizione, proprio lo sposo doveva ritirare dal fioraio il bouquet e portarlo a casa della sposa. Mia madre, stranamente allegra, aveva allestito un frugale pranzo per tutta la truppa, – Tanto per fermare lo stomaco, vi rimpinzerete questa sera! – Non toccai cibo, continuavo a scrutare il cielo. Subito dopo pranzo, si fa per dire, telefonai a Giorgio per raccomandargli puntualità. Nel cielo apparirono le prime nubi che non promettevano niente di buono. Il mio presentimento prendeva forma: enormi e plumbei cumulinembi che incalzavano minacciosi. Dovevo comunque uscire per sistemare l’acconciatura, non avevo ancora i fiori perché naturalmente Giorgio non si era smentito, non aveva ancora trovato il tempo di andare dal fioraio. Tuoni e lampi cominciavano a solcare il cielo, un po’ demoralizzata decisi di andare in macchina dal parrucchiere anche se distava, in linea d’aria, centocinquanta metri da casa, temevo che la pioggia incombente, avrebbe “arricciato” i lunghi capelli. Lo scroscio del temporale sovrastava il rumore del phon: «Una telefonata per lei signorina» andai al ricevitore, era mia madre «Quando esci devi passare dal fioraio, Giorgio ha portato solo il bouquet, non ci sono i fiori per l’acconciatura». «Ma il fioraio è dall’altra parte della città, io devo prepararmi, non puoi mandare qualcuno di casa?» Risposi molto irritata. «No, siamo tutti già quasi “vestiti “, piove a dirotto, vai tu con la macchina». Non ebbi possibilità di replica, la famiglia che doveva essere a disposizione della sposa, si era già “agghindata a festa”. Raggiunsi l’auto limitando i danni e mi avventurai in un traffico caotico per la pioggia sferzante e per un evento che stava per monopolizzare l’attenzione di tutta la città: di lì a poco sarebbe iniziata la partita di spareggio del Pescara per la storica promozione in serie A. Ero in ritardo sulla mia “tabella di marcia”, i capelli cominciavano ad arricciarsi per i “numerosi diavoli” che mi ballavano in testa. Il fioraio mi disse che aveva consegnato tutto allo sposo, anche le orchidee per i capelli. Purtroppo non ne aveva altre, erano arrivate solo quelle ordinate da me, avrei potuto mettere, in sostituzione una grossa orchidea rosa. Per nulla convinta, la presi comunque, non potevo perdere altro tempo, rischiavo di non arrivare in orario per la cerimonia, proprio io che non avevo mai fatto un secondo di ritardo in vita mia! Finalmente a casa, madida di sudore, dopo una doccia veloce, iniziai la “vestizione”. (…continua…)