Decentramento o accentramento
di Marco Tabellione
La Grande Pescara è un’idea politica amministrativa che dal punto di vista economico, sociale e urbano è una evidente realtà. Essa si aggancia alla realtà di un’area metropolitana ormai espansa, che comprende non solo i comuni di Pescara, Spoltore e Montesilvano, ma anche Francavilla, Silvi e altre zone del chietino e del teramano, non comprese ovviamente nel progetto poiché esorbitano in altre province. Insomma la costa abruzzese in piccolo vive un fenomeno ricorrente nella modernità, cioè la tendenza degli agglomerati ad unirsi in entità superiori, con poli centrali di attrazione, come nel caso di Pescara. È un fenomeno di urbanizzazione che l’uomo non riesce a controllare, non può fermare e fa fatica a gestire.
L’idea dunque di adeguare l’aspetto amministrativo a una realtà economica ormai stabilizzatasi – infatti fra i tre comuni non c’è soluzione di continuità dal punto di vista territoriale – non solo non è assurda, ma come tutti sanno è stata sancita da un referendum del 2014 in cui gli abitanti dei tre comuni hanno votato a maggioranza a favore dell’unione. Da qualche tempo le posizioni di alcuni esponenti politici hanno cercato di riaprire la discussione e ipotizzato un nuovo referendum, o comunque la possibilità di ritornare e ripensare una decisione che sembrava già presa. Tornare a rivalutare una decisione non è mai un male, ripensare le situazioni e le condizioni è anzi indice di saggezza, almeno quando gli iter burocratici spesso perentori e fissi possono permetterlo.
Infatti non è certo per un cavillo burocratico che altri esponenti politici hanno invece invitato ad attenersi ai percorsi già iniziati, chiedendo che il progetto della Grande Pescara faccia il suo corso. A meno che non si decida di procrastinare la scadenza del 2023, stabilita durante il referendum citato e sancita da una legge regionale del 2018, anche tenendo conto di questi due anni di pandemia, dunque di fatto dal 1° gennaio del 2023 dovremmo avere un solo comune al posto dei tre menzionati. Ma al di là di questa evenienza già decisa a livello burocratico, in ogni caso vale sempre la pena di approfittare per ripensare a fondo le scelte che si sono comunque fatte e che perciò dovrebbero essere portate a termine. Tali scelte vanno incontro naturalmente a una idea di adeguamento a una situazione di fatto, che Pescara vive in piccolo, ma che altre zone dell’Italia e del mondo vivono come conurbazioni, megalopoli, aree metropolitane immense e forse anche spaventose, per il loro carattere mastodontico. In effetti riconoscere a livello ammnistrativo un’area metropolitana come città unica non è solo un procedimento politico o burocratico, è anche andare incontro a un’idea di unione, di istituzione di realtà sovra-localistiche che oggi dominano la storia politica del mondo: si pensi ovviamente all’Europa, la sua funzione, le sue traversie, ma anche la sua profonda valenza si potrebbe dire etica, come creazione di comunità che inglobano più nazioni, e che fanno riferimento ad appartenenze generali e globali, piuttosto che a individui legati a determinate nazionalità. Insomma l’Europa unita potrebbe anche essere il preludio di un mondo unito, cioè di una globalizzazione mondiale che possa essere riconosciuta anche a livello politico. Sarebbe un sogno, cioè quello di trasformare le Nazioni Unite in un grande unico Stato. Un sogno, ma per alcuni anche un incubo. Perché l’idea di realtà sovranazionali e sovra-localistiche, come anche nel suo piccolo la Grande Pescara, sembra cozzare contro un principio più che democratico, forse il più democratico, quello del decentramento del potere.
In un’epoca in cui la democrazia ha mostrato la strada del decentramento, che nei decenni scorsi in Italia ad esempio diede origine alle regioni, alle province, ai comuni, alle regioni a statuto speciale, come è possibile considerare a sua volta democratico l’accertamento del potere che va a sostenere parlamenti di più nazioni o nel piccolo caso abruzzese realtà urbane che uniscono più comuni? La risposta è semplice e indica quella che dovrebbe essere la via della civiltà mondiale. Superare le barriere nazionali, comunali e locali verso realtà più espanse non vuol dire rinunciare al decentramento del potere. Vuol dire dare vita a organismi che possano lavorare proprio per consentire la maggiore partecipazione dei cittadini alla gestione del potere. Unire più persone non significa sottoporle a un maggiore potere e più accentrato, al contrario vuol dire dare loro la possibilità di contattarsi, di collaborare insieme, di individuare gli elementi in comune che possano permettere di riconoscere e accettare ancora di più le differenze.
Insomma le unioni tra i cittadini e i popoli, la possibilità di sentirsi parte di un organismo più grande e unico non solo non minano le differenze individuali, ma addirittura possono essere un modo per esprimerle al meglio, per sottolinearle, per ribadire la libertà dell’individuo. Per dare vita al grande sogno che fu di Rousseau: uomini liberi in una società libera.