Il Miracolo della Pioggia (prima parte)

   di Vittorina Castellano

Era una di quelle giornate di sole che l’autunno offriva generosamente a un viale dal fogliame variegato di Pescara. Marco camminava svogliatamente, scalciando di tanto in tanto dei mucchi di foglie di un colore giallo rossiccio che incontrava sul marciapiede. Il giovane era tornato a casa, dai suoi, per una breve vacanza, viveva a Milano dove aveva studiato e ora lavorava. Un colpo di vento improvviso sollevò delle foglie che guidarono lo sguardo di Marco verso una chiesetta, un po’ all’interno dalla strada. Ricordava di averla vista qualche volta di sfuggita e non aveva provato mai curiosità di osservarla più da vicino. Notò che il portone era socchiuso e decise di curiosare. Spinse con delicatezza la porta e vide degli operai intenti al restauro. Seduto a un banco c’era un anziano signore, si sedette al suo fianco e gli chiese se la chiesetta avesse un nome.

«È la chiesetta di Sant’Anna»

Il ragazzo lo ringraziò, scusandosi di non conoscere quel piccolo capolavoro che, a giudicare dallo stato, doveva essere stato chiuso al pubblico per troppo tempo.

«Hai ragione ragazzo mio, era una cappella privata fatta costruire nella seconda metà dell’ottocento da Michele Muzii ed è, dopo la chiesa Dei Sette Dolori, la seconda più antica della città. Ero bambino quando, nei primi anni quaranta, mio nonno mi portò qui per la prima volta e mi raccontò di un fatto che cambiò il destino degli abitanti di Castellammare Adriatico, così si chiamava allora Pescara. Se hai piacere di ascoltarmi, ti racconto.»

«Certo, mi piace scoprire un po’ di storia della mia città!»

«A quei tempi la vita si svolgeva ai colli. L’abitato si estendeva intorno alla Chiesa della Madonna dei Sette Dolori che era molto venerata. Le colline erano coltivate a grano, a vigne e ulivi. Di fronte alla chiesa c’era in piazza una ottocentesca Fontana detta “de li cinque cannille”. Nel 1882 la fontana fu fatta edificare dal sindaco Leopoldo Muzii che avendo deciso di spostare il Municipio dalla zona collinare a quella marina di Castellamare pensò di placare il malumore degli abitanti donando loro un luogo d’incontri per il borgo. Per fortuna c’è ancora. La struttura, un grosso parallelepipedo tripartito da quattro lesène con basso piedistallo, base e capitello dorico, è dotata di cinque cannelle. La vasca rettangolare, antistante la fontana, ha un basso bordo dall’estremità arrotondata. Un lavatoio-abbeveratoio è adiacente al lato destro della fontana. Le donne vi si recavano ogni giorno a lavare i panni e a socializzare. Vi si davano appuntamento anche le coppie di innamorati. Mio nonno mi raccontò che suo padre, dopo il lavoro nel vigneto, si vedeva con gli amici presso il Fontanone per discutere di tutto ciò che riguardava la quotidianità, ma soprattutto di una imminente calamità che avrebbe danneggiato la comunità.

Il periodo era il 1893, per la precisione il mese di maggio, caratterizzato da una grande siccità che avrebbe irrimediabilmente pregiudicato tutto il raccolto. Il popolo devoto alla Madonna dei Sette Dolori la portava in processione da più giorni, partendo dalla piazza per poi scendere verso il mare, e la pregava di proteggere il loro raccolto mandando una pioggia provvidenziale.»

Marco ascoltava con visibile interesse il racconto dell’uomo che, felice di trasmettere le stesse emozioni che ricordava di aver provato lui stesso, continuò a narrare.

«Era esattamente il 13 maggio 1893. Carmela, la mia bisnonna, si recò al fontanone con un cesto di panni sporchi e lì trovò l’amica Antonietta. Spero che tu conosca il dialetto, devo riferirti i dialoghi nel gergo originale.

– ‘Ntoniè, che te puzza pijà nu bbène, che t’à successe, nen te sò vist’a la prucissijone!-

– Zitte Carmè, m’acchiappate nu dulòr’ a la sciatiche che m’à paralizzate la cosse, sò viste li sillustre!

– Ah pperò, che ddulòre, quand’acchiappe la sciatiche te da stà ‘rpusate, bell’allungate na lu llètte, Pozze capì, ma manche maritete sò viste, s’à llungate pure cullù a farte cumpagnie?

– Zitte, le disgrazie nen vè maje addasole, a mariteme je duleje la schine, n’à putute ‘ngulla la statue de la Madonne! Sì che m’à dette “A te dole la cosse a me la schine, ce vù scummette che cagne lu tempe”

– À fatte la scuperte de l’acqua calle, ere già tre jurne che purtavame la Madonne ‘n prucissijone, daje e daje la cipolle divente aje e cuscì l’à fatte lu miracule. Avevame calate abballe, verse lu mare, quande de botte lu ciéle s’à fatte scure. Certe tirricine! N’aveme avute lu tempe manche d’arfiatà, s’à aperte li cataratte! S’à mess’a ppiove a zeffunne! Chi scappeie a la mane diritte e chi a mane manche, cacche dune à pure ‘ndruppicate a ffacce pe’ terre. Tutti strilleje “Miracule. Miracule, la Madonna à fatte la grazie! Lu 12 de maggie sarà lu jurne de la devozijone”

Pe’ la Majelle già me vede lu scappa scappe! Ti l’immiggine jì a ccorre nche la cosse cionghe, meno male che me ne so state a la case!

Carmela era la mia bisnonna, una donna affabile e grande lavoratrice, oltre ad accudire casa con quattro figli, si occupava dell’orto.» (continua ..)

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