A coloro che verranno *

La pandemia da Covid 19: abbiamo ancora qualcosa da imparare?

 

del Prof. Vincenzo Ostilio Palmieri (Direttore UO Medicina Urgenza Covid Policlinico di Bari)

 

La situazione epidemiologica attuale del Covid

La situazione epidemiologica dell’infezione da Covid 19 nel nostro Paese mostra una tendenza alla stabilizzazione e non sembra destare maggiori preoccupazioni di una comune malattia infettiva.

Il Ministero della Salute fa sapere che l’incidenza di nuovi casi identificati e segnalati con infezione da SARS-CoV-2 in Italia è stabile rispetto alla precedente settimana di monitoraggio ed è pari a circa 37 nuovi casi su 100mila abitanti.

Per avere un riferimento, basti ricordare che in Abruzzo ad esempio, l’incidenza di nuovi casi di Covid 19 nella settimana 4/1/2021 – 11/1/2021 era pari a oltre 135 casi ogni 100mila abitanti, cioè circa 4 volte più alta.

Analogamente è in lieve diminuzione l’impatto sugli ospedali con tasso di occupazione dei posti letto sostanzialmente stabile nelle aree mediche e in lieve diminuzione nelle terapie intensive ed è pari a circa il 4% e allo 0,8% rispettivamente.

L’indice di contagiosità Rt è quasi stabilmente inferiore a 1 (0.99 nel corso dell’ultima settimana), dato il cui interesse è più valido se si ricorda che in piena epidemia esso era pari a 2 o anche più.

La figura 1 rappresenta la distribuzione per provincia nella regione Abruzzo dei casi di infezione da Covid 19, secondo i dati dell’Istituto Superiore di Statistica.

La Figura 2 rappresenta,invece, l’andamento dei nuovi casi di infezione da Covid 19 dall’inizio dell’epidemia: è evidente la netta riduzione dei casi di malattia registrata in particolare dal mese di agosto del 2022 e soprattutto nel corso del 2023.

Il Ministero della Salute ribadisce però la necessità di continuare ad adottare le misure comportamentali individuali e collettive previste e/o raccomandate, l’uso della mascherina, aereazione dei locali, igiene delle mani e ponendo attenzione alle situazioni di assembramento.

L’elevata copertura vaccinale, il completamento dei cicli di vaccinazione ed il mantenimento di una elevata risposta immunitaria attraverso la dose di richiamo, con particolare riguardo alle categorie indicate dalle disposizioni ministeriali e di cui abbiamo già detto in un precedente articolo su questo giornale, rappresentano strumenti necessari a mitigare l’impatto clinico dell’epidemia. Si sottolinea l’importanza dei richiami vaccinali negli anziani e nei gruppi di popolazione più fragili, anche considerando la progressiva riduzione dell’effetto protettivo contro l’infezione per SARS-CoV-2 con il passare del tempo, sia dall’infezione pregressa che dalla vaccinazione.

La gestione del Covid 19: “fu vera gloria?”

Il recente avvio di una inchiesta sulla gestione dell’epidemia da Covid 19 nel Bergamasco ha tuttavia gettato un’ombra sulle misure messe in atto in tutta Italia.

Per l’esattezza, atre anni di distanza dallo scoppio della pandemia di Covid che, tra febbraio e aprile 2020, ha straziato la Bergamasca con oltre 6 mila morti in più rispetto alla media dell’anno precedente, è stata chiusa l’inchiesta per epidemia colposa con 19 indagati tra cui l’ex premier Giuseppe Conte, l’ex ministro della Salute Roberto Speranza, il Governatore della Lombardia Attilio Fontana, il presidente dell’Istituto superiore di Sanità Silvio Brusaferro, il presidente del Consiglio superiore di Sanità Franco Locatelli.

Si tratta di una inchiesta che è finalizzata a ricostruire i fatti a partire dal 5 gennaio 2020, quando l’Oms aveva lanciato l’allarme globale a tutti i paesi e che si è avvalsa di una maxi consulenza firmata da Andrea Crisanti, microbiologo dell’Università di Padova e ora senatore del Pd.

Gli indagati dichiarano di aver compiuto le loro scelte in quei terribili giorni con disciplina ed onore nell’esclusivo interesse del Paese, come ha detto in più occasioni l’ex Ministro Speranza.

D’altra parte i parenti delle vittime hanno commentato: “Da oggi si riscrive la storia della strage bergamasca e lombarda, la storia delle nostre famiglie, delle responsabilità che hanno portato alle nostre perdite. La storia di un’Italia che ha dimenticato quanto accaduto nella primavera 2020, non a causa del Covid19, ma per delle precise decisioni o mancate decisioni” (ANSA Politica).

Indipendentemente dall’esito di questa inchiesta, sembra essersi creato un atteggiamento di minore vicinanza di alcuni strati della popolazione nei confronti del personale sanitario e in genere di chi ha operato nel SSN nella gestione del Covid, con la tendenza diffusa a sottolineare ciò che non è andato bene rispetto a quanto è stato fatto per arginare e controllare gli effetti devastanti della pandemia nel nostro Paese.

Come medico impegnato senza sosta nella direzione di un reparto Covid a partire dal marzo 2020 fino a luglio 2022 che ha visto ricoverare nei letti del nostro reparto oltre 2000 pazienti affetti da Covid 19, mi sono allora chiesto se veramente tutto quello che abbiamo fatto in quel periodo fosse corretto o meno e dove avessimo potuto fare di meglio per la salute della nostra cittadinanza.

A mio giudizio ogni considerazione sulle decisioni di tipo organizzativo sanitario e propriamente mediche che furono prese in quei giorni terribili deve essere inquadrata nel contesto storico eccezionale della pandemia (con decine e decine di casi giornalieri di infezioni da Covid che afferivano ai nostri servizi di Pronto Soccorso) e dalla concitata velocità con cui venivano pubblicati articoli scientifici, linee guida o articoli di revisione sistematica sull’argomento.

Qualcuno ha detto che i medici e gli operatori del SSN in genere procedevano con “tentativi ed errori”. Ma non è esattamente così.

Nel corso del 2021, ad esempio, in piena pandemia, io stesso (Vincenzo O. Palmieri), come responsabile di un reparto Covid, insieme a tanti altri colleghi siamo stati coinvolti dalla Regione Puglia nella scrittura materiale delle linee guida della nostra Regione sul Covid 19.

Nel corso della pandemia abbiamo anche pubblicato ben sette articoli scientifici su riviste internazionali di elevato impatto, contribuendo alla diffusione delle informazioni e delle conoscenze su questa malattia, mentre essa si stava spiegando davanti ai nostri occhi.

Abbiamo partecipato a più progetti clinici su trattamenti sperimentali (fra gli altri, quelli sul cosiddetto plasma iperimmune e sull’uso della colchicina o di alcuni antivirali), disegnati e pianificati nei giorni stessi dell’epidemia, mentre si era impegnati giorno e notte, senza sosta, nella gestione della malattia sul piano strettamente medico, imbacuccati in tute soffocanti come fossimo bianchi “tuareg” che armeggiavano come api operaie fra i pazienti, come ha scritto con delicatezza e profondità un nostro paziente (Figura 3).

Non si trattava dunque di un procedere per “tentativi ed errori”, ma di valutare volta per volta la scelta più opportuna per il singolo paziente. A titolo di esempio, ricordo che il farmaco azitromicina, da tutti noi ampiamente utilizzato nel pieno dell’esplosione pandemica come presidio terapeutico fondamentale in tutti i pazienti ricoverati per covid, sia poi quasi del tutto scomparso dal bagaglio terapeutico dei pazienti ricoverati per polmonite da Covid nel corso dell’ondata epidemica. Nei mesi, infatti, “tentando” ed “errando”, noi, come tutti i medici coinvolti nella gestione del covid, abbiamo appreso che l’impiego di tale farmaco non modifica l’evoluzione della malattia.

Effettivamente in quei mesi terribili abbiamo proceduto orgogliosamente per “tentativi ed errori”, ma non per imperizia o per negligenza o per omissione, ma perché in assenza di consolidate esperienze internazionali sull’argomento, operavamo tutti sulla base delle nostre conoscenze “a priori” (base razionale della decisione medica) e della valutazione dell’esperienza diretta (base empirica della decisione medica). Empirismo e razionalismo sono le basi epistemologiche della decisione medica in genere e tale impostazione metodologica ha consentito di far fronte, giorno dopo giorno, alle nuove sfide che la pandemia da Covid poneva.

Mortalità e Covid 19: considerazioni conclusive

La recente pubblicazione dei dati sulla dinamica demografica da parte dell’ISTAT dimostra che nel 2022 in Italia si sono registrati 713.499 decessi, circa 12mila in più rispetto all’anno precedente ma 27mila in meno rispetto al 2020, anno di massima mortalità dovuta alla pandemia da Covid-19. Se nel 2022 si fossero manifestati i medesimi rischi di morte del 2019, decisamente più favorevoli, si sarebbero riscontrati 660mila decessi anziché 713mila, ossia 53mila in meno.

Circa 24mila decessi dei complessivi 53mila in eccesso su scala nazionale si rilevano al Nord, 10mila al Centro e 19mila nel Mezzogiorno. Il surplus di mortalità rispetto ai valori ipoteticamente attesi è tuttavia inferiore alla media nazionale (+8,1%) sia al Nord (+7,8%) sia al Centro (+7,5%), mentre nel Mezzogiorno si presenta superiore (+8,8%).

Cosa significano questi numeri? Nel 2021, con il calo della forza della pandemia da un lato e le misure messe in atto per arginarne gli effetti dall’altro, a cominciare dalle vaccinazioni, ci aspettavamo un numero di morti decisamente inferiore, e lo abbiamo avuto: i morti sono scesi infatti a 709mila, 37mila in meno del 2020, ma pur sempre ben 63mila in più rispetto alla media dei morti pre-Covid. Ma il vero problema è che non vi è stata l’attesa riduzione ulteriore di morti nel 2022, come si è detto.

Perché? Il surplus di mortalità che permane nel 2022 che addirittura sopravanza quello del 2021, è ancora imputabile soprattutto al Covid o vi sono altre cause?

Molto lucidamente in un articolo pubblicato sul Corriere della Sera del 26 marzo 2023, Roberto Volpi sottolinea il fatto che se tale dato è da riferire al Covid come tale, questo vuol dire che dobbiamo ancora capire bene la natura di questa malattia; se invece prevalgono altri fattori, bisogna capire quanto la pandemia abbia pesato sull’adeguatezza e l’efficacia della rete dei servizi sanitari o su quanto lo stato di salute dei cittadini sia rimasto provato dall’esposizione all’infezione da Covid.

Si tratta di interrogativi ai quali non siamo ancora in grado di dare una risposta compiuta, in quanto abbiamo bisogno di raccogliere dati ed analizzarli.

Di certo possiamo dire che solo una metodologia scientifica sistematica, come quella che abbiamo descritto nel paragrafo precedente, può consentire di fornire risposte efficaci e prendere decisioni opportune. E ancora, che solo un atteggiamento di appassionata vicinanza ai bisogni di “coloro che cadono”, come dice Samuel Beckett, e che dobbiamo cercare di sostenere e risollevare, può consentire di cogliere quegli obiettivi di benessere e di salute della popolazione che la nostra Costituzione riserva come compito prioritario a coloro che operano nel Servizio Sanitario Nazionale, così criticato ma così esemplare per la vicinanza ai principi di universalismo cristiano ed eguaglianza.

*Titolo di una poesia del drammaturgo tedesco Bertold Brecht, scritta nei giorni finali della Seconda Guerra Mondiale

Figura 1. Rappresentazione dei casi di COVID-19 per provincia segnalati nel periodo di monitoraggio 20 marzo 2023 – 26 marzo 2023 (sinistra); Rappresentazione dei casi di COVID-19 per provincia segnalati dall’inizio dell’epidemia (destra). (Dati del Ministero della Salute)

Figura 2. Curva epidemica dei casi di COVID-19 segnalati in Italia per data di prelievo o diagnosi (verde) e per data di inizio dei sintomi (blu) (dati dell’ISS)

Figura 3. Sulla sinistra, una poesia di un paziente ricoverato per Covid nel reparto di Medicina interna del Policlinico di Bari; a destra una immagine di medici ed infermieri nella loro divisa di lavoro che circondano un anziano paziente dimesso a domicilio.

Lascia un commento