Leaders

di Marco Tabellione

Vi sono stralci di masochismo nel modo in cui a volte i popoli cercano e idolatrano i loro leader. Esiste infatti nelle persone una tendenza irresistibile a cercare guide e guru che offrano la soluzione definitiva ai loro drammi e problemi, quasi sempre di natura materialistica ed economica. La democrazia, nella forma in cui si è attuata in occidente, non ha spento questa fame di “capi”, anzi semmai l’ha accentuata, nonostante il desiderio di autorità nasconda, in realtà, un vuoto psichico e spirituale che può essere compensato solo in parte dai beni materiali. Questo bisogno di subordinazione si concretizza in atteggiamenti creduloni ed esaltatori, collegati con certi fenomeni di divismo, frequenti ad esempio nell’ambito della musica pop, in cui la folla inneggia letteralmente agli dei di turno, specie nei concerti, per una forma di immedesimazione che potrebbe trovare altre maniere e non quella della semplice proiezione, spesso di tipo sessuale.

Ancora più sorprendente è come il masochismo giunga a ribaltarsi in vero sadismo, quando i leader vengono portati “dall’altare alla polvere” direbbe Manzoni, che ha analizzato questo tipo di rapporto con il potente nell’ode 5 maggio dedicato a Napoleone. All’inizio dell’ode Manzoni riferendosi al suo genio, cioè alla sua arte, la definisce “vergin di servo encomio e di codardo oltraggio” cioè priva sia di encomio servile che oltraggio da vigliacchi, a seconda che Napoleone fosse sulla breccia o decaduto. Non è esagerato ritenere che siamo in presenza di una forma di nevrosi ossessiva, collegata con quella che Freud chiama la coazione a ripetere, di cui dà un esempio nel saggio Al di là del principio di piacere (opera di cui nel 2020 è ricorso il centenario). Freud analizza tra i casi esemplari quello delle persone che tendono ad esaltare altre persone per poi subito dopo attaccarle e denigrarle, una forma di ossessione che rientrerebbe nella pratica delle ripetizioni nevrotiche, lo studio delle quali permette a Freud di superare la semplice deduzione del principio di piacere come stimolo fondamentale della psiche, e introdurre la pulsione di morte.

Ma al di là di questi rimandi psicanalitici, si potrebbe cercare di investigare la tendenza continua a subordinarsi a leader, riferendoci al grande Vico e alla sua concezione dinamica e circolare della storia. Le riflessioni che il filosofo napoletano del Seicento fa a proposito della storia dei popoli nell’opera La nuova scienza sono illuminanti soprattutto perché partono da punti di vista addirittura emarginati rispetto al razionalismo cartesiano imperante in quell’epoca.

Vico analizza le vicende dei popoli non cronologicamente ma per categorie filosofiche potremmo dire, mirando ad approfondire piuttosto i significati degli eventi, che è poi quello che interessa ai fini della comprensione dell’attualità. Da questo punto di vista le tendenze della plebe (storicamente lui ha spesso come punto di riferimento la plebe romana) è più che illuminante. La plebe all’inizio si trova a combattere con le aristocrazie, le quali a loro volta avrebbero reagito alle teocrazie che il filosofo napoletano pone all’inizio dei periodi storici. Le aristocrazie tendono a monopolizzare sia la pratica della guerra, sia la ricchezza di cui hanno bisogno per svolgere l’attività militare in modo esclusivo. Questo primato dei nobili – in origine i più forti a combattere e dunque a proteggere la collettività (da ricordare che aristoi in greco vuol dire il migliore) – viene messo in discussione con l’evoluzione della classe media dei commercianti ed artigiani (i futuri borghesi) che ad un certo punto reclamano la partecipazione al potere in nome della loro maggiore ricchezza. E’ allora, come ricorda Vico, che la repubblica aristocratica (nata dalla reazione alla teocrazia) si trasforma in repubblica popolare (assimilabile alle democrazie moderne). Tuttavia la plebe (in greco demos) ottenuta l’uguaglianza non rimane appagata, ma, per la tendenza umana all’avidità di supremazia e ricchezza, ricrea in sé stessa le lotte per la conquista individuale del potere, determinando per la repubblica popolare due rischi: o l’anarchia o la tirannide. Si confronti questo modello con la storia romana e le guerre civili come quella tra Cesare e Pompeo.

Per evitare queste condizioni caotiche allora la popolazione accetta la monarchia, cioè il comando di uno, come sarebbe accaduto con Cesare, che di fatto mise fine alla repubblica gettando le basi per il potere imperiale. L’affermazione della nuova monarchia, del resto, è ben accetta anche dall’aristocrazia, la quale infatti può attraverso essa vedere conservati i propri privilegi. Risultato: una tendenza diffusa e ricorrente ad offrire il potere a pochi, a rifiutare le forme distribuite dei compiti, e, nel caos della politica recente, un continuo avvicendarsi di leader al potere, i quali leader gestiscono per poco tempo il governo, esaltati specie se in conseguenza di un successo elettorale, per poi essere declassati successivamente ed esser sostituiti da altri leader, magari scelti dai partiti stessi perché blasonati e illustri.

La recente personalizzazione della politica è la prova di questo processo; essa, la politica, riguarda ormai più le dichiarazioni emotive e passionali di pochi, che la messa in cantiere di proposte collettive di soluzione. Accade così che chi sa fare la voce grossa viene considerato capace, perché la capacità polemica viene scambiata per capacità a governare. Ma è evidente che chi è abile ad ottenere ragione in un contraddittorio dialettico, non è detto che sappia poi amministrare bene. Si dirà che queste sono le regole della democrazia, le quali consisterebbero in un conflitto ritualizzato. Ma democrazia in realtà vuol dire governo del demos, governo del popolo, non vuol dire lotta e conflitto. Vuol dire cioè gestione collettiva del potere, non affermazione personale di leader. Solo nella misura in cui la democrazia si realizzerà come autentica partecipazione di tutti alle decisioni e come assunzione collettiva di responsabilità si potrà parlare autenticamente di uguaglianza e dunque di democrazia.

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