L’Arcolaio (terza e ultima parte)

 di Vittorina Castellano

(..continua..) Passò del tempo ad accarezzarli tutti, si sentì meglio; una nuova energia stava percorrendo anima e corpo. I crampi allo stomaco le ricordarono che l’ora di pranzo era passata da tempo, corse a casa, si preparò un panino con quello che gentilmente le avevano fatto trovare in frigo e corse a ispezionare il piano superiore. Le stanze da letto erano tre, tutte affrescate come il grande salone del piano terra, i letti erano ricoperti con splendide e variopinte coperte di lana tessute artigianalmente. Tutto molto affascinante. Cominciava a vedere con altri occhi e con umore diverso quello che andava riscoprendo. In fondo al corridoio riconobbe la scala a chiocciola di legno scricchiolante che conduceva nel magico regno della zia Anna. Salì di corsa, si ritrovò in una enorme stanza con il soffitto a travi lignee a vista, al centro, un gigantesco telaio con un tessuto in lavorazione. La macchina tessitoria, in legno di quercia, era formata da due massicci cavalletti sui quali erano fissati due assi verticali che reggevano due piccole travi longitudinali; su queste poggiavano le aste di legno trasversali che portavano i licci e il battente con il pettine. Ricordava le spiegazioni della zia e la rivedeva seduta che tesseva e stringeva la trama che man mano veniva infittita con dei colpi di pettine. Era abile zia Anna nel muovere nel giusto ordine i pedali, seguendo uno schema che era fissato solo nella sua memoria.

« I filati sono avvolti nelle rocche, pronti per la tessitura: la prima fase è l’orditura. Si deve far passare varie volte attorno ai pioli dell’orditoio i fili necessarî per formare l’ordito dell’altezza desiderata. Poi c’è l’insubbiatura che consiste nel disporre i singoli giri dell’ordito, l’uno accanto all’altro, sul subbio del telaio, per poter passare poi alla lavorazione del tessuto. Muovendo i pedali, si alzano e abbassano i fili dell’ordito. Messi i fili in posizione metà abbassati e metà alzati, si tira una navetta contenente una spola di filato, chiamato trama, e la si fa arrivare all’altra estremità del telaio. Quindi si cambia movimento e posizione ai fili dell’ordito e si ripete la spinta della navetta in senso inverso. In questo modo la trama si incrocia con l’ordito formando il tessuto. Vuoi provare?»

Le parole della zia riaffiorarono nitide nella mente della giovane, come i suoi gesti abili e inconfondibili. Aveva provato diverse volte, seduta sulle ginocchia della zia, che muoveva i pedali, lei, con le sue manine, faceva passare la spoletta tra i fili. Quanti ricordi! Si girò a guardare intorno, su di un tavolo era agganciato, con un morsetto, il mitico arcolaio. Da bambina le piaceva giocare con la “giostra”, così chiamava quell’attrezzo, costituito da un albero dotato di una struttura di stecche con diametro regolabile e girevole, attorno a cui la zia posizionava la matassa da dipanare. La piccola Arianna si divertiva ad arrotolare con le manine i gomitoli di lana mentre vedeva girare a ritmo costante l’arcolaio cigolante. Si avvicinò per toccare l’antico “giocattolo” e si rese conto che la zia lo aveva modernizzato con l’aggiunta di una roccatrice elettrica. Sul tavolo c’erano dei coni già pronti con lane dai colori diversi. Appoggiati alle pareti, tutt’intorno, decine di scaffali dai ripiani pieni di pacchi di matasse di lana, lino e cotone. Una vera bottega artigiana! Si avvicinò di nuovo al telaio, il tessuto che la zia non aveva avuto il tempo di realizzare era lì, in attesa che qualcuno completasse l’opera. Quel tessuto era davvero la trama su cui era intrecciata la storia di Arianna, e la tessitura era il modo in cui la zia aveva scritto questa storia. La giovane stilista, con gesti semplici iniziò a spostare spolette e pedali esprimendo attraverso quella tela un intreccio artistico, retaggio della sua formazione culturale. Quello strumento era, improvvisamente, diventato per lei il mezzo con cui fare ricerca formale e stilistica. Aveva trovato la sua nuova dimensione, il tessuto che stava realizzando, in un raptus creativo, diventava a tutti gli effetti un’opera, una scultura dotata di forma, struttura e contenuto artistico. Arianna, senza rendersene conto, aveva trascorso tutto il pomeriggio e la notte al telaio e, alle prime luci dell’alba, reclinò, sfinita, la testa sul tessuto che aveva completato. Bagliori rosati filtravano dalle finestrelle sotto i travoni rischiarando tutta la stanza fino ad allora illuminata parzialmente dalla flebile luce della lampada sistemata nella zona tessitura. La donna dormiva profondamente da alcune ore e non si rese conto che qualcuno bussava al portone. Roberto utilizzò le seconde chiavi per entrare, salì velocemente al piano superiore, non trovò Arianna, i letti non erano disfatti ma il trolley era ancora lì. -Sarà nel laboratorio- pensò, e si precipitò verso la scala a chiocciola. La giovane donna era dolcemente sognante, con i lunghi capelli sparsi sulla tela variopinta e morbida. Roberto si avvicinò in punta di piedi, cercando di evitare scricchiolii sul parquet, con le dita sfiorò delicatamente una ciocca di capelli della donna.

«Non tirarmi le treccine come facevi una volta! Sei tu il bimbo dispettoso con cui giocavo a nascondino tra i vicoli, ricordo tutto!»
«Ricordi anche cosa mi hai detto l’ultima volta che sei venuta in vacanza, prima di ripartire?»

«Vagamente… ricordo solo che mi hai dato un bacio sulla guancia!»

«Sei diventata rossa e mi hai detto “Non dimenticarmi, ti prometto che tornerò”. Sei tornata ma non di tua spontanea volontà! Non mi hai riconosciuto subito, e, non vedevi l’ora di scappare!»

«Scusami, sono passati trent’anni, sei leggermente cambiato, non ti ho associato al Robertino con cui giocavo spensierata. Però tu mi hai cercata solo per evadere una pratica notarile. Non serve recriminare, non sempre le cose seguono il loro corso naturale ma certi accadimenti sono in balia del destino. Ora sono qui, ho meditato tutta la notte mentre lavoravo alacremente a tessere questo splendido tessuto. La zia aveva capito quale sarebbe stata la mia vocazione artistica. Le mie piccole dita scorrevano velocemente e con grande creatività nella trama e nell’ordito, fin da bambina. Mi è tutto chiaro, con la mia formazione artistica e manageriale, produrrò i tessuti artigianali più trend e unici mai realizzati. Rimarrò a Città Sant’Angelo»

Arianna con la commozione nella voce e negli occhi, si alzò dallo sgabello e abbracciò, con trasporto, Roberto. Furono silenzi ed emozioni interminabili, furono baci e dolci promesse.

Il sole era già alto nel cielo terso e faceva splendere i tetti del borgo, i gatti neri erano distesi sui gradini del vicolo. Prima di uscire a fare colazione con Roberto, Arianna aveva chiamato il Capo per informarlo che non sarebbe più tornata a vivere a Roma, avrebbe intrapreso una nuova attività artistica inerente, comunque, al campo della moda. Avrebbe inviato nuovi modelli da realizzare in sartoria, ispirati ai suoi tessuti. Poi caricò l’arcolaio di matasse e avviò il meccanismo automatico per dipanarle.
«Mio caro Roberto, sono pronta, Ti confesso che l’arcolaio mi ha sempre affascinata, è come una giostra, torna sempre al punto di partenza, proprio come la mia vita. Sono tornata nel luogo che ha fatto palpitare per la prima volta il mio cuore.»

I due giovani uscirono, mano nella mano, come per consolidare il loro amore ritrovato.

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