Nella morsa della Giustizia (sesto e settimo capitolo)

di Domenico Di Carlo

LE GARE DI CANOA SUL LUNGARNO

Era il 22 settembre, erano ormai trascorsi quindici giorni dalla presunta scomparsa di Patrizia.

La società canottieri di Firenze aveva programmato due giorni di gare di canottaggio dilettantistico sul lungarno.

Il primo giorno si svolse senza alcun incidente per gli atleti e le canoe.

Il secondo giorno però, la canoa contraddistinta con il numero 2, manovrata da due atleti capaci, all’altezza del ponte alla Carraia, d’improvviso cominciò a rallentare fino a raggiungere lo stato di quiete perché qualcosa attirò l’attenzione dei giovani. I due atleti virarono, attratti da un grosso fagotto di tela che galleggiava, incastrato in una piccola ansa del fiume costruita in cemento armato dopo l’alluvione della città.

Si avvicinarono lentamente e rimasero impietriti da una macabra scoperta: quello che sembrava essere un sacco non era altro che un corpo umano dal sesso indefinito, prono, con i lunghi capelli neri che fluttuavano nell’acqua, braccia e gambe penzoloni.

Remarono sgomenti in fretta e furia per chiedere aiuto agli arbitri di giuria, i quali chiamarono le forze dell’ordine dopo essersi fatti indicare il punto esatto del macabro rinvenimento.

Di lì a poco intervennero due gazzelle con a bordo sei carabinieri, al comando c’era il capitano Angelo Torrisi, un uomo alto, dalle spalle larghe e grandi occhi azzurri, dai modi gentili e al tempo stesso determinati. Appena sceso dall’automobile, allertò una motovedetta di salvataggio dando indicazioni sul punto in cui era stato rinvenuto il cadavere.

La motovedetta arrivò dopo neanche un quarto d’ora e subito salirono a bordo tre carabinieri, compreso il capitano, diretti verso l’ansa del fiume incriminata. Una volta individuato il corpo, iniziarono le operazioni di recupero. Il sub dei carabinieri che era sulla motovedetta, indossò la muta, si calò in acqua e si avvicinò al corpo, avvolgendolo con delle fibbie.

Finite tutte le operazioni il sub, nuotando a ritroso, avvicinò il corpo fino alla prua e da lì i militari lo sollevarono a bordo. La motovedetta riprese la navigazione arrivando fino alla banchina d’imbarco delle canoe, lì ormeggiò e discesero i militari sollevando una branda in ferro su cui era posizionato il corpo coperto da un lenzuolo bianco, adagiandola sulla darsena.

Il capitano dette immediata notizia alla Procura della Repubblica che designò la dott.ssa Eleonora Braccesi per i rilievi di rito. Di lì a poco, la donna arrivò insieme al medico legale e anatomopatologo Franco Zinni.

Nell’attesa, il cadavere venne portato all’interno del capannone per la rimessa delle barche da gara e messo su di un lungo tavolo di legno per la riparazione delle barche. Spostato il lenzuolo e guardando meglio, il cadavere essere di una giovane donna di età compresa tra i diciotto e i venticinque anni; indossava degli stivaletti bassi di colore marrone, pantaloni jeans di marca Gucci, una camicetta bianca, al polso portava un orologio di marca Tissot, una catenina al collo con filatura media e un crocifisso in oro. Nella borsa in pelle che aveva a tracolla, c’erano delle chiavi, probabilmente di casa, un libro ormai completamente disfatto, il portafoglio, la carta d’identità e qualche banconota. Sul posto era anche intervenuto un fotografo su incarico della Procura, che scattava foto da ogni angolazione.

La giovane presentava ferite e contusioni su tutto il corpo, ma spiccavano due ferite profonde al collo e una allo stomaco; probabilmente le abrasioni erano dovute allo sballottamento del corpo contro le mura e contro i sassi di protezione degli argini.

Nel frattempo le persone sgomente e curiose, si erano radunate sul lato del lungarno Soderini, all’altezza del luogo di ritrovamento, talune più ardite erano addirittura scese fin sulla darsena per raggiungere il luogo in cui era il cadavere.

Intanto il sostituto Braccesi seguiva attentamente le operazioni medico-legali per conoscere la causa della morte.

«Dottor Zinni, è possibile formulare un giudizio sulla causa di morte, con ragguardevole certezza, considerando lo stato in cui si presenta il corpo?» domandò la Braccesi.

«Credo che sia difficile, solo con l’autopsia è possibile formulare un giudizio completo e certo. Già solo la data e l’ora della morte variano a seconda se il corpo sia stato gettato in acqua prima o dopo la morte, inoltre potremmo sapere se il decesso è avvenuto per asfissia da annegamento o a causa delle svariate ferite da taglio,» rispose Zinni.

Sul posto giunse anche la criminologa Margherita Beller, che alla vista del cadavere, formulava l’ipotesi che non si trattasse di un assassino seriale e che probabilmente avesse agito con lo scopo di prelevare il trofeo. La psicologa criminale notò subito che sul corpo c’erano tracce di violenza, sangue e capelli forse appartenuti all’assassino e, secondo lei, grazie a questi elementi sarebbe stato possibile arrivare a individuare la personalità del soggetto e se uno dei moventi tradizionali (collera, gelosia, vendetta, interesse economico, ecc.) avevano condotto a questo omicidio.

I carabinieri avevano ispezionato tutta la darsena del fiume, dal ponte alla Carraia al ponte Amerigo Vespucci. Un lavoro attento e meticoloso alla ricerca di un’eventuale arma, prove di cui l’assassino si sarebbe disfatto oppure elementi appartenenti alla vittima, tutti elementi che sarebbero potuti essere rilevanti per confermare se l’omicidio era stato commesso proprio in quel luogo o meno. La darsena era un luogo molto particolare: di giorno era caratterizzata dalla bellezza e dalla poesia grazie al panorama offerto dall’Arno, mentre di notte alcuni tratti diventavano luoghi di prostituzione e di droga.

L’ispezione durò più di quattro ore, ma non venne rivenuto nulla di interessante per le indagini.

«Ci sono molte cose da accertare: causa della morte, luogo del delitto, movente, eventuale complicità, responsabilità indirette di terzi nell’organizzazione del delitto, dinamica del fatto e se ci sono reati connessi. L’assassino è libero e potrebbe uccidere ancora,» concluse Parenti, che nel frattempo era giunto sul posto.

Ovviamente non poteva mancare la presenza del giornalista Corsi, che raccoglieva notizie per il giornale facendo domande a chiunque sembrasse anche solo lontanamente essere implicato; aveva parlato con gli allievi della Canottieri che avevano scoperto il cadavere e con il maresciallo Parenti, il quale alla vista dell’uomo mormorò ironicamente: «Corsi? Ti stavamo aspettando per iniziare le ispezioni e i rilievi medico-legali.»

«Non pensavo di essere indispensabile! Mi perdoni, maresciallo, ma senza noi giornalisti, nessuno saprebbe come funziona la giustizia, e se quando agisce, lo fa nel rispetto dei diritti dei cittadini o meno, nessuno saprebbe quanti criminali circolano in libertà e, quanti, innocenti sono nelle carceri,» rispose il giornalista, attirandosi uno sguardo cupo e torvo del maresciallo.

La dott.ssa Braccesi si avvicinò a Pareti e venne subito incalzata da Corsi: «Dottoressa? Il cadavere della giovane donna rinvenuto è quello della giovane scomparsa?»

«Non possiamo dirlo al momento, prima il cadavere dovrà essere riconosciuto. Le ricordo che a Firenze negli ultimi sei mesi sono scomparse anche altre due donne; di certo si può dire che secondo un primo rilievo medico- legale, si tratterebbe di una giovane donna di età compresa tra i diciotto e i venticinque anni,» rispose lei.

Marco seguiva con apprensione tutti gli spostamenti del pubblico ministero.

«La prego, mi può dare qualche notizia più dettagliata?»

«Lei è sempre così invasivo nel suo lavoro? Le notizie di cui la Procura è in possesso sono quelle che lei già conosce!» rispose la Braccesi, fortemente infastidita.

Il giornalista rimase alquanto deluso, sperava di scrivere un articolo da prima pagina con grande effetto emotivo e suscitare interesse e curiosità tra i lettori, voleva assolutamente battere quella pista che gli sembrava essere tanto promettente. Però, dopo un’attenta riflessione, realizzò che alla fine dei conti aveva ugualmente un succoso articolo fra le mani e avrebbe potuto nuovamente, se avesse usato la sua furbizia, alzare un bel polverone.

IL DIPARTIMENTO DEI DOLORI

La dottoressa Braccesi era a conoscenza della nomina dell’avvocato Edoardo Pelagatti da parte dei genitori della scomparsa. Il capitano Torrisi avvisò telefonicamente l’avvocato, così che lui e i suoi assistiti potessero comparire presso il dipartimento di medicina-legale, per il procedimento di riconoscimento del corpo rinvenuto. Sarebbero stati presenti anche i parenti delle altre due donne scomparse.

I coniugi Ghersi, accompagnati dall’avvocato, arrivarono puntuali e vennero fatti accomodare in una saletta d’attesa perché nella sala settoria, c’erano le altre persone convocate per la procedura di riconoscimento della salma.

La tensione era palpabile, ogni persona che si recava in quel posto, era consapevole che forse avrebbe avuto una delle notizie peggiori della sua vita, la paura si univa alla curiosità e al senso di dovere, tantissimi sentimenti aleggiavano nell’aria mentre si cercava di farsi forza a vicenda.

Dopo interminabili minuti arrivò il loro turno. Uno strano presentimento di morte opprimeva il cuore di Rossella, sembrando che le fermasse i battiti, un brivido le percorse il corpo e le serrò la gola, stava facendo sempre più fatica nel tenersi in piedi tanto che non lasciava mai la presa della mano del marito, rifugiatosi in chissà quali pensieri a giudicare dai suoi occhi vuoti.

Con calma e tranquillità il medico-legale gli si avvicinò, conducendoli verso il lettino dove era distesa la salma e, dopo varie parole di circostanza pronunciate con tranquillità per cercare di mettere i due sfortunati il più possibile a loro agio e calmarli, tolse il lenzuolo ponendo la fatidica domanda: «Signori Ghersi riconoscete in questo cadavere vostra figlia Patrizia?»

Gli occhi dei due scrutarono il corpo davanti a loro, Rossella scoppiò in lacrime singhiozzando, riuscendo a stento a pronunciare: «Patrizia! Patrizia! Come vivremo senza te? Chi ti ha fatto questo?» Sorretta dal marito, pietrificato e ammutolito dal dolore, la madre appoggiò la mano sinistra sul cuore di sua figlia. Le guardò il viso ripulito con perizia e probabilmente anche con molta attenzione e delicatezza, quel viso che sembrava sorridere al suo destino maligno, o forse intravedeva i riflessi della luce celeste. Un’infinità di pensieri affollarono le menti dei genitori che si rinchiusero in un glaciale mutismo interrotto solo dai singhiozzi.

La dottoressa Braccesi e il medico-legale erano purtroppo abituati ad assistere a tragedie simili, eppure la morte di Patrizia caricò il pubblico ministero di un senso d’inquietudine e oppressione mai provati prima, forse perché rivedeva Patrizia nelle sue figlie. Eventi del genere facevano mettere in dubbio molte cose, una domanda su tutte, invadeva la testa della donna: Si può superare tale dolore aggrappandosi alla Divina Provvidenza, davvero potrebbe bastare? E non era sicura di conoscere la risposta.

Dopo aver atteso che si prendessero il loro tempo, l’avvocato si offrì di accompagnarli a casa, così da poterli sostenere con parole coraggiose, piene di speranza, nel suo piccolo era seriamente intenzionato nell’aiutarli, voleva farli reagire.

Reagire soprattutto lottando, proprio come avrebbe dovuto fare l’avvocato stesso, non per vendetta ma per assicurare il colpevole alla giustizia.

Dopo aver terminato l’autopsia al corpo di Patrizia, Zinni consegnò al sostituto procuratore una copia della relazione medico-legale da cui emergevano alcuni elementi significativi insieme ai dati fondamentali:

Giovane di sesso femminile di anni ventuno… Sul corpo sono evidenti tre ferite profonde: due al collo e una allo stomaco, le quali hanno provocato una violenta emorragia… La causa della morte è da ascriversi a tali ferite provocate con violenza. Devono escludersi altre cause: morte per asfissia da annegamento o suicidio… La vittima presumibilmente è stata aggredita alle spalle o da una persona che conosceva, senza possibilità di prevenire e prevedere l’atto criminoso… Presumibilmente la morte della giovane può essere riconducibile allo stesso giorno della scomparsa, ovvero tra le ore ventuno e ventiquattro del 7 settembre… Il corpo presenta lacerazioni e contusioni varie a mani, gambe, collo e viso, probabilmente causate dal perdurare dello stanziamento del corpo in acqua…

Dalle prime ispezioni dei carabinieri, non era stato rinvenuto alcun tipo di arma, però grazie agli studi e alle analisi dell’anatomopatologo, si poteva dire con quasi certezza che l’arma del delitto fosse un coltello di grandi dimensioni, del tipo solitamente in uso nelle macellerie, ristoranti e nei centri all’ingrosso di carni.

Il 20 ottobre l’avvocato Pelagatti e i signori Ghersi vennero convocati dal sostituto procuratore, che nel colloquio rese noti i risultati emersi della relazione dell’anatomopatologo, fornendogli una copia degli studi; nel contempo furono informati che il reato ipotizzabile era di omicidio volontario, perciò la competenza del reato non era più in capo al Tribunale, ma alla Corte d’Assise. Per questo motivo la dottoressa Braccesi, con solerzia, trasmise l’intero carteggio al procuratore presso la Corte d’Assise di Firenze.

La signora Ghersi, profondamente dimessa, sempre sostenuta dal marito, domandò con esasperazione mista a dolore: «Dottoressa, per favore ci dica quando potremo riavere il corpo di nostra figlia! Desidereremmo poter fare i funerali al più presto per darle almeno il riposo eterno.»

«Quando l’avvocato mi presenterà l’istanza per la restituzione della salma, firmerò il decreto di nulla osta per la restituzione del cadavere. Con questo decreto l’impresa di pompe funebri potrà ritirare il corpo di Patrizia per i funerali.»

La Braccesi salutò l’avvocato, ma prima di congedarsi, volle manifestare apertamente il suo cordoglio dicendo inaspettatamente ai coniugi: «Non abbandonatevi alla disperazione, il dolore si attenuerà e la vita andrà avanti, ma Patrizia rimarrà sempre con voi, vivrà attraverso voi.» I due la guardarono a lungo, con gli occhi pieni di lacrime e annuirono con rinnovata convinzione per poi allontanarsi tenendosi a vicenda, barcollando, ma insieme, dovevano farlo per loro stessi e per Patrizia.

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