Commercio: Google investe un miliardo in Italia

   di Pierluigi Lido

Non ci vorrebbe un articolo, ci vorrebbe un libro per spiegare la rivoluzione che è potenzialmente in atto ma proverò a fare sintesi.

La notizia è fin troppo vecchia e risalente a quasi due anni fa (2020) ma quello che non c’è scritto negli articoli de Il Fatto Quotidiano e del Sole 24 Ore sul progetto “Italia in Digitale” è che Google ha deciso di entrare prepotentemente nel mondo del commercio elettronico facendolo in un modo nuovo rispetto alle logiche che hanno da sempre contraddistinto le strategie digitali. “Italia in Digitale” persino sul Sole 24 si parla della collaborazione con la Camera di Commercio italiana, di formazione, di tanto “gnegnegne” se posso permettermi ma non cita in nessun passaggio quello che sta accadendo nell’ecosistema commerciale e della battaglia che Google ha intrinsecamente lanciato al modello commerciale contraddistinto dal predominio culturale di Amazon.

Giorgio Taverniti, divulgatore digitale e seo specialist, Giovanni Capellotto, e-commerce senior ed Amazon Specialist e Luca Bove, fondatore di Local Strategy e Google Amabassador convergono sul fatto che Google stia entrando (o voglia entrare) nel mercato del retail fisico nel mondo, ma fermiamoci all’Italia ed al suo investimento da quasi un miliardo sulle mappe.

Google vuole entrare nel retail “dalla finestra” attraverso l’offline, vale a dire il mercato fisico e quindi i negozi. Come noto l’ecommerce non occupa nemmeno il 10% del retail complessivo ed occupare un posto di diritto nel commercio classico è un obiettivo da raggiungere che inizia a farsi strada concretamente.

Prima di proseguire provvediamo a sottolineare l’ovvio, che è sempre molto utile come passaggio mentale. Due punti a capo.

Gmail non è nostro, il navigatore che usiamo per spostarci e Google Drive non sono nostri, Google Analytics non è nostro. Google Heart non è nostro. Facebook ed Instagram non sono nostri. Su tutti, Amazon non è nostro. Usciamo dal paradigma dell’utilizzatore per capire che sono questi sopracitati strumenti che delle multinazionali ci fanno utilizzare con il mero obiettivo di produrre continuamente dati freschi e aggiornati, utili per essere venduti pressoché istantaneamente sul mercato pubblicitario. Fermiamoci a Google Maps però e mettiamocelo bene in testa: le mappe di Google non sono nostre.

Focalizziamo ora solo le mappe di Google, che non sono nostre.

Google è pronto per integrare le mappe (su Google Maps) dei negozi fisici ed i loro prodotti venduti in ricerca ‘vicino a me’ tramite lo strumento “Google My Business”, strumento che andrà in disuso entro il 2023 con l’avvento definitivo del già esistente Google Maps che permetterà agli esercenti o proprietari di puntatori sulle mappe di gestire da lì la propria attività, attività che oggi viene svolta con il tool Google My Business. Cercando un prodotto online la ricerca del motore restituirà prioritariamente i prodotti presenti realmente sulle mappe fisiche e fisicamente vicine al consumatore finale, dedicando primaria attenzione ai prodotti vicini fisicamente al cliente e sul territorio. C’è da capire che non esistono solo le mappe a contribuire allo sviluppo di questo cambiamento ma che tutto l’ecosistema Google Ads, Google Shopping e Google Analytics sarà al servizio di questa rivoluzione.

Le opportunità di questo grande cambiamento in atto sono legate di certo al privilegio che il motore dedicherà alle attività offline che avranno oltre a questo vantaggio quello di essere liberi dalle commissioni sul venduto dei marketplace e liberi soprattutto dai costi di spedizione nazionali, gli esercenti saranno inoltre portati a riavvicinare un rapporto umano con il cliente finale e sul territorio, aspetto relazionale che si sta perdendo con le logiche commerciali introdotte da Amazon.

Dal mio punto di vista i nodi critici sono sostanzialmente due ed aprono conseguenze a cascata.

1) Che reattività avranno i negozianti nel caricare e posizionare i prodotti online sulle mappe con tutto quello che comporta integrare il carico di cataloghi massivi, la produzione di contenuti, materiale fotografico, nuova rotazione delle merci, nuovo pricing integrato muticanale. I merchant non potranno esimersi dal cambiare mentalità e purtroppo ad oggi sul mercato non esistono strumenti pronti ed a buon mercato per introdurre dei connettori di dati (passatemi il termine) ma ancor di più non esistono troppe agenzie con una mentalità e-commerce oriented.

2) Dobbiamo chiederci necessariamente cosa farà il consumatore finale, la massa critica ove non dovesse trovare un servizio pronto e performante.

Soprattutto bisogna capire che queste due fasi (1 e 2) sono interconnesse ed ove dovesse mancare la prima (rischio concreto) il cliente potrebbe continuare a preferire servizi eccellenti e consolidati quali Amazon e gli e-commerce di fiducia. Dato non trascurabile è che il mercato e-commerce è in continuo movimento. BRT ha acquistato due anni fa il circuito fermo point proprio per dare servizi di consegna ancora più da ultimo metro e proprio nei negozi fisici di vicinato, che interessano sempre di più a tutti. Google ha fatto e sta facendo un grande passo, ora tocca a tutto l’ecosistema ma come sapete in Italia abbiamo un enorme gap in digitalizzazione. Speriamo tutti nel medio periodo per il bene principalmente delle nostre città, dei nostri quartieri, dei nostri paesi, su tutto il territorio nazionale, soprattutto al sud.

La rivoluzione è potenzialmente in atto perché ma non tutte le ciambelle escono col buco si direbbe, così come non tutte le rivoluzioni digitali hanno i loro digitalizzatori e la propria massa critica. Così come tante delle iniziative private non è assolutamente detto che Google riesca a ridare potere ai piccoli così come super G non riuscì ad affermare il suo dominio con Google Plus, una piattaforma sociale (una ciofeca) che mirava ad insidiare il predominio di Facebook.

Il futuro è adesso ma tocca fare lo sforzo di andarselo a prendere con lo studio, il sudore ed il desiderio di fare un salto qualitativo in avanti, con tutto quello che comporta, con tutti gli investimenti e la cultura che bisogna mettere in campo, investimenti e cultura che forse alla fine sono sostanzialmente sinonimi della stessa cosa.

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