In ricordo di Raffaele
A poco più di un anno dalla prematura scomparso del compianto Raffaele vogliamo ricordarlo ripubblicando l’intervista alla dott.ssa Donatella Di Pietrantonio, già apparsa sul numero 26 il 28/09/2017 dopo la vittoria nel prestigioso Premio Campiello, confermata di recente con il Premio Strega, per il quale la redazione si complimenta. Il secondo è un articolo sulla radio, in occasione del centenario della stessa, pubblicata sul numero 72 il 10/05/2022.
Vogliamo in questo modo ricordare l’amico Raffaele rileggendo due dei suoi contributi più che attuali, nonostante siano stati pubblicati alcuni anni fa.
Grazie Raffaele per la tua disponibilità e per il tempo dedicato a noi e trascorso con noi.
Dott.ssa Donatella Di Pietrantonio: ORGOGLIO ABRUZZESE
di Raffaele Simoncini
Donatella Di Pietrantonio (dottoressa che svolge la sua professione di odontoiatra pediatrica a Penne, sua città di residenza) ha vinto, a Venezia, il Premio Campiello per il 2017, con il suo romanzo L’Arminuta, termine dialettale che significa La restituita o La ritornata. Il Campiello, istituito nel 1962 dagli industriali veneti, premia il romanzo che, pubblicato nell’anno in corso e già in vendita nelle librerie, viene scelto da una giuria del tutto particolare, composta da trecento (300) lettori anonimi, individuati in classi sociali di varia origine, di diversa cultura, di diversa professione e posizione sociale. Dunque, una giuria che, contrariamente ad altri premi, ha critici letterari che hanno l’unico compito di individuare e proporre ai lettori anonimi una rosa di cinque libri. A volte, le indicazioni dei critici, rese pubbliche e in qualche modo orientate verso il probabile libro vincente, vengono clamorosamente smentite dalla giuria dei lettori anonimi. Così è accaduto quest’anno, perché il romanzo L’arminuta non sembrava essere quello favorito per la giuria tecnica, presieduta dall’attrice Ottavia Piccolo. E, invece, il romanzo della dottoressa Donatella Di Pietrantonio ha stravinto, ottenendo ben 133 voti, sulle 282 schede riconsegnate dai lettori anonimi (la cui identità viene svelata solo la sera della consegna dei premi). Per noi abruzzesi è un risultato eccezionale e deve farci sentire orgogliosi, sia perché i tre romanzi della dottoressa Donatella Di Pietrantonio sono ambientati tutti nelle nostre terre d’Abruzzo, sia perché, negli anni passati, hanno vinto il premio Campiello autori, tra gli altri, come Primo Levi, Ignazio Silone, Giorgio Bassani, Mario Rigoni Stern, Dacia Maraini, Maurizio Tabucchi, Ermanno Rea, Margaret Mazzantini. I libri da lei pubblicati sono: Mia madre è un fiume (2011), che ha vinto la quarta edizione del premio letterario Tropea, Bella mia (2013), romanzo con il quale ha partecipato, nel 2014, alla selezione del premio letterario Strega, e L’arminuta (2017).
Ho avuto l’opportunità e il piacere di intrattenermi telefonicamente, per breve tempo, con la dott.ssa Donatella Di Pietrantonio, alla quale è stato assegnato il premio Campiello, solo qualche giorno addietro, per il suo romanzo L’arminuta, edito da Einaudi. Trascrivo il contenuto della nostra conversazione, premettendo che domande e risposte derivano da appunti da me presi e non totalmente rispondenti alle precise parole della dottoressa Di Pietrantonio. Le chiedo scusa per questo e tenterò di essere il più possibile fedele al senso e al significato del nostro dialogo.
D. Dottoressa Di Pietrantonio, Lei mostra di avere una sorta di filo conduttore che attraversa i suoi tre romanzi: un trauma esistenziale che solo superficialmente sembra risolversi nei personaggi principali delle sue storie. Questa è, a suo avviso, una interpretazione forzata?
R. No. Ritengo che non sia una forzatura. Ne L’arminuta la ragazza protagonista viene riconsegnata alla sua famiglia biologica e il trauma non è facilmente superabile. I segni indelebili di questa drammatica vicenda la protagonista se li porta dietro anche nell’età adulta. Lei, ormai trentenne, confessa di non riuscire a dormire.
D. Nel suo romanzo ambientato nella Aquila post-terremoto, la protagonista vive una “colpa” che sembra venir rafforzata dalla presenza inquietante del nipote. Il tema della difficoltà del vivere non ha e non può avere esiti positivi?
R. Purtroppo, nell’esistenza di ciascuno di noi vi è una costante: nulla viene dimenticato e i segni delle esperienze passate restano. Nella protagonista di Bella mia c’è un tentativo di elaborazione, ma con il trauma del terremoto bisogna imparare a convivere e ciò non è semplice.
D. L’Arminuta disegna, in modo asciutto, essenziale, una sorta di violento ingresso della fragile protagonista nell’età adulta. Una tale storia è realistica e presente nell’Abruzzo di qualche decennio addietro. Lei ritiene che questa ragazza possa essere un significativo simbolo dell’evoluzione giovanile, in una società in rapida evoluzione verso il nostro presente?
R. Si possono trovare casi comuni, elementi nella formazione che si ripetono, ad esempio la rabbia, la ribellione: ma quella de L’Arminuta è una storia sui generis. La ragazza viene rinviata alla sua famiglia originaria e ciò rappresenta un tratto che si distacca dalle esperienze della gioventù attuale. Lei viene abbandonata due volte, quando i genitori adottivi decidono la restituzione, e vive un’esperienza certamente differente, rispetto alle adozioni attuali; queste sono previste per legge e le disposizioni sono rigidamente regolate, quella de L’Arminuta non ha regole giuridiche, ma solo un passaggio di “consegne” dalla famiglia da lei considerata propria a quella della famiglia originaria.
D.A proposito di questo fenomeno dell’adozione per così dire non scritta, ma dettata quasi sempre dalla necessità e dalla volontà di sottrarre il minore a una vita di stenti, non Le sembra che sia un tratto caratteristico del nostro Abruzzo del passato?
R. Certamente ci sono stati nel nostro Abruzzo più casi di tal tipo, ma questa forma di adozione era una pratica comune in tutta Italia: storie simili si rintracciano dal Piemonte alla Puglia, e sono pratiche con un valore tipicamente antropologico. Esse tendono a salvaguardare il nucleo originario della famiglia.
D. Nei suoi romanzi i protagonisti sono sempre femminili e si ripropone la costante del rapporto madre-figlia. Lei pensa di riproporre, nei suoi prossimi scritti, ancora donne protagoniste?
R. Il rapporto madre-figlia è il nucleo essenziale della famiglia e il mio tentativo è quello di salvaguardare questo nucleo originario: è un rapporto problematico, complesso, ma decisivo. Nella mia scrittura le figure ruotano intorno a questo rapporto ma risultano decentrate, non sono le più importanti.
D. Lei pensa che un riconoscimento così significativo, come la recentissima assegnazione del Premio Campiello al suo romanzo L’Arminuta, possa portarla, a breve, a lasciare o a mettere in disparte il suo Abruzzo, per tentare nuovi percorsi narrativi?
R. No. Al momento non so quale possa essere l’ambientazione di nuovi miei scritti. Non è un intento programmatico lasciare o togliere il mio Abruzzo dai miei scritti. È mia abitudine cercare, creare personaggi e caratterizzarli: l’ambientazione è un passaggio successivo. Finora, i miei personaggi si sono inseriti bene nell’Abruzzo e sono stati una riuscita ambientazione narrativa.
Ringrazio ancora una volta la dott.ssa Donatella Di Pietrantonio per la sua gentile disponibilità, nell’attesa di poter leggere, con piacere e attenzione, il suo prossimo romanzo.
La radio: una realtà del passato?
di Raffaele Simoncini
Agli inizi degli anni Settanta, quando esplose in Italia il fenomeno comunicativo della televisione a colori – chi ha qualche anno sulle spalle, ricorderà di certo il successo clamoroso del Gesù di Nazareth di Zeffirelli, in molti preconizzarono la fine della radio e della sua importanza. La radio aveva avuto le sue origini nel 1924, quando, dalla sede di Roma-Parioli, cominciarono ad essere trasmesse musica classica e sinfonica; poi, cominciarono a irradiare la stessa programmazione le sedi di Milano, Napoli, Torino. Nel 1929, quando la radio si trasformò in EIAR (Ente Italiano per le Audizioni Radiofoniche), diventò realmente un mezzo di comunicazione di massa. In quel periodo e negli anni immediatamente successivi, ebbe inizio il primo, grande successo di massa: la radiocronaca. E non si trattava di cronache sportive, ma di edizioni radiofoniche di opere letterarie: il primo successo di rilievo si ebbe con l’edizione radiofonica de I quattro moschettieri, e cominciarono ad avere una certa notorietà gli attori che vi recitavano. La radio cambiò poi, nel tempo, legando la sua evoluzione anche ai mutamenti sociali, storici, politici e culturali in senso lato. Alcuni esempi: l’otto settembre 1943, gli italiani ebbero la notizia dell’armistizio direttamente dalla voce di Badoglio; negli anni Cinquanta e Sessanta, lasciarono una traccia indelebile, nella storia della comunicazione di massa, trasmissioni in diretta: il Festival di Sanremo, Gran Varietà, La Corrida sono esempi di programmi che avranno una loro collocazione stabile anche nella programmazione televisiva. Il vero boom della radio si ebbe, tuttavia, con trasmissioni pensate per un pubblico di giovani: Bandiera Gialla e, soprattutto, Hit Parade, e con la prima trasmissione interattiva, che consentiva di intervenire in diretta: nel 1969, esordì Chiamate Roma 3131. Quello che avvenne dopo è storia anche di oggi; la radio, rispetto alla stampa e al cinema, era il primo esempio di trasmissione di informazioni in diretta. Prima della radio non era ipotizzabile questo tipo di comunicazione, perché solo testimoni oculari potevano sapere e vedere cosa stesse accadendo, momento per momento.
Era il mondo del giornalismo che solo il giorno dopo offriva un resoconto dell’accaduto. quando ebbero inizio le radiocronache, il coinvolgimento emotivo dell’ascoltatore divenne forte, immediato. Per le generazioni dell’epoca, alcuni nomi di radiocronisti divennero famosissimi, mitici: basterebbe pensare a Nicolò Carosio, prima voce e primo esempio di radiocronista sportivo, o a Nunzio Filogamo, presentatore di molti spettacoli radiofonici e, in particolare, delle prime edizioni del Festival di Sanremo. Una nota di costume completa questa prima, lunga fase dello sviluppo della radio: chi ha presente alcuni modelli di radio dell’epoca, ricorderà che essi erano importanti per l’arredamento delle case e per abbellirle e rappresentavano un tratto distintivo sociale, come accadrà, in seguito, per il frigorifero e per la televisione. Dopo un periodo di declino, che apparve segno irreversibile di crisi, la radio è tornata ad essere centrale nella comunicazione. C’è un motivo di fondo per questo successo evidente e duraturo nel tempo? Proviamo a soffermarci almeno su alcuni di essi, presenti in una indagine Istat del 2006.
La radio esige un pubblico consapevole dei suoi orientamenti. Quando un ascoltatore accende la radio, sa già in partenza cosa vuole ascoltare e su quale canale andare a trovare; procedimento totalmente diverso dallo zapping televisivo, per cercare cosa vedere;
La radio permette di “neutralizzare” la pubblicità: il fastidio – che a volte diviene intollerabile violenza – dei messaggi pubblicitari, lanciati nel bel mezzo di trasmissioni televisive, può essere interrotto abbassando il volume di ascolto per il tempo debito;
La radio seleziona i propri ascoltatori: c’è una offerta sempre orientata e ognuno può ascoltare ciò che più l’interessa: chi ama musica classica sa che deve orientarsi prevalentemente su canali specializzati del settore (ad esempio, Rai Tre). Ogni programma ha tipologie precise di ascoltatori: chi si trova a viaggiare su strade e autostrade, per avere comunicazioni in tempo reale su viabilità e eventuali problemi e difficoltà di circolazione (incidenti, code, file, interruzioni o rallentamenti per lavori in corso) può seguire Linea Verde-Isoradio. Insomma, ogni ascoltatore già sa in partenza cosa vuole ascoltare e come fare per renderlo possibile;
La radio ha avuto una vertiginosa “moltiplicazione” negli ultimi anni, sia quantitativa che qualitativa. Le cifre riferite agli ascolti sono impressionanti: tra 35 e 40 milioni di ascoltatori al giorno, su un’offerta che supera ormai abbondantemente le 2000 emittenti, tra pubbliche e private. Non è un caso, perciò, che nessuna radio riesca ad avere ascolti superiori al 20 per cento dell’ascolto totale. Ancora più evidente è la conferma che l’audience è abbastanza ben distribuita;
La radio, soprattutto negli ultimi anni, si è aperta alla comunicazione interattiva: gli ascoltatori possono partecipare alle varie trasmissioni, telefonando per chiedere o per fare domande, di solito in relazione agli argomenti trattati. Tutto ciò ha un fascino particolare per il radioascoltatore, che sa di poter dialogare, pur se brevemente, con personaggi famosi o con esperti, ai quali chiedere delucidazioni e pareri. Le radio private, in particolare, devono il loro successo e la loro capacità di espansione proprio al pubblico che interviene in diretta, che è anche il terminale delle proposte pubblicitarie, spesso locali, che transitano nei vari programmi;
Il miracolo della radio è tutto nel non vedere, ma nell’immaginare: si immaginano volti di speaker, attori, attrici, esperti, cantanti etc. e si immaginano luoghi, ambienti, scene, studi di trasmissione etc. La radio è evocativa: come un libro, libera dalla gravosa schiavitù di dover vedere, che spesso comporta anche distraibilità e dispersione dell’importanza della comunicazione. Nell’ascolto, la voce è il veicolo principale di comunicazione e postula una partecipe attenzione.
La saturazione da visione è un nodo cruciale della nuova, potente vitalità della radio: ormai, il cast radiofonico è costituito da personaggi famosi, partiti proprio da esperienze radiofoniche di successo che, notissimi anche in tv, hanno sentito e sentono il bisogno e il piacere di tornare a fare trasmissioni radiofoniche. Due nomi per tutti: Fiorello e Renzo Arbore. E chi, tra i “vecchietti” come il sottoscritto, non ricorda il rivoluzionario successo dell’accoppiata Arbore-Boncompagni, alla fine degli anni Settanta, con programmi esilaranti, divertenti, pieni di personaggi strani, originali e quanto mai improbabili da rintracciare nella realtà? La radio medium del futuro? Per il momento è medium del presente e non è poca cosa, considerato che sta per compiere i cento anni …