La riforma Nordio
di Alessio Basilico – ricevuto ad inizio ottobre
È da tempo che l’Italia attende una riforma seria della giustizia e, a distanza di poco più di un anno dalla riforma Cartabia, siamo pronti ad accogliere quella di Nordio. In verità, le prime avvisaglie della nuova legge non sembrano sollevare critiche favorevoli, con l’eccezione bipartisan dei sindaci (e ci credo…), che si vedono annullare l’abuso d’ufficio… Non sono un tecnico in materia, forse mi sbaglierò, ma credo il reato di abuso d’ufficio diverrebbe sanzionabile solo in caso di dolo o colpa grave…quindi?… Semmai il problema per il legislatore avrebbe potuto essere quello di definire un protocollo operativo, qualcosa di simile a step sequenziali o ad un cronoprogramma per pervenire a una sentenza in tempi brevi e prefissati.
Ripeto non sono un tecnico, ma esiste un’evidenza elementare riscontrabile da tutti: nelle riforme si cercano di definire i massimi sistemi (con il solito scopo di conquistare o mantenere agi e privilegi) mentre si trascurano gli elementi semplici ed essenziali del vivere quotidiano della popolazione. In teoria, e solo in teoria, tutti i cittadini dovrebbero essere uguali di fronte alla legge, perché in Italia c’è sempre chi è più uguale degli altri. Vale a dire che in questo paese esistono sia i tartassati che gli altri che la fanno franca. I primi per retaggio storico sono i dipendenti della PA, ovvero i cosiddetti statali; gli altri sono i furbetti di cui la nostra nazione è ricca e che spesso sono tutelati dalle stesse leggi dello Stato. Prendiamo ad es. le s.r.l. In un contenzioso tra uno statale e una srl a soccombere sarà quasi sempre il primo perché gli ordinamenti giuridici proteggono più la società che crea e dà lavoro (e magari opera soprattutto in nero; il nostro è uno dei pochi paesi al mondo dove esistono imprenditori che dichiarano meno dei loro dipendenti) che un impiegato che a fine mese ha puntualmente la sua busta paga. Però se l’impiegato, in un ipotetico contenzioso con una srl, ha la fortuna (termine non esagerato perché gli esiti con la nostra magistratura sono un autentico terno al lotto) di ottenere una sentenza favorevole, nulla esclude che possa imbattersi in una società con la cassa vuota (ma con l’imprenditore magari in vacanza beata alle Maldive) e quindi non è in grado di risarcire l’impiegato. In tal caso, malgrado la sentenza favorevole, il meschino è costretto a risarcire, oltre al suo, anche il difensore della controparte, e magari retribuire anche l’eventuale CTU anche per la parte soccombente. Risultato: oltre al danno la beffa! E questa la chiamano Giustizia! Se il consenso del paese nei confronti della Magistratura si va collocando sotto il 40% è solo per fondate ragioni a conferma che quella sulla giustizia è una emergenza nazionale.
L’esempio precedente vuole indicare solo una delle storture da correggere, un’altra è che non tutti i magistrati applicano la legge, tanti la interpretano, ma la peggiore in assoluto è che il magistrato che sbaglia non viene mai punito. Cane non mangia cane! così recita un antico proverbio che il CSM interpreta magistralmente ma, nel caso, mi domando: Non sarebbe un conflitto di interesse? Non sarebbe auspicabile invece un organo di garanzia di poche persone di cultura, di provata integrità morale, proveniente dalla società civile e nominato dal Presidente della Repubblica? … Sarebbe contro l’autonomia del Potere Giudiziario, ma così le cose non vanno. A leggere dei problemi in merito si riscontra un denominatore comune: la lungaggine dei processi. A questo si cerca di porre rimedio normando delle banalità (decreto7/8/23 n.110) quali la spaziatura, il numero dei caratteri e l’estrema sintesi negli atti; certamente per favorire la digitalizzazione della giustizia e mettere ordine nei ricorsi spesso caotici degli avvocati, ma rappresentano anche indicatori inequivocabili del fastidio che tanti magistrati provano nel dover solo leggere (mentre dovrebbero studiarli) atti prolissi. L’eccessiva ricerca di sintesi poi, che sarebbe come porre un processo in una lente di ingrandimento concentrando il tutto come se si trattasse solo di un particolare, rischia di omettere o trascurare indizi importanti per la stessa equità dei processi.
Il rimedio a tutto questo potrebbe venire dalla tecnologia, ma già si levano i cori contro per il giustificato timore che si venga fortemente a ridimensionare il prestigio della figura del giudice. Chat Gtp, (o una qualsiasi chatbot basata sull’intelligenza artificiale) una volta istruita dei codici e delle leggi, nonché informata delle risultanze delle udienze e dei contributi dei testimoni, potrebbe emettere velocemente le sentenze e ridurre sia i tempi dei processi che l’impatto operativo dello stesso giudice.
Non ci sarebbero più in compenso sentenze cerchiobottiste emesse solo per dare un contentino alle due parti (i numeri di queste di queste tipologie di sentenze raggiungono percentuali impensabili). Oppure quelle che, anche per evidente mania di protagonismo e non solo, del giudice chiamato a scrivere la sentenza, si rivelano sorprendentemente incuranti della direzione di senso data all’iter processuale dai colleghi che lo hanno preceduto. Molto spesso tali sentenze si avvalgono di “trovate giuridiche”, utili solo al suo estensore per evitare di studiare tutto il carteggio pregresso e pervenire ad una sentenza veloce. In tal caso la disfunzione consiste nella ripetuta sostituzione dei giudici; si dimostra così l’opportunità che il giudice che inizia un processo lo conduca fino a sentenza, salvo casi estremi.
Quella del ricorso all’intelligenza artificiale sarebbe una rivoluzione contestata dalla quasi totalità dei giudici che si vedrebbe costretta a riconsiderare la propria figura, oggi onnipotente legibus solutus (che non risponde alle leggi) in un’altra che ne ridimensiona oltre al prestigio, anche il sussiego e l’arroganza, (ovviamente non di tutti ma di gran parte) dei più, collocandoli su un piedistallo più a misura di cittadino. Prevedo una battaglia durissima su questo versante che porterebbe di fatto a estromettere la figura del giudice dalla sentenza. Si eliminerebbe così del tutto il sospetto di sentenze frutto di collusioni.
Purtroppo l’operato del ministro Nordio, troppo garantista, non trova supporto non solo nella sua maggioranza divisa ma, come era largamente prevedibile, anche tra i suoi ex colleghi magistrati.