L’onda lunga del 25 Settembre

di Pasquale Sofi

 Continua l’onda lunga del 25 Settembre per il centrodestra anche nelle ultime elezioni regionali, tenutesi in Lombardia e Lazio, che hanno confermato il successo del partito della Presidente del Consiglio Giorgia Meloni FdI che non ha confermato il temuto ridimensionamento dei partiti satelliti grazie alla tenuta di FI e del parziale recupero della Lega rispetto alle ultime politiche. Come avevo accennato nel precedente numero, determinante per la vittoria della Meloni già a settembre era stato lo sfondamento al Nord, con la promessa, da pochi giorni mantenuta (strategicamente prima delle elezioni in Lombardia), dell’approvazione dell’autonomia regionale differenziata, tanto agognata dalla Lega e dalle regioni del nord. Conquista che ha consentito al leghista Attilio Fontana di essere confermato governatore della Lombardia addirittura con una percentuale superiore alle elezioni precedenti, sebbene avesse rimediato figure poco edificanti nella gestione del covid nella stessa regione. A breve gli Italiani del centro Sud scopriranno cosa voglia dire l’autonomia che i leghisti spacciano come valore di efficienza. In realtà le regioni del nord avranno più soldi di quanti ne possono gestire già adesso, in compenso il Centrosud avrà i livelli essenziali di prestazioni (LEP). I LEP essendo beni immateriali, sembrano ricalcare gli stessi dubbi e le stesse indeterminazioni delle plusvalenze, oggi di grande attualità nel calcio, e con le riserve verso coloro che saranno chiamati a determinarle, probabilmente gli stessi che hanno voluto e votato l’autonomia, ma che non hanno mai voluto sentir parlare di livelli unitari di prestazioni (LUP). Sarà l’ennesima beffa per il Centrosud massacrato da leggi tutte orientate fin dagli anni post unitari a favorire sempre le stesse regioni. E pensare che la Meloni qualche anno fa si era candidata per essere eletta sindaco di Roma….

Ma sarà un caos anche organizzativo, con l’Italia ripiombata in una realtà che ricalca, addirittura peggiorandola, quella del Medio Evo, allorquando l’Italia era divisa in tanti piccoli stati; provate ad immaginare quale caos si andrebbe a generare se tutte le regioni chiedessero le 23 competenze previste dalla norma come già oggi chiede il Veneto. Potremmo avere 20 modelli di scuola diverse, 20 modelli di sanità diverse, 20 strutture di protezione civile diverse, 20 rapporti autonomi con l’Europa. Moltiplicate 20 regioni per 23 competenze autonome e avremmo 460 modelli di autonomie diverse. A quel punto avrebbe ancora senso parlare di Italia? E soprattutto come si concilierebbe il concetto di patria tanto caro alla Presidente Meloni e a FdI? Sarebbe ristretto alla regione? Ogni regione sarebbe un piccolo stato mentre l’Italia sarebbe una nazione invertebrata con un Presidente della Repubblica quasi inutile come lo stesso Parlamento.

Questo disegno entropico, nato dall’ingordigia e dall’avidità del Nord, difficilmente potrà essere modificato dai partiti, perché in Parlamento, come si è visto a suo tempo per il federalismo fiscale, la maggioranza che andrà a ratificare la materia determinando gli assetti futuri è trasversale rispetto ai partiti ed è a vantaggio chiaro dei deputati del nord (per i quali pecunia non olet). Certamente tale ambaradan potrebbe essere circoscritto se il parlamento limitasse le competenze regionali solo ad alcune ristrette materie e non a 23 come chiede il Veneto. In tal caso certamente diminuirebbe la confusione, ma non cambierebbe lo status dei cittadini divisi tra serie A e serie B.

Tornando al quadro politico, le vittorie della compagine di centrodestra, oltre al cedimento alle aspirazioni e alle avances del Nord, hanno anche matrici diverse. La principale è che il fil rouge tra i tre partiti maggiori è dato solamente dall’interesse comune che si traduce nella mission: “raggiungere e conservare il potere”. FI vuole essere, almeno nelle sue dichiarazioni programmatiche, un partito liberale, anche se negli anni si è distinto principalmente per la difesa degli interessi del suo leader. La Lega è un partito che cura gli interessi del Nord e quindi di impronta territoriale. FdI un partito conservatore, come sta ampiamente dimostrando in questi primi mesi di governo. Quindi ognuno cura i propri interessi, ma saranno tutti pronti a sacrificare il loro particolare per l’interesse comune? Acquisita la consapevolezza di un potere consolidato al punto da governare con disinvoltura i contorcimenti di Salvini, in particolare sulle nomine (Eni ed Enel su tutte) e di Berlusconi (neo paladino delle imprese edili), Giorgia Meloni, marginalmente preoccupata dall’opposizione interna, sta lavorando alacremente per accreditarsi quale partner europeo affidabile, puntando forte su atlantismo e sostegno all’Ucraina. Questo va ben oltre le intenzioni dei suoi partner che è costretta a richiamare spesso e volentieri, mentre va ad alimentare le diffidenze nei suoi confronti da parte di Germania e Francia. Potrebbe giocare addirittura in suo favore la crisi del PPE che vorrebbe sostituire il putiniano Berlusconi proprio con la leader di FdI, che andrebbe così a rinforzare in Europa l’ala conservatrice.

La sinistra di contro si crogiola in una realtà diversa, marcatamente più ideologica. Il PD vive la contraddizione al suo interno della convivenza, tra le sue tante fazioni, di elementi più o meno vicini all’ideologia comunista e alle sue liturgie mai del tutto tramontate e con tanti nostalgici che nel putinismo ritrovano nuova linfa e dinamismo. Ma rimangono tutti in attesa di un Messia capace di tenere insieme le varie anime. Sarà costui il nuovo vincitore delle primarie? Probabilmente sì, per qualche mese, ma poi torneranno ancora le antiche contrapposizioni. Dal PD si è distaccato il terzo polo, ma l’attesa del suddetto Messia non ha portato nuove messi da sinistra e men che meno da una destra che viaggia con le vele del potere. Resta però l’unica organizzazione che prova a fare una politica sulle cose reali e non una politica contro, come in genere avviene a sinistra da sempre, ma che sta diventando un mantra anche per la destra (sta cercando, infatti, di intestarsi la primogenitura di vecchie norme cambiando il nome o apportando piccoli cambiamenti).

Sempre indecifrabile il M5S che tanti collocano a sinistra. A mio parere più che i pentastellati aposizionarsi in questa posizione del quadro politico, sono quelli di sinistra che vorrebbero annetterli, o ospitarli nella loro compagine, senza rendersi conto di avere a che fare con uno come Conte che si è appropriato del movimento senza colpo ferire, riducendo ai minimi termini, gradualmente, tutti quelli che pensavano di poter vantare crediti all’interno dello stesso movimento, Grillo compreso. Mentre è possibile dichiarare senza ombra di dubbio che il reddito di cittadinanza è una manovra di sinistra, che lo aveva ideato e chiamato reddito di inclusione, la stessa cosa non è possibile affermarla per il super bonus edilizio 110 perché, checché ne possa millantare l’avvocato di Volturara Appula circa la crescita dei posti di lavoro, avventurieri improvvisati, imprenditori o immigrati si sono inventati esperti di opere edilizie senza che le necessarie competenze siano mai state certificate o verificate ei guadagni dell’Erario sono dovuti all’Iva su prezzi cresciuti e maggiorati. Certo che il vizio di credere di interloquire sempre con analfabeti creduloni è ancora diffuso, ma credo che l’avvocato divenuto inaspettatamente premier abbia bisogno di un corso di recupero in matematica e, in ogni caso, non si mette a repentaglio il futuro delle nuove generazioni o la stabilità economica di un paese per inseguire i propri vezzi politici. Inoltre, i cittadini meno abbienti che in genere dovrebbero essere difesi dai politici di sinistra, vedranno le proprie abitazioni (per lo più connotate con classe energetica “G”) private dall’abitabilità (perché di fatto a loro il bonus edilizio è stato negato) in quanto le leggi europee prevedono per il 2033edifici residenziali con certificazione energetica in classe “D”.

Pertanto tra bandierine partitiche e arrocchi ideologici, non possiamo dire di essere messi bene né possiamo credere che le elezioni abbiano risolto le vecchie questioni incancrenite. Certamente il nuovo governo sta provando a sanare quelle storture, sia sul reddito di cittadinanza che sul super bonus edilizio che Draghi aveva denunciato e sulle quali, per ovvi motivi di schieramento, non era riuscito ad intervenire; anche se lasciano perplessi le recenti modalità di intervento. Però rischiamo un contenzioso con l’Europa con riflessi negativi sullo stesso pnrr per la mancata riforma sulla concorrenza. È terrificante invece l’abbrivio del neo ministro della Pubblica Istruzione e del Merito: innanzitutto dimostra di non avere lui nessun merito per sedere su quello scranno tanto importante. Aggiunge poi alla conclamata ignoranza dei suoi ultimi predecessori, sia di destra che di sinistra, una protervia che riesce a stemperare solo quando si rivolge alla componente studentesca, ma le soluzioni che propone per la scuola sono quantomeno assurde.

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