Il regime carcerario previsto dall’art. 41 bis (prima parte)
a cura dell’avvocato Dario Antonacci*
Nel gergo quotidiano quando si parla di regime carcerario cosiddetto duro ci si riferisce al 41 bis.
Difatti, la norma che regola il detto regime carcerario è l’art. 41 bis della legge 26 luglio 1975, n. 354 recante “Norme sull’ordinamento penitenziario e sulla esecuzione delle misure privative e limitative della libertà”, pubblicata in Gazzetta ufficiale serie generale n. 212 del 9.8.1975, meglio conosciuta come Ordinamento penitenziario.
La norma in parola, nel tempo, è stata soggetta a diverse modifiche che hanno cercato di modellare il regime carcerario sulla base delle esigenze sociali e culturali.
Nella prima versione della legge in parola il regime carcerario cosiddetto duro non era previsto.
Infatti, l’art. 41 bis veniva introdotto per la prima volta con la legge 10 ottobre 1986, n. 663, conosciuta anche come “legge Gozzini” dal suo promotore Mario Gozzini.
In questa sua prima versione la norma riguardava solo le situazioni di emergenza nelle carceri quali, a titolo esemplificativo, i casi di rivolta, prevedendo la sospensione dell’applicazione “delle normali regole di trattamento dei detenuti”.
Tuttavia, a seguito della stagione delle stragi e, in particolare, a seguito dell’attentato mafioso conosciuto anche come la Strage di Capaci dove persero la vita il Giudice Giovanni Falcone, la moglie Francesca Morvillo e gli agenti della scorta, il regime carcerario previsto dall’art. 41 bis viene modificato prevedendo, inoltre, l’applicazione del regime carcerario in oggetto anche nei confronti dei detenuti reclusi per reati aventi natura mafiosa.
Ebbene, con l’emanazione del d.l. 8 giugno 1992, n. 306 (cosiddetto Decreto antimafia Martelli-Scotti), convertito nella legge 7 agosto 1992, n. 356, si consentiva al Ministro della Giustizia, in presenza di gravi motivi di ordine e di sicurezza pubblica, di sospendere le garanzie e gli istituti dell’ordinamento penitenziario, al fine di applicare le necessarie ed opportune restrizioni nei confronti dei detenuti, tanto per i condannati quanto per gli imputati e gli indagati, per i delitti di associazione per delinquere di stampo mafioso nonché per i delitti commessi per mezzo dell’associazione o per avvantaggiarla.
Il chiaro intento del legislatore era ed è tuttora quello di impedire il passaggio di ordini e comunicazioni tra i criminali detenuti e le loro cosche di appartenenza presenti e operative sul territorio.
Sebbene le misure introdotte dalla riforma del 1992 avessero originariamente carattere temporaneo, tanto che la sua efficacia era limitata a un periodo di tre anni dall’entrata in vigore della legge di conversione, successivamente vi furono diverse proroghe. In tal senso, veniva prorogata una prima volta fino al 31 dicembre 1999, una seconda volta fino al 31 dicembre 2000 e, infine, una terza volta fino al 31 dicembre 2002.
Alla modifica appena citata ne seguirono altre.
In tal senso, un’ulteriore modifica all’art. 41 bis veniva apportata dalla legge 23 dicembre 2002, n. 279 recante norme in materia di “Modifica degli articoli 4-bis e 41-bis della legge 26 luglio 1975, n. 354, in materia di trattamento penitenziario” la quale, tra le altre cose, abrogava il carattere temporaneo di tale disciplina rendendo il regime carcerario cosiddetto duro stabilmente presente nell’ordinamento penitenziario.
Tra le novità sicuramente più rilevanti apportate dalla riforma del 2002 del regime di cui all’art. 41 bis vi era la previsione in virtù della quale il provvedimento ministeriale di applicazione del regime in parola non potesse essere inferiore a un anno né superare i due anni, con eventuali proroghe successive di solo un anno ciascuna.
Inoltre, veniva estesa l’applicazione del regime di carcere duro anche ai condannati per i reati di terrorismo e di eversione.
Per contro, la modifica apportata dalla adozione della legge 15 luglio 2009, n. 94 assume particolare rilevanza in merito ai limiti temporali che, peraltro, risultano essere tuttora in vigore.
In quest’ottica, il provvedimento che dispone l’applicazione del regime carcerario di cui all’art. 41 bis può durare quattro anni e le proroghe hanno una durata di due anni ciascuna. Inoltre, secondo le nuove regole, i detenuti possono incontrare senza vetro divisore i parenti di primo grado inferiori ai dodici anni di età.
Come già anticipato, sebbene non si può negare come il regime carcerario di cui all’art. 41 bis risulti particolarmente lesivo e limitativo di qualsiasi libertà e diritto occorre tenere a mente che il chiaro intento del legislatore è quello di recidere i legami tra il soggetto detenuto per uno dei reati per i quali è prevista l’applicazione del regime carcerario cosiddetto duro e, in particolare, per i reati di natura mafiosa, eversiva e terroristica e il mondo esterno nonché con il mondo interno al carcere.
Dunque, si vuole interrompere i legami dei detenuti con il contesto delinquenziale di riferimento del detenuto stesso.
Relativamente alla durata del 41 bis, come sopra accennato e come previsto dalla riforma del 2009, tale forma di restrizione può durare quattro anni e le proroghe possono avere una durata di due anni ciascuna, salvo il caso di revoca del regime che si può verificare sostanzialmente in due casi. Il primo si verifica allorquando intervenga la scadenza del termine senza che sia disposta la proroga e, il secondo, invece, si verifica, qualora, su ordine del Tribunale di sorveglianza, a seguito di reclamo, dovesse seguire una decisione di illegittimità del provvedimento che disponeva l’applicazione del regime stesso.
Il regime speciale 41 bis può essere applicato ai detenuti per taluno dei delitti di cui al primo periodo del comma 1 dell’art. 4 bis dell’Ordinamento Penitenziario o comunque per un delitto che sia stato commesso avvalendosi delle condizioni o al fine di agevolare l’associazione di tipo mafioso.
In particolare, dalla lettura dell’art. 4 bis, emerge che il carcere duro è applicabile per taluno dei delitti commessi per finalità di terrorismo, anche internazionale, o di eversione dell’ordine democratico mediante il compimento di atti di violenza, per il delitto di associazione per delinquere di tipo mafioso, nonché per i delitti di riduzione o mantenimento in schiavitù o in servitù, prostituzione minorile, per il delitto di chi, utilizzando minori degli anni diciotto, realizza esibizioni pornografiche o produce materiale pornografico ovvero induce minori di anni diciotto a partecipare a esibizioni pornografiche e chi fa commercio del materiale pornografico predetto, per i delitti di tratta di persone, acquisto e alienazione di schiavi, violenza sessuale di gruppo, sequestro di persone a scopo di rapina o di estorsione, associazione per delinquere finalizzata al contrabbando di tabacchi lavorati esteri nonché per il delitto di associazione finalizzata al traffico di sostanze stupefacenti o psicotrope.
Se come visto, è possibile applicare il regime ai condannati, agli imputati ed agli indagati non solo per i reati di stampo mafioso, nella pratica, però, va rilevato che oltre il 90 % dei soggetti sottoposti al carcere duro subisce tale tipo di restrizione per il reato di associazione di stampo mafioso. (continua …)
*Cultore della Materia in Diritto Notarile nell’Università degli Studi di Bologna