Vi sembra che la politica pensi al domani? “Sorpass..iamola”
di Gennaro Passerini
Possiamo affermare che la società trasmetta il senso della responsabilità collettiva? Vi sembra che la politica trasmetta il senso della responsabilità collettiva? Che la politica pensi al domani? Pensate che la società italiana educhi a pensare al domani? Le istituzioni, i valori di questa società sono improntati sulla responsabilità del domani?
I partiti, i politici sono incartati in tatticismi, in dichiarazioni “spot” al solo scopo di conquistare e mantenere poltrone, potere decisionale per i loro rapporti clientelari.
Si può pensare che abbiano il senso della responsabilità, una visione del futuro, la responsabilità di farsi carico del domani di tutta la collettività!?!
Non dimentichiamoci che la politica, i partiti, le istituzioni più in generale e il popolo colluso nel voto di scambio hanno costruito negli anni passati l’enorme debito pubblico; al contrario, con subdola incoerenza, ultimamente si sono accomunati nel perseguire un’assurda azione politica di austerità approvando un sistema pensionistico che ha negato a tanti cittadini il diritto alla pensione (esodati), ha posto ostacoli al ricambio generazionale nel mondo del lavoro con conseguente invecchiamento della classe lavoratrice e la mortificazione e il depauperamento di intere classi generazionali di giovani.
Dove sono le responsabilità della classe dirigenziale, sono stati capaci solo di addebitare alla crisi quanto stava avvenendo. Con questi esempi, se ci sarà mai un ricambio dirigenziale, potranno mai i nuovi avere il senso della responsabilità collettiva? Albert Einstein affermava “Chi attribuisce alla crisi i suoi fallimenti e difficoltà, violenta il suo stesso talento e dà più valore ai problemi che alle soluzioni. La vera crisi, è la crisi dell’incompetenza. L’inconveniente delle persone e delle nazioni è la pigrizia nel cercare soluzioni e vie di uscita” e “Non possiamo pretendere che le cose cambino, se continuiamo a fare le stesse cose”.
Si potrà mai tornare a pensare che le responsabilità dirigenziali, della politica, della giustizia, di un lavoro qualsiasi, si potranno conquistare con la meritocrazia, la preparazione professionale, con la coscienziosità, scrupolosità e riservatezza, in una sola parola “etica”.
Si potrà finalmente condannare l’improvvisazione, la furberia, l’inganno, la raccomandazione, “l’appartenenza a questo o a quel potere”.
Si potrà pensare con ottimismo ed impegno finalmente all’oggi pensando al domani, che l’oggi e il domani devono camminare a braccetto?
La politica, le istituzioni si sentono sfidate, non solo per il ritardo storico a comprendere le trasformazioni della società, ottusi dal pensiero della difesa ad oltranza dei privilegi acquisiti, ma in verità perche mancano della sensibilità per catturare le esigenze di un popolo oramai stremato dalle negatività degli ultimi decenni, esausto per le promesse non mantenute di uscire dall’interminabile tunnel della crisi.
Capiranno mai che il mondo sta cambiando, la gente si sente inascoltata, non rappresentata; intenderanno mai che i problemi del territorio vanno affrontati con decisione; percepiranno finalmente le complesse difficoltà dei popoli?
La nostra società multietnica esige sostanziali cambiamenti nei suoi molteplici aspetti organizzativi, culturali, negli scambi e nei rapporti sociali, anche nelle esigenze più elementari.
Aumentano sempre più le incomprensioni, le difficoltà sociali, gli egoismi, mentre c’è chi sventola le bandiere verdi e a cinque stelle esultando per la vittoria, altri le ammainano viste le grandi contraddizioni, le incoerenze e i passi indietro rispetto a quanto strillato e promesso solennemente dal duo Salvini – Di Maio.
Io resto a guardare, attento osservatore, non perché il tutto naufraghi fragorosamente, ma perche rispettoso della democrazia e del voto di quasi dodici milioni di italiani, mi auguro che finalmente si giunga alla formazione di un governo e si comprovi con i fatti quanto proclamato in questi anni.
Chi mi conosce sa delle mie convinzioni, il mio essere coerente, certo non assimilabile alla odierna maggioranza ipotizzata.
Io non scelgo di volta in volta il carro del vincitore, senza averne le stesse convinzioni, al solo scopo di ricoprire poltrone o gestire atti clientelari, io non grido “ho vinto” senza alcuna sostanziale convinzione.
L’accoppiata Salvini – Di Maio sarà la tanto promessa rivoluzione e il “cambiamento”?
Saranno capaci di una discontinuità politica veramente costruttiva che faccia la differenza rispetto ai tanti “vecchi tromboni” che hanno mal governato per decenni?
Oppure la discontinuità e le promesse di provvedimenti ad effetto, grancassa suonata fino ad oggi, servirà a formare un’orchestra al solo scopo di occupare centinaia di posti di rilievo, per goderne come al solito dei privilegi, come hanno fatto altri prima di loro!?!
Certo dalle regalie di Renzi, dei suoi 80 euro, al reddito di cittadinanza sbandierato dai Cinque Stelle si è promesso un moltiplicatore clientelare di grande effetto, cosa che non poteva non essere che vincente per il popolo suddito.
Ma permettetemi di dubitare che esso possa essere, così come esplicitato, un incentivo per avviare al lavoro. CAZZATE….CAZZATE….SOLO CAZZATE…!!!
Il tutto potremmo paragonarlo ad una carta – partita delicatissima e perfino rischiosissima, un piatto al poker dove giocatori senza scrupolo, bleffando, buttano tutto quello che non hanno come posta nel piatto con lo scopo di impressionare gli altri giocatori ed arrivare ad appropriarsi di tutto ciò che era ed è nella disponibilità, “il potere” economico degli altri attori, giocatori senza scoprire il punto.
Rischiosissima partita, in alcuni “ambientini” si rischiano non solo grossi danni economici irreparabili, ma anche l’integrità fisica….
Vorrei mettere in risalto che, da moderato, liberale, cristiano e profondamente riformista, non ho mai creduto in chi si è presentato come rappresentante salvatore della patria, non ho mai perseguito né apprezzato chi vuole conquistare consenso con le grida, né chi soffia sul fuoco per farlo diventare incendio, né chi definisce tutti gli altri incapaci e disonesti, mentre magnifica sé stesso eticamente e professionalmente bravo.
Non mi piace chi punta il dito sugli altri pronto “a scagliare la prima pietra” e con la volontà di rompere senza mediare; non mi piace “chi sale in cattedra quando non è neanche passato dai banchi”; non mi piace chi attribuisce i fallimenti agli altri e “dà più valore ai problemi piuttosto che alle soluzioni”; non mi piace chi la fa facile quando facile non è.
Non sono più, ahimè, tanto giovane, sono un figlio post bellico per cui ho vissuto tanti momenti del dopoguerra e della così detta Prima Repubblica; ho vissuto da studente gli anni sessanta e soprattutto il sessantotto dove si gridava contro il Sistema, contro i politici, si auspicava anche allora “un cambiamento”. Le piazze erano piene, le università in grosso fermento. Le ragioni di tanto trambusto e fermento avevano fondamento, ma purtroppo non portarono ad un vero confronto costruttivo.
Passavo da una assemblea studentesca all’altra e ai miei tentativi d’intervenire nel dibattito con atteggiamenti costruttivi, cercando di farmi ascoltare nella calca e nella esuberanza dialettica imperante, suscitavo reazioni violente non solo verbali ma persino pericolose per la mia integrità fisica.
Alternativamente venivo tacciato di “fascista” in assemblee a connotazione di sinistra, e al contrario accusato di essere “comunista” in assemblee con caratterizzazione di destra.
Il mio essere moderato, disponibile al confronto, con il solo scopo di raggiungere un obiettivo comune non era a quei tempi ammesso.
L’obiettivo comune, a senso unico, era far diventare certe critiche scarne proposte e ragione “di governo”.
Si contestava l’università per poi pretendere agli esami, pur non avendo alcuna o poca conoscenza della materia, la sufficienza “politica”.
Si pretendeva il governo del paese senza sapere realmente da dove cominciare per governarlo.
Provai e riprovai a interloquire, a proporre confronti da cui uscire con soluzioni concrete, obiettivi spendibili per il futuro. Tutto vano, rischiai veramente molto, fui costretto a trasferirmi in altra università per salvaguardare la mia integrità fisica.
Al terzo tentativo mi trasferii in una università di recente formazione che mi permise, riacquistata la serenità, di proseguire gli studi oramai più che convinto che le piazzate, il bavaglio, le violenze non si confacessero al mio percorso di rivendicazioni.
L’appiattimento del pensiero, anima di quelle assemblee, non si addiceva al mio modo di essere; mi convinsi che bisognava rischiare di essere spesso impopolari per rappresentare realmente gli interessi dei cittadini. Le piazzate urlanti non possono dettare legge o comandare, mi convinsi che vecchi o nuovi che fossero “i tromboni” non fosse certo quella la strada giusta da percorrere per giuste rivendicazioni.
E la storia degli anni che seguirono mi dette ragione, purtroppo tante vittime innocenti, tante sofferenze, tanti lutti inutilmente.
Osservando quanto è accaduto negli ultimi anni e quanto avviene oggi, temo che le urla e le promesse portino ad un appiattimento del pensiero e che si possa giungere ad un populismo irrazionale asservito solo ad un ricambio generazionale di poltronisti del potere; mi preoccupa enormemente il giustizialismo di certe voci mediatiche.
Le verità non vanno artefatte, non hanno colore o partito, ci sono ragioni per chiedere una immigrazione più ordinata, ci sono motivazioni per pretendere maggiore sicurezza, meno tasse a fronte di “un socio” lo Stato opprimente e ingordo che divora miliardi di economia per mantenere una burocrazia pigra, obsoleta e spesso insufficiente professionalmente, figlia di un “Sistema Italia” clientelare.
Molte sono le ragioni per pretendere la messa in sicurezza dei territori; per pretendere un ricambio generazionale nel mondo del lavoro, per cedere finalmente il testimone a giovani su cui abbiamo speso tante risorse per la formazione e la loro professionalità, evitando così l’emorragica emigrazioni della migliore gioventù.
Molteplici sono le ragioni nel pretendere che lo Stato saldi i suoi debiti con i cittadini; ed ancora di più quando lo Stato nella posizione contemporanea di creditore – debitore pretende di assolvere solo la funzione di creditore con il risultato di usare violenza ed agonizzare il cittadino.
La rivoluzione “il cambiamento” oggi sulla bocca della generazione dei “sanculotti” Cinque Stelle sarà mai possibile?
Visto quanto vissuto da me in passato e quanto oggi promesso ed urlato, mi attesto in una posizione di diffidente attesa del “miracolo del cambiamento” e nel dubbio metto fuori la freccia, Il Sorpasso, con la scritta “Formiamo una casa dove non ci sia appiattimento del pensiero” e confrontiamoci perché nonostante l’età guardo con ottimismo il futuro. Vi esorto con un aforisma di Albert Einstein
“Non possiamo pretendere che le cose cambino, se continuiamo a fare le stesse cose” finiamola con il pessimismo “È nella crisi che sorgono l’inventiva, le scoperte e le grandi strategie”