La “Colonnetta”

La “Colonnetta”

di Pasquale Criniti

Sulla via Vestina si trova un cippo stradale denominato la “Colonnetta”.

Ha forma di parallelepipedo alto circa due metri ed è stato costruito con mattoni e malta; le facce laterali sono state rivestite di lastre di pietra dura, due delle quali, una superiore e una inferiore sono incise rispettivamente con la scritta in alto “Strada di Penne – con le enne rovesciate – per la Valle del Tavo”, e con la data 1842 in basso.

Attualmente le due scritte sono decifrabili con fatica nella loro interezza, essendo la pietra molto corrosa dalle intemperie e in questi ultimi anni anche dai gas di scarico delle automobili.

Il cippo, attestante la fine dei lavori sulla strada Penne-Montesilvano iniziata nel lontano 1819, venne collocato all’imbocco di via dei Piceni ai bordi di via Vestina nel 1842.

Tutto questo tempo si impiegava allora per realizzare un’opera stradale, fra l’altro non difficoltosa per la morfologia del terreno.

Ogni singolo lavoratore riceveva solo cinque carlini al giorno.

I gruppi di lavoratori con turni di 100-150 uomini e soltanto con la forza dei loro muscoli picconavano, spianavano, spalavano, allargavano, imbrecciavano e canalizzavano i bordi delle strade.

Ricevevano solo due grani di pane e una caraffa di vino ciascuno quando i lavori si effettuavano per le opere comunali.

Una diceria sostiene che il cippo possa essere stato collocato dai tecnici del generale Giuseppe Salvatore Pianell (Palermo, 9 novembre 1818 – Verona, 5 aprile 1892) durante i lavori di modernizzazione della rete viaria in Abruzzo voluta dai Borboni, e che vide la ristrutturazione della strada che collegava Montesilvano a Penne.

In realtà la nomina a temporaneo Comandante Territoriale delle tre province abruzzesi di Pianell fu assegnata il 21 settembre 1859, cioè molti anni dopo la data 1842 incisa sul cippo.

Pianell durante il suo mandato riorganizzò gli uffici governativi e comunali, riformando il personale della giustizia e della polizia, tracciando e facendo eseguire lavori pubblici per i quali fece lavorare sia il personale locale sia i soldati, e quando nel luglio del 1860 fu richiamato a Napoli da re Francesco II di Borbone, gli abitanti di Chieti e Ortona lo elessero cittadino onorario per l’opera svolta.

Sulla lastra di pietra superiore del cippo fu successivamente poggiato un monoblocco cilindrico di pietra molto dura, alto più di un metro e recante inciso lo stemma sabaudo sullo stesso lato delle due sottostanti scritte.

Può darsi che da quel momento la contrada abbia assunto la denominazione di “Colonnetta”.

Lo stemma sabaudo, secondo quanto ha narrato lo storico Gennaro Agostinone, risalirebbe ai primi anni del ‘900 e sarebbe stato eseguito da un artista locale, quel conte Michele, estroso artista di casa Delfico, nei cui confronti i montesilvanesi nutrivano un sentimento di ammirazione e di rispetto.

Michele De Filippis Delfico, figlio del conte di Longano Gregorio De Filippis e di Marina Delfico, nato nel 1840 e rimasto orfano di padre a sette anni, venne istruito privatamente come allora era consuetudine.

Apprese l’arte della pittura come allievo di Pasquale Della Monica, allora insegnante sia nel Real Collegio San Matteo che nella scuola comunale di disegno di Teramo.

Studiò musica e imparò a suonare il pianoforte sotto la guida di Camillo Bruschelli, maestro di cappella della cattedrale aprutina e insegnante di musica strumentale nel predetto Collegio, all’epoca unica persona di rilievo nel campo musicale nella città.

Ma, come si legge nei pochi documenti tornati alla luce, Michele De Filippis Delfico predilesse la scultura che divenne la sua principale attività artistica. Però purtroppo nel periodo in cui è stato inciso lo stemma Michele per motivi di salute, come dimostrano alcuni documenti dell’archivio di famiglia, non risiedeva a Montesilvano.

Una sorte ostile aveva riservato a Michele lunghi anni di malattia, nonostante le continue amorevoli cure prodigate dalla madre Marina che non tralasciò di farlo visitare e assistere da famosi medici di Roma e di Napoli; morì in una clinica di Macerata l’11 agosto 1905.

La tradizione vorrebbe che sia stato Vittorio Emanuele III in persona ad inaugurare all’inizio del secolo scorso la colonnina cilindrica con lo stemma sabaudo collocata in ricordo del passaggio da lì, nell’ ottobre 1860, del nonno Vittorio Emanuele II che alla testa delle truppe piemontesi si dirigeva verso Napoli per arrestare la marcia di Giuseppe Garibaldi e prendere possesso, acclamato Re d’Italia, del liberato Regno delle due Sicilie.

Ora, la venuta del re, nipote del Galantuomo padre della patria, è poco credibile non tanto perché le truppe piemontesi transitarono non in via dei Piceni ma sulla via Nazionale adriatica, che sappiamo inaugurata il 1°gennaio 1823, ma perché il reuccio aveva le sue buone ragioni, nell’infuocato clima politico dell’epoca, per evitare di esporre la propria persona in manifestazioni pubbliche poco rilevanti, dopo l’assassinio di suo padre Umberto I avvenuto a Monza il 29 luglio 1900.

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