Prof. Ricciuti, che accade in Venezuela?
Ecco perché i venezuelani ben si integrano da noi
di Vittorio Gervasi
Abbiamo intervistato un italo-venezuelano d’eccellenza, il prof. Edgardo Ricciuti, che insegna Dottrina dello Stato nella Facoltà di Diritto e Scienze Politiche presso l’Universidad Central di Venezuela a Caracas. Ora è in Italia perché vivere a Caracas è diventato davvero troppo rischioso. A lui abbiamo chiesto come mai i venezuelani sono un esempio di integrazione positiva nella nostra città e qual è la situazione in Venezuela.
- Lei è originario della nostra zona?
- Io sono nato nel Venezuela nel 1962, come le mie sorelle, perché i miei genitori vi si erano trasferiti nel 1957, quando l’emigrazione stava già rallentando. Mio padre è di Giuliano Teatino mentre mia madre è di Canosa Sannita. Io mi sento molto italiano perché io e mia sorella tornavamo ogni anno in estate per tre mesi e poi sono venuto proprio ad abitare in Italia da studente. Ho studiato al liceo Masci a Chieti e poi un paio d’anni all’Università di Teramo, mentre ho terminato gli studi all’Universidad Central di Caracas in Venezuela. Quando arrivo a Giuliano Teatino mi sento Ulisse che torna a Itaca, perché in Venezuela non ci sente mai tranquilli: infatti Caracas è la metropoli più pericolosa al mondo.
- Perché, secondo lei, gli immigrati provenienti dal Venezuela ben si integrano nella nostra comunità?
- Le voglio rispondere in modo accademico a seguito delle ricerche svolte in Università, tornando indietro nel tempo a prima dell’arrivo degli spagnoli, alla cultura precolombiana. Com’erano i venezuelani? A differenza di Perù e Messico dove erano presenti Incas e Aztechi con culture piramidali, in Venezuela c’erano, e ci sono tuttora, molte tribù orizzontali con un centinaio di componenti che girano intorno al capo tribù. Sembrerebbe che, anche se c’è stato un processo progressivo di occidentalizzazione, ci siano aspetti antichi ancora vivi, così che il venezuelano è molto aperto a conoscere il mondo e ad assorbire culture altrui. Nella Caracas degli anni ‘70, considerata una capitale culinaria mondiale perché presenti tantissimi ristoranti francesi, italiani, spagnoli, giapponesi e altri, i venezuelani erano usi sperimentare culture culinarie differenti. Sempre basandomi sugli studi degli indigeni, posso affermare che il venezuelano ama conoscere altre persone e cerca di guadagnarsi la vita, non è la persona che aspetta che tutto gli sia dato: in realtà aspetta solo l’opportunità di poter lavorare e progredire. Ciò che accade oggi in Venezuela è una tragedia, perché il venezuelano non merita di essere trattato così da uno stato padrone, stato che oggi cerca di assoggettarlo solo per ottenere il suo voto. Il venezuelano è irriverentemente libero e la libertà può tracimare anche in libertinaggio. Quando il venezuelano può intraprendere una attività individuale che gli può garantire un beneficio individuale, la percorre senza dubbi.
Il Venezuela ha bene accolto tanti immigrati, italiani, spagnoli, portoghesi, ebrei, polacchi, tedeschi. Il rapporto con questi immigrati è sempre stato buono e il venezuelano ha sempre cercato di assorbire le varie culture con le quali è venuto a contatto. Ecco perché credo che il venezuelano non abbia difficoltà a integrarsi. Inoltre non è bigotto, sotto nessun punto di vista, e non è dogmatico in senso religioso.
- Forse la facilità di integrazione dipende dal fatto che chi viene in Italia ha già un legame con l’Italia?
- Questo vale certamente per gli italo-venezuelani, ma anche i venezuelani hanno un deciso legame con l’Italia, per esempio in Venezuela ci sono molte barzellette sugli italiani e sono presenti molti modismi italiani. L’italiano è ben visto in Venezuela per la sua facilità di integrazione. Tutto ciò probabilmente facilita l’integrazione in Italia.
- Ci racconta cosa accade in Venezuela. Cosa si può fare da qui?
- Bisogna innanzitutto conoscere la triste realtà attraverso i fatti. Bisogna immergersi nella politica venezuelana verificando i fatti e senza ascoltare cosa dicono i politici. Se l’opposizione venezuelana non fa quello che deve fare, non bisogna ascoltare quello che dicono. Perché affermo ciò? L’opposizione venezuelana sembrerebbe sia collusa con il potere. Nessuno si spiega perché vincano le elezioni e abbiano il potere costituzionale di prendere provvedimenti e poi non lo facciano. Anche se ciò scomoda alcuni, bisogna prima svegliarsi dall’incubo e poi agire. Molti continuano a credere in questa opposizione, ma probabilmente per un motivo psicologico. Non sono capaci di resistere a una delusione così grande e preferiscono continuare a credere che l’opposizione è tale.
- Quando è accaduto che l’opposizione ha smesso di fare l’opposizione?
- Io ho una data, il 15 agosto 2004, quando c’è stato un referendum revocatorio, in base al quale puoi allontanare dal potere il Presidente della Repubblica, perso dal Presidente Chavez. In quella circostanza l’opposizione affermò che il referendum fosse stato vinto da Chavez. Nella elezione del 2006 tutti i sondaggi davano il candidato Rosales vincitore che però perse e l’opposizione non rivendicò la vittoria. Inutile continuare a citare gli accadimenti fino ad oggi: l’opposizione sprona il popolo a votarne gli esponenti promettendo in caso di vittoria la rielezione del Tribunale Supremo di Giustizia, la rielezione dei rettori dell’organo elettorale il CNE, … ma quando hanno vinto non hanno fatto assolutamente nulla.
- A quale motivazione lei attribuisce la ricerca dello stallo?
- Io ho delle tesi non certezze. La cosa più innocente che posso pensare dell’opposizione è che non possa e non voglia utilizzare i canali tradizionali per uscire da una tirannia perché ha paura di essere spazzata via dal gioco. Se nel Venezuela c’è violenza, essa viene risolta in modo brusco da chi ha le armi, ovviamente dall’esercito. Poiché l’opposizione non ha un buon rapporto con l’esercito, rimangono in attesa, in modo tattico, attendendo chissà cosa. Da questo stallo molti oppositori hanno anche ottenuto arricchimento personale.
- Quale la sua esperienza recente con il Venezuela?
- Sono venuto in vacanza in Italia in estate, come al solito, e dal Venezuela mi hanno informato che c’erano delle persone poco raccomandabili in Università che chiedevano di me. Ero con le valigie pronte per partire, ma ho deciso di attendere tempi migliori qui in Italia, in aspettativa.
- Come si può aiutare il Venezuela?
- Non bisogna dare ossigeno al regime, bisogna accerchiarlo. Il presidente Tajani lo considero un amico del Venezuela perché si è pronunciato parecchie volte contro il regime di Maduro e l’Unione Europea ha deciso di applicare le sanzioni. All’applicazione delle sanzioni sono immediatamente volati in Europa il presidente del potere legislativo e il capo dei uno dei maggiori partiti: il risultato è stato che il presidente francese Macron ha affermato la necessità di un dialogo in Venezuela. Le sanzioni sono contro i gerarchi del regime e non contro il popolo. Per questo motivo sono favorevole.
Gli Stati Uniti hanno fatto scattare parecchie sanzioni verso gerarchi e familiari. Bisogna aiutare il Venezuela capendo chi è nemico della civiltà. Sono persone che culturalmente sono fuori dalla cultura venezuelana, che ha gettato le basi nel passato per l’instaurazione di tutte le repubbliche del Sud America.
- Quali le relazioni con i paesi sudamericani?
- All’epoca di Chavez c’era una specie di grande alleanza con i paesi della regione, che si rifacevano a una organizzazione denominata “Foro Sao Paulo”, simpatizzante del regime chavista. Ora Brasile e Argentina sono distanti dal regime perché più liberisti e rispettosi dei diritti umani. La Bolivia rimane alleata di Maduro. Il Cile si mantiene neutrale, ideologicamente sarebbe affine ai socialisti, ma diplomaticamente, vista la pressione internazionale, rimane neutro. In Perù sono favorevoli alla causa libertaria venezuelana.
- Quel è oggi la situazione?
- Tragica. La gente muore letteralmente di fame, c’è un’inflazione dell’800%, non ci sono servizi ospedalieri, mancano le medicine, lo stipendio non basta che a soddisfare il fabbisogno di 3-4 giorni per l’alimentazione. Poiché i costi del greggio non sono previsti crescere, non ci sono speranze di miglioramento. Il Venezuela è sommerso dal debito pubblico generato da Ugo Chavez, con buoni del tesoro che stanno scadendo ora e l’ impossibilità di onorarli. Povertà elevatissima e corruzione imperante. Non ci sono speranze.
- I giovani venezuelani cosa fanno?
- I giovani venezuelani, altamente scolarizzati, stanno emigrando, molti negli Stati Uniti perché la maggior parte parla inglese, e molti in Spagna per l’affinità linguistica. Alcuni rimangono in Venezuela a tentare di ottenere un rovesciamento del regime e tra questi vorrei ricordare i ragazzi del Rumbo Libertad, un movimento politico nato nell’ottobre 2016 che vede la libertà come valore supremo da riportare al centro del vissuto venezuelano.
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