D’Annunzio, Flaiano e gli 80 anni del Pescara Calcio

 

di Domenico Forcella

 

Pescara che ama specchiarsi. Pescara accogliente. Pescara che ama la condivisione e l’ospitalità. Pescara alla continua ricerca del bello. Pescara e la sua “eterna corsa in avanti”. Pescara città meticcia con tante anime. Pescara che è una, anzi due, e sa mettere insieme tutte le sue anime quando il pallone prende traiettorie giuste in direzione serie A. Allora Pescara si riconosce e fa festa. “Un pallone per due. Storia sociale tra d’Annunzio e Flaiano per gli 80 anni della Pescara calcio” (Epigrafia edizioni), il libro di Luigi Mastrangelo,  e Paolo Martocchia, si avvale della presentazione di Gabriele Pomilio e la prefazione di Dante Marianacci (con le illustrazioni in prima e quarta di copertina di Barbara Mucciante), prova a decifrare le mille anime di una città che fin dall’epoca romana vive e prospera in riva all’Adriatico alla foce della Pescara, il fiume in origine denominato Aternum. Quanto la città ha “influenzato” la squadra e quanto la squadra ha “influenzato” la città? Un bel patchwork di difficile incastro. Intanto le squadre, di qua e di là della Pescara, quando a nord c’era Castellamare Adriatico (provincia di Teramo) che dette i natali a Mario Pizziolo, primo abruzzese campione del mondo nell’edizione del 1934, purtroppo dimenticato in ospedale (a causa di un contrasto con il mitico portiere spagnolo Zamora) al momento dei festeggiamenti dal regime fascista; dall’altra sponda, quella sud c’era Pescara (provincia di Chieti) che inneggiava ai propri beniamini al Rampigna. La squadra del cuore era l’Ursus che aveva sfidato quelli dell’altra sponda nell’area antistante l’hotel Esplanade. Grandi rivalità e grandi derby. Un confronto acceso che coinvolgeva anche i santi Andrea e Cetteo. La città maleodorante e poco accogliente – che fece dire da un pretino febbricitante per la malaria di fuggire lontano perché non c’era niente da vedere rivolto a un gruppo di intellettuali francesi in cerca di vestigia di Vittoria Colonna, marchesa di Pescara – nel 1927 riunì le sue due anime di qua e di là della Turchina, così d’Annunzio chiamava il suo fiume nelle “Novelle della Pescara”.

Il Pescara era stato un signorotto spagnolo padrone di mezzo Abruzzo; il Pescara era ora la squadra del cuore che si distinse subito per una combine con il Rosburgo (il vecchio nome di Roseto) e per lo sponsor sopra le maglie: Puritas. Si guardava avanti con lungimiranza.

Poi vennero i campionati GIL (Gioventù Littoria) che fece conoscere l’embrione della mitica Strapaesana, la squadra formata solo di elementi del luogo, che infiammò i cuori per tre stagioni e fece innamorare il presidente Dall’Ara, del Bologna (la fatale Bologna nel bene e nel male incrocia i destini dei biancazzurri). Dall’Ara, estasiato dal gioco dei ragazzini pescaresi – era una giovanile -, voleva comprare la squadra in blocco. Il bel gioco è stato sempre il pallino dei pescaresi e con Pizziolo in panchina conobbe la prima promozione in serie B. Ma non solo. Cominciava a sfornare storie straordinarie come quella di Lanciaprima, aletta velocissima, che grazie alla sua corsa sfuggì al plotone di esecuzione tedesco durante il secondo conflitto mondiale. Negli anni Cinquanta ci fu la lunga e sfortunata stagione del presidente Sabatino Di Properzio e il primo giocatore con i piedi buoni, Dario Cavallito, direttamente dalla Juventus, Si masticò amaro anche negli anni Sessanta, l’avvento di Tom Rosati che dalla serie D ci portò alla serie cadetta. La città intanto si trasforma in modo tumultuoso, cresce pur restando ingabbiata in un territorio comunale esiguo. Dal Rampigna si passa all’Adriatico che poi sarà intitolato a Giovanni Cornacchia, eroe dell’atletica. La febbre del pallone, che cresce a dismisura con Giancarlo Cadè, l’allenatore che aveva fatto piangere il grande Helenio Herrera incantato per il bel gioco del tecnico bergamasco. Pescara mette da parte la passione per i motori dopo una prova del mondiale nel 1957, resiste la popolarità delle due ruote, il Trofeo Matteotti è meta di grandi campioni, ha un palmares di oltre mezzo secolo costellato da grandi firme. “La città dall’eterna corsa in avanti” – a metà degli anni Settanta così la ribattezzò lo scrittore Mario Pomilio – non accenna a frenare, anzi dà prova di esodi biblici negli spareggi per la serie A, sempre nella fatal Bologna, prima con Cadè e poi con Antonio Valentin Angelillo.

Pescara si sente una città americana, lo testimoniano Guido Piovene e Gian Luigi Piccioli nel suo romanzo “La Pescarina”. La vocazione è balneare, parola di Pier Paolo Pasolini, comincia a innamorarsi al jazz, ma la passione primaria resterà il pallone: da Nobili e Zucchi, ma anche Orazi e Lopez passerà a mettersi nelle mani del profeta Galeone e dei suoi boy irriverenti e splendidi nelle giocate. Prima Rebonato, Bosco, Pagano e Camplone. Poi Sliskovic, Leo Junior e Ricky Massara. Tre volte in serie A fra giocate eccelse e tonfi sciagurati. Poi l’avventura con Zeman e nuovi paladini da omaggiare: Verratti, Insigne, Immobile e quindi il miracolo Massimo Oddo. Per una volta l’enfant du pays ha avuto ragione col bel gioco, i ruoli interscambiabili ma soprattutto la prospettiva che non sarà la solita serie A che è stata finora. Grandi imprese, di stampo dannunziano – per lo più fine a sé stesse ma di folgorante impatto – e lunghe annate anonime o illusorie, stemperate dall’ironia malinconica e dal sarcasmo affilato di un Ennio Flaiano.

Ricco di citazioni letterarie e non, “Il pallone e il Delfino” è il frutto di una lunga ricerca del docente universitario Luigi Mastrangelo, del giornalista e scrittore Paolo Smoglica e del giornalista e saggista Paolo Martocchia: quest’ultimo ha dedicato un’appendice ai tifosi biancazzurri, il vero motore della squadra, e una ricca ricerca iconografica. Una ricerca che prende le mosse dai primi calci a un pallone giunto da Birmingham a Francavilla, dono di Francesco Paolo Tosti a Gabriele d’Annunzio, fino al tiro a lunga gittata di Valerio Verre che ci ha permesso per la settima volta di giocare in serie A.