NEGLI STESSI FIUMI SCENDIAMO E NON SCENDIAMO…

Parole comprensibili, parole incomprensibili

di Raffaele Simoncini

 

Entriamo, a volte, in un ipermarket, realtà ormai invasiva del nostro quotidiano, e ci troviamo tra le mani, quasi distrattamente, uno  di quei volantini che contengono le occasioni imperdibili del giorno, della settimana, del periodo e così via. Mi stupisce, in quelle poche occasioni che mi vedono presente in centri commerciali di tal tipo, carpire brani di conversazione e sentir dire più volte, dai soggetti più disparati, che si rivolgono ai compagni di avventura del momento: “che vuol dire tasso zero?” oppure “allora possiamo prendere una tv per 40 euro! Possibile?! Andiamo a vedere?”. Frammenti di frasi in libertà, spesso privi di qualche senso, poiché pretendono di interpretare scritti seducenti, volutamente elaborati per attrarre più acquirenti possibili. In fondo, è quello che accade a ognuno di noi, quotidianamente, o per telefono, con le offerte eclatanti di prodotti commerciali d’ogni tipo, o di persona, attraverso le comunicazioni più impensate: ad esempio, passando dinanzi ad un bar che è nelle vicinanze di uno dei licei di città, mi è capitato di leggere: “Cornetto e cappuccino a soli tot euro, dalle ore otto alle ore otto e trenta ed esclusivamente per studenti”. Scritto di per sé abbastanza oscuro, veramente da interpretare, perché non contiene a priori, ad esempio, le modalità per individuare chi sia studente oppure no e quale sia il comportamento da tenere, da parte dei gestori del bar, se per caso un ipotetico studente vada a rifocillarsi alle sette e cinquanta o alle otto e trentadue minuti!!! Ho usato volutamente per due volte, nelle “scene di vita” descritte, il verbo interpretare. In fondo, è ciò che cerco di studiare e di approfondire sin da quando sedevo sui banchi di scuola (del liceo, chiaramente, altrimenti commetto lo stesso errore del barista…). Il linguaggio, di per sé, è un rebus continuo, è un tentativo, spesso mal riuscito, di far passare, transitare un nostro pensiero, una nostra idea, un nostro stato d’animo, una nostra emozione. Vorrei tentare di semplificare questo tema linguistico altamente problematico, anche attraverso un paio di riferimenti di gran rilievo culturale: l’uno collegato alle origini del pensiero filosofico occidentale, l’altro, unico nel suo genere, molto più vicino al nostro mondo e al nostro modo di sentire. Scrive, intorno al sesto-quinto secolo a. C., un filosofo presocratico, Eraclito, di cui ci sono rimasti solo pochi frammenti – all’incirca trecento – di una sua opera “Sulla natura” : “Negli stessi fiumi scendiamo e non scendiamo, siamo e non siamo”. Il senso di questo frammento appare – sottolineo appare – chiaro e facilmente comprensibile, tanto che i miei studenti, per anni e anni, hanno sempre interpretato il frammento come un semplice e ingenuo esempio del divenire di ogni cosa – e sottolineo ogni cosa –!! “Ma è facile! Se entriamo nel fiume due volte, l’acqua non è più la stessa, perché scorre e il fiume, perciò, non è più lo stesso di prima!”. Raramente mi è capitato di sentir dare una risposta logica di questo frammento, una risposta che vada oltre l’errore clamoroso della percezione comune: se tutto scorre – e nessun studente ha obiezioni riguardo a ciò!! –, è evidente che non è solo il fiume a scorrere e a non essere più, in ogni istante, la stessa cosa: sarebbe bastato leggere e capire la seconda parte del frammento, per non avere più dubbi. Infatti, se entrando nel fiume “siamo e non siamo”, banalmente significa che, in ogni istante, noi siamo e non siamo, cosa che non ci rende di certo diversi dal fiume: diveniamo anche noi, “scorriamo” anche noi. Il motivo di questo clamoroso e ripetuto errore di interpretazione? La nostra convinzione che le cose cambino realmente, mentre noi resteremmo sempre gli stessi!  Ecco: il linguaggio si presta sempre a questi fraintendimenti, ad abbagli logici. Il secondo esempio è ancor più persuasivo, sulle nostre difficoltà di saper interpretare quello che altri dicono. Trascrivo: “… Ma sedendo e mirando, interminati spazi di là da quella, e sovrumani silenzi, e profondissima quiete io nel pensier mi fingo…”; questi splendidi versi del sonetto L’infinito sono, al di là di ogni ragionevole dubbio, intraducibili in un linguaggio semplice, comprensibile, mi verrebbe da aggiungere “comune”. Mi sono sempre chiesto quali virtù particolari debba avere un docente di letteratura italiana, per interpretare parole come quelle scritte da Giacomo Leopardi. Il poeta, in una complessa opera che volle intitolare Zibaldone – una sorta di diario personale, ma con un apparato di pensieri, riflessioni, annotazioni –, parlando della poesia romantica, afferma, in una delle sue riflessioni, “se un’immagine poetica, un sogno, ci piace e ci diletta, quel piacere e quel diletto è sempre vago e indefinito”: che, a ben riflettere, dovrebbe significare che il poeta romantico esprimerebbe sempre qualcosa di inafferrabile, di non immediatamente comprensibile, per chi si trovi a leggere e a cercare di capire. Leopardi si riferiva alla poesia romantica, ma credo che le sue parole si possano estendere a ogni poesia di ogni epoca, così come a ogni testo in prosa scritto da uomini e letto da tantissimi altri uomini. Così, in una sorta di destino comune, le parole sono difficilissime da sentire, da capire e da interpretare correttamente: è ciò che comprende chi legge, in un ipermercato, un volantino pubblicitario e chi vuole dilettarsi, invece, con la prosa e la poesia di filosofi e poeti. Su Facebook, questo tentativo di comprendere un testo o una immagine si può sintetizzare in un semplicissimo e banalissimo “Mi piace”: ma, di certo, è una resa incondizionata, una semplificazione, una sconfitta irreversibile, al cospetto dell’attraente e seducente mistero della parola. Segno dei tempi….