L’angolo della poesia a cura di Gennaro Passerini

 Daniele Cavicchia è nato a Montesilvano, dove risiede. Scrittore da tempo, ha pubblicato raccolte di racconti e vari libri di poesie. Di prossima pubblicazione sono due romanzi inediti. Ha ricevuto ampi consensi e premi importanti per le sue opere, pubblicate con diverse case editrici nazionali. È un autore conosciuto e apprezzato in Italia e all’estero e, non a caso, sue raccolte poetiche sono state tradotte e pubblicate in varie lingue. La poesia che viene qui presentata fa parte della silloge La signora dell’acqua, pubblicata nel 2011, per i tipi della Casa Editrice Passigli, nella collana Poesia.

 

IN QUALE LUOGO    

 

In quale luogo adesso vivi

E con quale nome ti chiamerò?

Potrebbe essere che la sabbia

Ricordi di essere stata roccia

L’albero radice

Ma tu sei solo luce che acceca.

Dove dovremmo cercarti

Se nemmeno questo piccolo giardino

Che sembrava creato per noi

Ricorda di essere giardino?

 

La presenza di una assenza: tali sono le tracce mnestiche che caratterizzano i versi di questa intima, intensa, toccante poesia. Come è possibile, umanamente, porsi domande sull’opera indefessa della insensibile e indifferente Atropo? Come si rende praticabile la domanda esistenziale della vitale presenza-assenza, collocata nella dinamica prettamente umana della temporalità? Parafrasando Nietzsche, riemerge, in questi interrogativi senza esito, il dramma dell’umano, troppo umano. Il vuoto interiore inimmaginabile, che viene a scuotere prepotentemente la coscienza, per l’improvvisa assenza di una vita affettivamente ed emotivamente radicata nell’intimo, unica ed irripetibile, diviene drasticamente ineffabile. Non può dirsi, non può aprirsi ad altri lo sgomento di ciò che è stato ed è, hic et nunc, per chi può vederla, solo luce che acceca. La natura, nelle sue multiformi vesti, non si pone come interrogativo la soluzione di cercare, afferrare, collocare in quali luoghi di universi altri si possano rintracciare i segni di una trasformazione fisica. In fondo, si propone per assurdo, in questi versi, l’insostenibile ipotesi di una sabbia che ricordi di essere stata roccia. Nella psiche umana, nel ricordo di un prius e di un posterius incancellabili, si staglia, assurdo e inascoltato, il grido di inconsolabile dolore: dove dovremmo cercarti? L’impossibilità, kantianamente determinata, di uno spazio e di un tempo oggettivi, ha un exitus sine die: l’assenza di una presenza che – a consolare la domanda di senso umana troppo umana – si trasforma nella malinconica, struggente presenza di una assenza.

Raffaele Simoncini

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