di Gennaro Passarini

Oggi vi propongo la poesia vincitrice del primo premio al concorso nazionale “Il Grande Sorpasso” sancito nella premiazione del 22 Aprile 2023. Il poeta, Vittorio di Ruocco, propone testimonianze di crudeltà bestiali, di follie distruttrici. La sua poesia, dedicata ai martiri di Bucha, è un grido di dolore per la inconcepibile disumanità che ha superato ogni limite, per la perdita dei valori morali che separano “il male dal bene”, per la negazione di ogni etica pubblica. È così che il poeta rivolge un accorato appello al Signore del perdono perché ci sia una speranza per la fine di tanta crudeltà e sia perdonato chi ha perso ogni misericordia.

Il commento è affidato alla penna del compianto prof. Raffaele Simoncini.

Perdonaci Signore del perdono

Qui si sprofonda nella notte eterna

nell’antro dell’inferno e dell’oblio

nel maledetto ventre della morte.

Il sangue bagna ogni angolo di terra

di questa nostra patria seviziata

sbranata dalle belve della steppa

dai lupi mascherati da fratelli.

Il bosco arrampicato alla città

è diventato il covo dei predoni

l’immensa tana dei nostri assassini

pronti a strapparci l’anima dal petto

al primo lampo di ogni triste aurora.

Si scava nei cortili e per le strade

cercando vite spente dal terrore

spiantate come fiori dalla vita

dalle aquile dal cuore di metallo.

Meravigliosa e disperata stella

che hai illuminato il cielo del riscatto,

della salvezza che non ha confini,

del dio fatto di scandalo e bellezza

venuto ad incarnarsi dentro al mondo,

perché non vieni ancora ad annunciare

la fine del dolore inopinato

causato dagli apostoli del Male?

La disumanità che ci sovrasta

ha oltrepassato i ponti del peccato

che non consente alcuna redenzione.

Perdonaci Signore del perdono

se non ci sfiora la misericordia

ora che le ferite sono fosse

ricolme di cadaveri ammassati

di anime annegate all’improvviso

nel mare nero della crudeltà.

Un grido di dolore senza speranza, se una invocazione chiede perdono al Signore per quello che è accaduto e che sempre accadrà, quando gli uomini uccidono loro fratelli. Caino non è mai scomparso dalla coscienza dell’uomo. Il tragico eccidio di Bucha lo conferma drammaticamente. Il poeta propone al lettore una sequenza orribile, in cui la morte si coniuga con l’oblio e con l’inferno di un luogo, testimonianza di crudeltà bestiale. La descrizione fotografica dei luoghi rende il poeta narratore di una follia distruttiva: i nemici, gli assassini sembrano attendere nuovi nemici da massacrare, nella loro immensa tana, mentre le due volte vittime, i poveri uomini e le povere donne del luogo, scavano ovunque, nel cimitero a cielo aperto, recuperando i corpi dei morti, povere prede terrorizzate dal nemico – aquile dal cuore di metallo – che ha infierito senza alcuna pietà.

La disperazione è nel silenzio senza lacrime, ormai finite, di madri, padri, anziani e anziane, della popolazione tutta di questa piccola comunità che resterà nella storia di una guerra di aggressione e di morti senza colpa alcune.

E come il grido lacerante delle parole di Primo Levi, reduce dal campo di concentramento di Auschwitz-Birkenau, si rivolgevano verso un Dio assente, nello sterminio di milioni di persone, così l’invocazione del poeta è a un Dio che scenda a dare conforto e aiuto e ad annunciare “la fine del dolore inopinato causato dagli apostoli del Male”: Egli si è incarnato dentro al mondo e del mondo, di questo mondo, può, potrebbe dare un significato di fine senza altre vittime predestinate. La disumanità, la negazione dell’uomo privato dei codici essenziali della moralità personale e dell’etica pubblica, è andata oltre, ha superato ogni limite e dispera la fede che si rivolge ad una redenzione.

L’ultimo accorato appello del poeta è proprio al Signore del perdono: la scomparsa da ogni orizzonte di senso della misericordia, può, disperando, trovare nel Dio che atterra e suscita, affanna e consola, indicatoci dal Manzoni, una presenza che pianga sulle fosse ricolme di cadaveri ammassati, corpi e spiriti inghiottiti nell’oblio di una crudeltà senza fondo, un nero indistinto in cui scompare, calpestato e disperso, il senso ultimo del vivere tra uomini di buona volontà.

La poesia dovrebbe essere una meditazione dolorosissima sulla scissione/separazione tra Dio e le sue creature, tra il Bene e il Male, tra misericordia e crudeltà bestiale.

La poesia è una povera lacrima che cade, tra speranze senza speranza, in un universo di cicatrici senza guarigioni. Le coscienze, stordite e confuse, cercano una vita – quale? – per chiedere perdono.

Chi ascolterà questo grido, nel deserto di una umanità estranea a sé stessa?

Lascia un commento