Tino Di Sipio nel 1977 assessore comunale e padre del parco d’Avalos
Abbiamo ascoltato l’assessore Tino Di Sipio, uno degli amministratori che negli anni ‘70 contribuì alla realizzazione della Pineta D’Avalos per come la abbiamo conosciuta ai nostri giorni.
di Miriam Severini
D. Tino Di Sipio, come nasce il parco?
R. Il parco D’Avalos nasce inizialmente nel 1975 attraverso l’acquisizione dei terreni espropriati alla famiglia D’Avalos al costo, dissero all’epoca, di una Marlboro, cioè 10 lire, e con scarsi finanziamenti.
Con l’unanimità del Consiglio comunale decidemmo di costituire un comitato tecnico nazionale presieduto da Fulco Pratesi, composto da grandi nomi quali Franco Tassi, Tammaro, Pirone, il presidente nazionale della LIPU, il meglio in campo naturalistico che esisteva allora in Italia, in modo da stabilire i comparti.
Il disboscamento fu fatto a mano, e senza l’intervento di mezzi meccanici, da forestale, boyscout volontari, bidelli sollevati dalle loro mansioni per ragioni di salute.
Insieme a me il principale fautore dell’intervento fu Giuseppe Di Croce, allora direttore del compartimento forestale regionale. Di Croce vietò l’asportazione dei rovi con mezzi meccanici e limitò al massimo l’abbattimento degli alberi ritenuti malati. Nominammo contemporaneamente un gruppo di custodi che a turno vigilavano il parco dall’alba al tramonto. Fu proibito l’ingresso del pubblico per non danneggiarlo, prendemmo a modello dalla foresta umbra i punti di appoggio e usammo tutte le possibili cautele, escludendo l’utilizzo della plastica per i giochi e per gli attrezzi, utilizzando esclusivamente il legno dei pini abbattuti.
Poi arrivò agli inizi del 2000 Gianni Melilla. Che attraverso una legge regionale trasformò il parco da parco D’Avalos in riserva regionale dannunziana. L’utilizzo dello stesso avrebbe dovuto essere stabilito da un comitato di gestione e dalla nomina di un direttore.
Nessuna Amministrazione comunale da allora fino a oggi ha adempiuto a questo obbligo, tutti hanno deciso di utilizzare l’ufficio giardini del Comune, e questo ne ha diminuito il valore, soprattutto per il comparto 5.
D. Cosa pensa del Parco adesso dopo l’incendio?
R. Dovrebbe ancora essere costituito il comitato per gestire questo polmone verde, specie per quanto attiene al comparto 5, comitato che dovrebbe essere costituito da naturalisti e da botanici, da biologi e forestali.
Dopo l’incendio catastrofico, soprattutto nel comparto 5, è stato commesso l’errore di abbattere alcuni alberi. Non bisogna assolutamente farlo, bensì aspettare che il terreno si raffreddi e aspettare le piogge. È pericoloso agire casualmente in queste situazioni perché i danni potrebbero essere ancora più gravi.
Questa pineta è preziosa perché ha radici antichissime, risale addirittura ai tempi di Ostia Aterrni; prima di intervenire bisogna vedere se gli apparati radicali possono rinascere o se vanno sostituiti. Stiamo parlando di una pineta che è sempre esistita.
Chi dice che quella è una pineta artificiale dice sciocchezze. Condivido il pensiero di Giulio De Collibus, Presidente Nazionale onorario dell’Archeoclub d’Italia, nonché di Massimo Palladini, Presidente sezione di Pescara di Italia Nostra, che quel comparto (il 5) sia trasformato in giardino che con la riserva non ha nulla a che fare e che non bisogna confondere una riserva con gli arredi urbani.
La manutenzione del parco è assolutamente discutibile, necessita di metodo e costanza e in particolare di una accurata guardiania.
D. In una società che installa telecamere ovunque come è possibile non installarle in un luogo come il parco D’Avalos?’
Guardare quella macchia che era verde e adesso è nera mi crea un grande dolore. La pineta è una città nella città, bisogna pensare alla rinascita di questo pezzo della nostra città. I “pinetini”, come vengono chiamati gli abitanti di quel quartiere, hanno un affetto e una cura del quartiere che nessun altro quartiere ha. Bisogna ricordare ancora che la pineta non è un parco urbano ma una riserva naturale regionale ancora ignorata dall’Amministrazione Comunale che, come le altre, non ha mai nominato né un comitato scientifico né un direttore.
La riserva beneficia tra l’altro di fondi, non cospicui, ma utili per la gestione. I piani quinquennali previsti e anch’essi disattesi, approvati una unica volta nel 2018, continuano a non trovare applicazione.
Adesso bisogna pensare alla rinascita; al momento non bisogna fare nulla, come ho già detto, aspettiamo l’autunno e intanto facciamo pulizia, subito dopo tecnici e botanici riuniti in un comitato fisso potranno decidere il da farsi.