Le tipologie di referendum previste dalla Costituzione

Le tipologie di referendum previste dalla Costituzione

del Dott. Dario Antonacci (Giurista e Cultore della Materia in Diritto Notarile nell’Università degli Studi di Bologna)

Lo strumento di democrazia diretta per definizione è il referendum tramite il quale viene riconosciuta la possibilità ai consociati di potersi esprimere circa un determinato tema.

Infatti, il referendum, consistendo in una consultazione popolare durante la quale il corpo elettorale è chiamato ad esprimere il proprio parere, si pone come esplicito obiettivo quello di dar voce e, dunque, rilevanza al parere, in modo diretto, dei soggetti aventi diritto al voto su determinate tematiche, riconoscendo la facoltà di poter scegliere tra due o più opzioni.

La Costituzione della Repubblica italiana disciplina diverse fattispecie di referendum. In particolare, sono espressamente contemplati dalla carta costituzionale quattro differenti tipi di referendum, vale a dire il referendum abrogativo avente carattere nazionale, ex art. 75 Cost., il referendum regionale statutario, ex art. 123, comma 3, il referendum relativo a modificazioni territoriali, ex art. 132 Cost. e il referendum costituzionale, ex art. 138 Cost.

A queste tipologie di referendum espressamente disciplinate dalla Costituzione si devono aggiungere il referendum istituzionale e il referendum cosiddetto consultivo o di indirizzo, i quali, seppur non espressamente previsti, sono da ritenersi ammissibili.

Orbene, prima di procedere con la descrizione analitica delle summenzionate tipologie di votazioni referendarie, occorre precisare come la principale differenza tra i referendum abrogativi e quelli non abrogativi consiste nel raggiungimento del quorum.

La prima tipologia di referendum che si incontra nella lettura della carta costituzionale è quello disciplinato ai sensi dell’art. 75, ossia il referendum abrogativo. Questo si connota per via della proposizione al corpo elettorale di un determinato quesito in ordine all’abrogazione, totale o parziale, di una legge o di un atto avente forza di legge. L’indizione del referendum in parola è possibile allorquando ne venga fatta richiesta da cinquecentomila elettori o, in alternativa, da cinque Consigli regionali. L’assemblea costituente, nel disciplinare il referendum in analisi, ha posto alcuni limiti.

Difatti, non è ammesso il referendum abrogativo per leggi tributarie e di bilancio, di amnistia e di indulto nonché per le leggi di autorizzazione a ratificare trattati internazionali.

La Costituzione, le leggi di revisione costituzionale e le altre leggi costituzionali, gli atti legislativi dotati di forza passiva rinforzata, le leggi strettamente connesse a quelle espressamente indicate dall’art. 75 Cost. (testé menzionate), le leggi a contenuto costituzionalmente vincolato e le leggi costituzionalmente obbligatorie o necessarie rappresentano ulteriori limiti, in quanto, i provvedimenti in parola, non possono formare oggetto di referendum abrogativo ai sensi della norma de qua.

A ciò si aggiunga che, la Corte costituzionale, ha statuito che la mancanza di una domanda chiara, con il conseguente divieto di proporre quesiti eterogenei, teologicamente non chiari, non univoci e non dotati di una matrice razionalmente unitaria, deve essere inquadrata come ulteriore limite per il referendum abrogativo. Altro limite viene posto in merito alla normativa di risulta, vale a dire in vigore a seguito dell’abrogazione referendaria, allorquando questa renda inapplicabili leggi o norme aventi carattere fondamentale per l’ordinamento. In ogni caso, relativamente al sindacato di legittimità è tenuta ad esprimersi la Corte costituzionale.

Per contro, il diritto di partecipare mediante il proprio voto a tale tipologia di referendum è riconosciuto a tutti i cittadini chiamati ad eleggere la Camera dei deputati, ossia a tutti i cittadini che hanno conseguito la maggiore età.

Come anticipato, il quesito referendario, prima di essere sottoposto al vaglio degli elettori deve essere approvato dalla Corte costituzionale, la quale controlla, in primo luogo, che il referendum abrogativo non riguardi una delle materie espressamente vietate di cui sopra, in secondo luogo vengono controllate le caratteristiche formali e sostanziali della legge oggetto del quesito.

La domanda, inoltre, deve essere posta in maniera chiara e coerente, tale da non confondere gli elettori.

L’esito del referendum e, quindi, la proposta soggetta a referendum è approvata se, nel rispetto del quorum previsto, ha partecipato alla votazione la maggioranza degli aventi diritto al voto, vale a dire il 50 % più uno e se è raggiunta la maggioranza dei voti validamente espressi, altrimenti il provvedimento normativo oggetto di referendum non viene abrogato e, conseguentemente, resta vigente.

L’ultimo comma dell’art. 75, infine, dispone che la legge determina le modalità di attuazione del referendum.

Ad oggi, i referendum abrogativi che si sono svolti, dal 1946, nel nostro paese, sono sessantasette.

Ciò detto in merito al referendum abrogativo e proseguendo con la rassegna delle tipologie di referendum disciplinate dalla carta costituzionale, occorre porre l’attenzione sul referendum regionale.

Tale tipologia di referendum, disciplinato ai sensi dell’art. 123, comma 3, Cost. afferisce al referendum statutario, da considerarsi sempre eventuale che interviene nel processo di formazione degli statuti regionali stessi.

Preliminarmente, giova precisare come lo statuto della Regione è la fonte normativa principale dell’ordinamento regionale e, tramite esso, l’ente esercita i propri poteri, le proprie funzioni e disciplina la propria organizzazione per tutto quanto non direttamente regolato dalla Costituzione, nei limiti posti da quest’ultima e, dunque, in armonia, con quanto previsto dalla Costituzione medesima.

In buona sostanza, la Costituzione dispone che lo statuto di ciascuna Regione della Repubblica, è sottoposto a referendum popolare allorquando entro tre mesi dalla sua pubblicazione venga presentata richiesta alternativamente da un cinquantesimo degli elettori della Regione o da un quinto dei componenti il Consiglio regionale. Di conseguenza, lo statuto non viene promulgato se non risulta essere approvato dalla maggioranza dei voti validi da esprimersi durante l’eventuale referendum.

Dal punto di vista regionale, si rende opportuno, porre in evidenza, oltre al referendum statutario, anche il referendum che riguarda i provvedimenti della regione. A tal proposito, ai sensi dell’art. 123, comma 1, Cost. viene sancito che anche le leggi ed i provvedimenti amministrativi della Regione possono essere sottoposti a referendum avente natura regionale e, in tal senso, il compito di disciplinare tali ultime tipologie di votazioni referendarie è demandato agli statuti delle singole regioni, i quali, in alcuni casi, oltre a prevedere l’introduzione e la disciplina dei referendum regionali abrogativi, hanno introdotto anche quelli regionali aventi carattere consultivo.

L’art. 132 Cost., per contro, regola i referendum relativi a modificazioni territoriali. Difatti, il comma 1, della norma da ultima menzionata, riconosce la possibilità di fusione tra Regioni esistenti e la creazione di nuove Regioni. In detti casi, per l’appunto, è possibile con legge costituzionale, sentiti i Consigli regionali, disporre la fusione di Regioni esistenti o la creazione di nuove Regioni con un minimo di un milione di abitanti, quando ne sia stata fatta richiesta da tanti Consigli comunali che rappresentino almeno un terzo delle popolazioni interessate e la proposta sia approvata con referendum dalla maggioranza delle popolazioni interessate dalla modifica in parola.

Il comma 2, dell’art. 132 Cost. diversamente, stabilisce che, si può, con l’approvazione della maggioranza delle popolazioni della Provincia o delle Province interessate e del Comune o dei Comuni interessati espressa mediante referendum e con la legge della Repubblica, sentiti i Consigli regionali, consentire che Province e Comuni, che ne facciano richiesta, siano staccati da una Regione ed aggregati ad un’altra.

All’elenco dei referendum sopra descritti, vi è da aggiungere anche il referendum costituzionale che, nel gergo comune, è anche detto confermativo o sospensivo. Il referendum in oggetto è previsto dall’art. 138 Cost.

Come emerge dal nomen iuris della Sezione della Costituzione all’interno della quale è contenuta la norma da ultima menzionata, ossia la “Revisione della Costituzione – Leggi Costituzionali”, che a sua volta è contenuta all’interno del Titolo VI che dispone in merito alle “Garanzie costituzionali”, si delinea la funzione del referendum in parola. Di tal guisa, il detto referendum riguarda le leggi di revisione della Costituzione e le altre leggi costituzionali.

Il referendum de quo, anche conosciuto come referendum costituzionale non è sempre necessario, atteso che lo stesso può aver luogo solo qualora il provvedimento normativo volto a modificare la Costituzione o altre leggi di rango costituzionale venga approvato da ciascuna Camera del parlamento -Camera dei Deputati e Senato della Repubblica-, in seconda deliberazione, a maggioranza non qualificata o assoluta, vale a dire, dunque, se approvato con una maggioranza inferiore ai due terzi dei componenti di ciascuna Camera.

A riprova, non si fa luogo a referendum se la legge volta a modificare norme costituzionali è stata approvata in seconda votazione da ciascuna delle Camere a maggioranza dei due terzi.

In detto caso, difatti, può essere richiesto il referendum costituzionale da un quinto dei membri di una Camera, da cinquecentomila elettori o da cinque Consigli regionali, entro tre mesi dalla pubblicazione del provvedimento normativo avente carattere costituzionale in Gazzetta Ufficiale.

Per la tipologia di referendum in rassegna, contrariamente a quanto si verifica per il modello abrogativo, non viene previsto alcun quorum, cosicché risulta vincente l’opzione che all’esito delle votazioni referendarie ha ricevuto la maggior parte dei voti. Ne consegue che, la legge sottoposta a referendum, non è promulgata se non è approvata dalla maggioranza di voti validamente espressi nel corso del referendum.

Un limite, in merito all’oggetto del referendum costituzionale, è previsto espressamente dall’art. 139 Cost. Orbene, la norma in parola dispone che la forma repubblicana, da intendersi quale principio supremo anche in forza dell’art. 1 Cost., non può essere oggetto di revisione costituzionale. La forma repubblicana, difatti, è sottratta non solo all’abolizione, bensì anche alla revisione.

Oltre all’esplicito limite di cui all’art. 139 Cost., vi sono ulteriori limiti, alcuni dei quali espressi e altri impliciti.

I limiti espressi sono rappresentati, innanzitutto, dall’art. 2 Cost. tramite il quale vengono disciplinati i diritti inviolabili dell’uomo e, quindi, di riflesso anche le libertà previste dagli articoli 13, 16 e 27 Cost. nonché al principio di unità ed indivisibilità della Repubblica così come disposto ai sensi dell’art. 5 Cost., previsto in modo da escludere eventuali ipotesi secessionistiche.

Per contro, per ciò che concerne i limiti così detti impliciti, in genere si fanno rientrare nel novero di tale categoria i principi supremi dell’ordinamento costituzionale, i quali coincidono parzialmente con i valori consacrati nei primi 12 articoli della Costituzione e, dunque, rientranti nella rubrica “Principi fondamentali“. A riprova, il limite dei “principi supremi” è stato ripetutamente richiamato dalla Corte Costituzionale con diverse statuizioni che si sono succedute nel tempo.

Segnatamente, finora si sono svolti tre referendum costituzionali.

Il primo, tenutosi in data 7 ottobre 2001, relativo alle modifiche al Titolo V della Parte II della Costituzione, che disciplina “Le Regioni, le Province e i Comuni”, dove il quesito era “Approvate il testo della legge costituzionale concernente “Modifiche al titolo V della parte seconda della Costituzione” approvato dal Parlamento e pubblicato in Gazzetta Ufficiale n. 59 del 12 marzo 2001?” venne approvato, cosicché la riforma costituzionale divenne vigente, con il 64,2 % di voti favorevoli e con un’affluenza alle urne che si attestava al 34,1 %.

Il secondo, svoltosi il 25 e il 26 giugno 2006, riguardante le modifiche alla Parte II della Costituzione, “Ordinamento della Repubblica”, dove il quesito era “Approvate il testo della Legge Costituzionale concernente “Modifiche alla parte II della Costituzione” approvato dal Parlamento e pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale n. 269 del 18 novembre 2005?”, all’esito del quale i voti contrari furono pari al 61,29 % e, quindi, la legge di modifica costituzionale non venne approvata, con un’affluenza alle urne pari al 52,46 % degli aventi diritto al voto.

Mentre il terzo si svolse in data 4 dicembre 2016, che toccava diverse tematiche disciplinate dalla Carta costituzionale, dove il quesito era “Approvate il testo della legge costituzionale “Disposizioni per il superamento del bicameralismo paritario, la riduzione del numero dei parlamentari, il contenimento dei costi di funzionamento delle istituzioni, la soppressione del CNEL e la revisione del Titolo V della Parte II della Costituzione”, approvato dal Parlamento e pubblicato nella Gazzetta Ufficiale n. 88 del 15 aprile 2016?”, con un’affluenza record, trattandosi di referendum, pari al 65,47 % degli aventi diritto al voto, dove gli elettori che si espressero in favore del no furono pari al 59,12 %.

Il referendum sulla riduzione del numero dei parlamentari, il quarto dalla nascita della Repubblica, la cui data di svolgimento era stata fissata inizialmente per il 29 marzo 2020 poi rinviata per motivi di emergenza sanitaria e al momento ancora da svolgersi, sottopone agli aventi diritto al voto il seguente quesito: “Approvate il testo della legge costituzionale concernente “Modifiche agli articoli 56, 57 e 59 della Costituzione in materia di riduzione del numero dei parlamentari”, approvato dal Parlamento e pubblicato nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica Italiana – Serie generale – n. 240 del 12 ottobre 2019?”.

Oltre alle summenzionate tornate elettorali referendarie testé poste in evidenza, nella storia della Repubblica si sono svolti due ulteriori referendum non abrogativi.

Il primo, di natura istituzionale, unico nel suo genere svoltosi in Italia, tenutosi il 2 e il 3 giugno 1946 e indetto in virtù di decreto luogotenenziale n. 98 del 1946, sottoponeva alla volontà degli aventi diritto la scelta per determinare la forma di stato da dare all’Italia a seguito della Seconda guerra mondiale. Il quesito che veniva sottoposto agli elettori, come noto, consisteva nella scelta tra la forma repubblicana e quella monarchica.

Alle votazioni referendarie del 1946, parteciparono l’89,08 % degli aventi diritto al voto all’esito delle quali l’Italia assunse la forma di Repubblica, atteso che, di questi, il 54,27 % si espresse in favore della Repubblica e il 45,73 % in favore della Monarchia.

Il secondo invece, appartenente alla categoria dei referendum di indirizzo, unico a carattere nazionale nella sua specie, si svolse in data 18 giugno 1989, al quale parteciparono l’80,86 % degli aventi diritto, dei quali espressero parere favorevole ben l’88,03 % in ordine al quesito che recitava “Ritenete voi che si debba procedere alla trasformazione delle Comunità europee in una effettiva Unione, dotata di un Governo responsabile di fronte al Parlamento, affidando allo stesso Parlamento europeo il mandato di redigere un progetto di Costituzione europea da sottoporre direttamente alla ratifica degli organi competenti degli Stati membri delle Comunità?

Tuttavia, pare opportuno sottolineare come il referendum in parola, privo di efficacia giuridica e ad oggetto impossibile, venne indetto al fine di sondare la volontà del popolo circa il conferimento di un ipotetico mandato costituente al Parlamento europeo i cui rappresentanti furono eletti contestualmente.

Si rende parimenti doveroso evidenziare come, atteso che la Costituzione prevede testualmente solo ed esclusivamente i referendum disciplinati dagli articoli 75, 123, 132 e 138, l’indizione del referendum di indirizzo svoltosi nel 1989 si è resa possibile grazie alla preventiva approvazione della legge costituzionale 3 aprile 1989 n. 2 pubblicata nella Gazzetta Ufficiale n. 80 del 6 aprile 1989 recante “Indizione di un referendum di indirizzo sul conferimento di un mandato costituente al Parlamento europeo che sarà eletto nel 1989”, che risultò votata all’unanimità da entrambe le Camere del Parlamento.

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