Grotta scura nella valle dell’Orta – Appunti di viaggio
Grotta scura nella valle dell’Orta
di Antonio Lafera
Oggi dalla costa ci dirigiamo verso Piano d’Orta, piccolo paese sulla Tiburtina Valeria, strada statale che attraversa poi, a Popoli, la frattura pleistocenica della catena degli Appennini dirigendosi verso Sulmona, frattura che separa il Morrone dai monti che salgono verso il Gran Sasso. Da Piano d’Orta, dopo un paio di chilometri, incontriamo un bivio sulla sinistra che conserva un fabbricato delle vecchie fermate di “posta”, oggi trasformato in ristorante; stiamo salendo verso Bolognano. Dalla strada, da ambedue i lati, si diramano innumerevoli filari di vite che si perdono all’orizzonte. Tutto è geometrico e curato: ci troviamo nelle tenute del vignaiolo Zaccagnini i cui vini sono conosciuti, esportati e apprezzati in tutti i continenti.
Osserviamo interessati che all’inizio di ogni filare di vite c’è una pianta di rosa e se uno lo percorresse, alla fine ne troverebbe un’altra. Soddisfiamo la curiosità: la rosa è un indicatore biologico dell’attacco della Peronospera, vero e proprio flagello della vite. La malattia predilige prima la rosa e dopo circa una settimana attacca la vigna così che gli interventi possono essere mirati e solo se necessari. È consigliabile visitare il complesso della cantina che si arrampica, in balze successive, su una collina difronte al Morrone. Entrati, ci fermiamo in un ampio spiazzo ove una terrazza panoramica si slancia quasi aerea verso i monti, tutto è verde e ben curato.
Osserviamo con interesse una serie di sculture che impreziosiscono il viale di accesso poi, meravigliati, scopriamo che la gigantesca cantina, disposta in viali sotterranei, accanto a botti di legno di inusitata grandezza ospita opere d’arte moderna: un vero e proprio museo del gusto e della cultura. Soddisfiamo la curiosità: Il vignaiolo, fondatore dell’azienda, era amico di Joseph Beuys, artista e critico d’arte tedesco innamorato dell’Abruzzo, che lo aiutò a creare questa meraviglia del gusto e della cultura. Il cancello raffigura l’immagine dell’etichetta commerciale ed è stato realizzato da Pietro Cascella; sono presenti opere di Dino Colalongo, Franco Summa, Bizhan Assiri, David Bade, Mimmo Paladino, Gino Sabatini Odoardi, Pietro Cascella. Nei giorni da lunedì a venerdì, su prenotazione, è visitabile gratuitamente (tel. 0858880195) e si possono percorrere questi viali sotterranei dove Bacco danza con le Muse. Dopo la sosta, dove magari abbiamo anche sorseggiato qualche delizia del palato, continuiamo per circa un chilometro quindi giriamo sulla sinistra verso il piccolo campo sportivo. Dopo altri cinquecento metri vediamo sulla destra una tabella in legno: “Grotta scura”. Fermiamo le macchine e, guardando i boschi di querce e pini, ci incamminiamo su un agevole sentiero che scende verso un canyon solcato dal fiume Orta.
Da 1300 metri di altitudine, dalle balze della Maiella, questo corso d’acqua dal colore verde cristallino, dopo 25 km di percorso tortuoso e a volte vorticoso, si butta nel Pescara disegnando lo splendido “canyon della valle dell’Orta”. La valle è una riserva naturale regionale che si estende fra Maiella e Morrone per 378 ettari tra i comuni di Bolognano e di San Valentino.
Nella valle, fra le varie grotte, notevole è la Grotta scura che si estende per circa 370 metri. Essa era originariamente il percorso carsico del fiume che scavando la valle, in circa un milione di anni, ora si trova 80 metri più giù. Dopo pochi minuti di agevole discesa ci troviamo di fronte a una amplissima apertura, per la sua forma quasi da cattedrale gotica.
La grotta è stata abitata fin dai tempi preistorici e i resti, datati con il radiocarbonio, fanno risalire gli insediamenti umani a circa settemila anni prima di Cristo. Parliamo quindi di età neolitica e per altri ritrovamenti anche successivamente di età del bronzo e del ferro. Fu scoperta ufficialmente dall’Archeoclub di Pescara nel 1971. Nella riserva sono presenti tre ecosistemi diversi ma contigui: il fiume, il bosco, la rupe che accolgono un ricco mosaico di specie animali e vegetali.
Il fiume presenta piante come salice, frassino, farnia e tifa minore; lungo le sponde nidificano piccoli uccelli del tipo sylvia, ballerina gialla e merlo acquaiolo.
Il bosco è formato da macchie di pino d’Aleppo e di altri tipi di alberi e arbusti: pino nero, cipresso, roverella (tipo di quercia con leggera peluria sulle foglie), fillirea, leccio (tipo di quercia con chioma folta e tondeggiante dal tronco non molto alto) e l’alaterno. Nel sottobosco crescono numerosissimi gli asparagi, in aprile gioia di chi ama cibarsene dopo averli raccolti in lunghe passeggiate ombrose. Chi potrebbe sospettare che in questo ambiente si rinvengono circa 70 specie di orchidee? Numerosi gli scoiattoli corrono fra i rami. Tra fiume e bosco sono presenti anche predatori come il tasso, la faina e forse la lontra di cui ogni tanto si rinvengono le impronte.
Sulla rupe troviamo muschi, licheni, capelvenere, lingua cervina e asplenio. Osservando con attenzione possiamo scorgere i nidi del rondone maggiore, del falco, del piccione selvatico, della poiana, i loro richiami ci accompagnano nella discesa, in verità breve e agevole.
Nella Grotta scura, come si è detto, alcune tracce fanno risalire la presenza dell’uomo circa al VII millennio a.C.. Quelle più abbondanti risalgono al IV millennio con il ritrovamento di frammenti di ceramica della cultura di Catignano. Il nome deriva dal paese ove numerosissimi sono stati i rinvenimenti. Torniamo un po’ indietro nel tempo: attorno al V millennio sul versante adriatico si era diffusa la ceramica impressa, con punzoni o impressioni digitali o incisioni, dalla Romagna al Molise e verso l’interno fino al Lazio. Diamo alcuni ragguagli. La cultura di Catignano (4200-3700 a.C. valle del Tronto, Pescara, Fucino) mostra ceramica di ottima fattura la cui colorazione, bicroma o tricroma, ha motivi elaborati: festoni, reticoli, triangoli. Gli insediamenti sono in grotta o in capanne su palafitta a pianta rettangolare. L’industria litica presenta falcetti, bulini, in selce; rara è l’ossidiana che sappiamo originaria dell’isola di Ponza o della Grecia, ma non assente: quindi i nostri uomini primitivi erano grandi viaggiatori (testimonianza di commerci). Si rinvengono anche ami in osso e arpioni; inoltre cominciano ad apparire oggetti ornamentali: conchiglie forate, lamine in osso forate, denti di cinghiale levigati, piccoli cilindretti di terracotta. É presente il culto dei morti con cremazione in grotta.
La presenza di falcetti, di residui di grano, orzo e avena testimoniano un’agricoltura in fase iniziale. Residui di bovini e ovini testimoniano l’allevamento mentre residui di cervo, cinghiale, capriolo, orso ci raccontano che la caccia era ancora una fonte essenziale di vita. Chiaramente la diversificazione dei mezzi di sopravvivenza ha dato impulso alla diversificazione dei lavori, alla specializzazione e in ultima analisi a una eccezionale accelerazione della civiltà.
Torniamo alla Grotta. Prima di entrare, sulla destra, c’è una cencia rocciosa su cui è bello sedersi a riposare un po’, cullati dallo stormire delle foglie e dal rotolare del fiume in sottofondo. Ci fermiamo assorti per qualche minuto, guardandoci e condividendo l’emozione. Entriamo e la vediamo lunga e immensa di roccia bianca alta e frastagliata. Ecco, sulla destra si vede una grande apertura: possiamo uscire su una balaustra di roccia, prestando attenzione a non cadere giù. Io chiamo questa apertura il “palco reale”, perché mi ricorda il punto d’osservazione più bello in un teatro lirico. Ora i nostri occhi si sgranano per la meraviglia. La Maiella, il Morrone, il fiume, i boschi, il cielo, il verde imperante nutrono, attraverso la vista, il nostro spirito: ci sentiamo privilegiati. Con difficoltà rientriamo, vorremmo restarci per ore! Guardando verso il fondo avvertiamo un chiarore e incuriositi ci incamminiamo raggiungendo un altro “palco reale”: di nuovo la vista si dilata, sembra di avere l’universo davanti! Qui ci si ferma, non possiamo proseguire oltre, il Comune di San Valentino ha sbarrato il prosieguo per difendere l’habitat di un rarissimo pipistrello bianco. Pian piano torniamo indietro, risaliamo il sentiero, voltandoci di tanto in tanto quasi a non volerci staccare da quella meraviglia. Ci sembra quasi di avvertire il sussurrio delle voci di quelli che, in innumerevoli ere, sono vissuti su questo palcoscenico lasciando le loro esili tracce.
Torniamo alle macchine accaldati ma soddisfatti.