ALBINO MORO suoni di luoghi lontani
di Tonino Bosica
Parlarvi di Albino Moro dovrebbe risultarmi facile. E’ un amico di vecchia data, condividiamo la passione per l’arte e non solo. Per questo motivo quando possiamo, ci incontriamo per il piacere di un caffè e di un pasticcino. Pittore, esploratore, designer, inventore. Da sempre un battitore libero, libero da condizionamenti mercantili, libero nell’espressione, non etichettabile dentro nessuna corrente. Pittore non descrittivo, non figurativo realista, non astratto, non informale. Capace però -e questa la sua peculiarità- di ricostruire un mondo magico attraverso la forza delle emozioni. Nasce a Collelongo nel 1941. Nel 1950 lo troviamo già ad Avezzano per la scuola primaria e successivamente per frequentare l’Istituto Tecnico per Geometri. Si diploma nel ’61 e vincitore di una borsa di studio della Cassa per il Mezzogiorno, lo porta a specializzarsi in idraulica alla Facoltà di Ingegneria dell’Università di Bari. Nel 1963 si traferisce a Pescara, assunto per la specializzazione avuta, proprio dalla Cassa per il Mezzogiorno. Partecipa così alle costruzioni di acquedotti e canali di bonifica su tutto il territorio abruzzese. Il desiderio della pittura costudito fin da bambino, quando con i gessetti disegnava i marciapiedi davanti casa, si ripresenta prepotentemente. A Pescara, con la presenza del Liceo Artistico, non gli è difficile avvicinare, farsi conoscere e apprezzare da personalità come Franco Summa, Elio di Blasio, Ettore Spalletti ecc. Dal ’69 inizia ad esporre in collettiva e in mostre personali. In provincia e fuori provincia. Nel ’81 inizia ad interessarsi all’energia solare, ne consegue alcuni brevetti presso la Camera di Commercio di Pescara, per edilizia a basso consumo. Negli anni ’90 costruisce a Collelongo la sua casa solare, diventata in seguito casa studio e di ricerca sull’energia. Ricerca che prosegue tutt’ora. Sempre nell’81, avuto tra le mani un libro sull’Africa da amici che già si dedicavano a lunghi viaggi, incuriosito, desidera partire anche lui. E insieme al giornalista scrittore Claudio Perolino, attraversa la Tunisia, la Libia, l’Algeria, terra d’Africa, deserto del Sahara! Vi torna puntualmente ogni due anni ma da subito la sua ricerca pittorica subisce un cambiamento radicale. La cromia si fa densa, pastosa, è il risultato di un impasto di colla, sabbia e terre naturali. Da uomo sensibile dal deserto e i suoi segreti, non ne esce immune. Tanto il fascino, tanta la bellezza, tanto il silenzio. Ha tutto il tempo per prendere appunti, per ritrovarsi e riflettere sulle cose della vita.
L’ultimo suo viaggio, sempre con l’amico Claudio Perolino risale al 2016. Ha attraversato la Francia, la Spagna per raggiungere il Marocco e proseguire per i deserti della Mauritania. Nel 2007 per fare un regalo particolare alla sua signora, progetta e realizza il suo primo gioiello con la complicità degli orafi Verna. Il gioiello ovviamente doveva essere rivelatore della sua attuale ricerca, doveva portare dentro il deserto e i suoi colori, per questo l’intervento a smalti fu determinante. Soddisfatto del risultato, sempre ispirati dal deserto ne sono nati altri. Oggi possiamo ammirare bracciali, anelli, spille, collane e orecchini, tutto in oro e argento lavorato. Gioielli originali, molto fini e luminosi.
Ha tenuto mostre personali e collettive in spazi pubblici e privati, sia in Italia che all’estero. Ricordiamo le ultime, quella di Torino, Montecarlo, Innsbruck. La mostra come omaggio alla città di Pescara si è tenuta a dicembre 2018 – gennaio 2019, presso il Museo Casa Natale di Gabriele D’Annunzio, con la pubblicazione di un bellissimo volume monografico, a cura di Marina Giordani. Come sunto del lavoro svolto dall’artista, documentando attraverso le immagini i vari periodi. Volume pieno di riflessioni dello stesso artista e toccanti poesie di Anna Maria Farabbi. Le opere più recenti, segnano una forte maturità, ogni mossa espressiva non è casuale ma sorretta da un progetto operativo. Interessato ad indagare territori profondi e misteriosi del primitivo, la pittura si configura come punto inarrivabile di una realtà che non si vede ma si sente.
Nell’opera riprodotta, dal titolo: “Canto notturno”, la poesia vince su tutto, la visione è il sogno. Luoghi lontani sospesi nella quiete della notte, luoghi dove nasce il silenzio, dove dilagano profumi. Il giallo caldo della spessa materia sabbiosa rappresenta il deserto sconfinato. I rossi e i bruni non sono altro che bagliori di esotici tramonti. Il blu, l’ariosa solarità e le notti magiche di tutto il mediterraneo. Segni, materia, colore, attraverso le quali l’artista riesce a rievocare antiche città scomparse, oasi, miraggi, fiere, lente carovane, suoni di luoghi lontani.