I diritti dei lavoratori disabili (prima parte)
Presentiamo a partire da questo numero (Marzo 2019) la prima di tre parti di un articolo che descrive gli strumenti a disposizione dei lavoratori disabili per coniugare le loro possibilità con le necessità dell’organizzazione nella quale sono impiegati.
di Damocle Garzarelli (Consulente del Lavoro)
Ancora oggi, molti ostacoli impediscono ai soggetti con disabilità di fruire dei propri diritti e libertà personali e, quindi, di una piena partecipazione alla vita sociale, a tal punto da ammettere, che molte sono state le azioni intraprese dal Legislatore italiano, volte a cercare di realizzare una piena integrazione di tali soggetti. Fra queste azioni troviamo una serie di norme che riconoscono diversi diritti ai portatori di handicap che lavorano. Di seguito si analizzano le principali tipologie di diritti.
Permessi ex L. 104/1992.
Ai sensi dell’articolo 33, comma 6, L. 104/1992, con rimando ai precedenti commi 2 e 3, i portatori di handicap grave possono chiedere ai propri datori di lavoro di usufruire di: − 2 ore di permesso giornaliero retribuito; − 3 giorni di permesso retribuito. Le 2 tipologie di permesso sono, chiaramente, alternative e non cumulabili e, nel caso in cui il disabile opti per la prima soluzione, avrà diritto a 2 ore di permesso retribuito per ogni giornata lavorativa, senza alcun limite mensile. Tuttavia, qualora l’orario di lavoro giornaliero sia inferiore alle 6 ore, al disabile spetterà solo un’ora di permesso giornaliero per ogni giornata lavorativa, invece che 2 ore. Come sopra accennato, in alternativa alle 2 (o 1 ora) di permesso giornaliero, il disabile in condizione di gravità può optare per la fruizione di 3 giorni di permesso mensile retribuito e coperto da contribuzione figurativa. L’Inps, con circolare n. 133/2000, ha chiarito che, in linea generale, il tipo di permesso richiesto (a giorni o a ore), può essere senz’altro cambiato da un mese all’altro, previa semplice modifica della domanda a suo tempo avanzata, e non, in linea di massima, nell’ambito del singolo mese di calendario. Tuttavia, la variazione da giorni a ore, o viceversa, può essere eccezionalmente consentita, anche nell’ambito di ciascun mese, nel caso in cui sopraggiungano esigenze improvvise, non prevedibili all’atto della richiesta di permessi. Tali esigenze vanno, però, opportunamente documentate dal lavoratore. Esempi di conversione dei permessi da orario a giornaliero.
Lavoratore con orario giornaliero lavorativo di 8 ore per 5 giorni alla settimana.
ESEMPIO 1 Si suppone che il disabile in condizione di gravità abbia già beneficiato nel mese di riposi orari per 20 ore (2 ore al giorno per 10 giorni) e, successivamente, documenti la necessità di utilizzare i giorni in luogo dei restanti permessi orari. Le 20 ore di permesso fruite vanno convertite in giorni, con eventuale arrotondamento all’unità inferiore se la frazione di giorno è pari o inferiore allo 0,50, ovvero all’unità superiore se la frazione supera lo 0,50: 20 ore : 8 = 2,50 gg (che vanno arrotondate per difetto) Il lavoratore ha, quindi, fruito di ore corrispondenti a 2 giorni e può chiedere ancora 1 giorno di permesso senza diritto a ulteriori permessi orari nel mese.
ESEMPIO 2 Si suppone che il disabile in condizione di gravità abbia già beneficiato nel mese di riposi orari per 24 ore (2 ore al giorno per 12 giorni) e, successivamente, documenti la necessità di utilizzare i giorni in luogo dei restanti permessi orari. Le 24 ore di permesso fruite vanno convertite in giorni, con eventuale arrotondamento all’unità inferiore se la frazione di giorno è pari o inferiore allo 0,50, ovvero all’unità superiore se la frazione supera lo 0,50: 24 ore : 8 = 3 gg Il lavoratore ha, quindi, fruito di ore corrispondenti a 3 giorni, per cui non può chiedere per quel mese giorni di permesso ulteriori. Conversione dei permessi da giornaliero a orario Lavoratore, con orario giornaliero lavorativo di 8 ore per 5 giorni alla settimana.
ESEMPIO 3 Si suppone che il disabile in condizione di gravità abbia già beneficiato nel mese di 2 giorni di permesso e, successivamente, documenti la necessità di utilizzare il giorno restante in permessi orari. Quel lavoratore quel mese potrà fruire di 8 ore di riposo, in luogo del giorno di permesso che non intende più utilizzare.
ESEMPIO 4 Si suppone che il disabile in condizione di gravità abbia già beneficiato nel mese di 1 giorno di permesso e, successivamente, documenti la necessità di utilizzare i 2 giorni restanti in permessi orari. Quel lavoratore quel mese potrà fruire di 16 ore di riposo, in luogo dei giorni di permesso che non intende più utilizzare. La sede di lavoro, Il comma 6 del citato articolo 33, L. 104/1992, stabilisce che il portatore di handicap in situazione di gravità ha diritto a scegliere, ove possibile, la sede di lavoro più vicina al proprio domicilio e non può essere trasferito in altra sede, senza il suo consenso. In merito si evidenzia che per la scelta della sede di lavoro il Legislatore ha usato l’inciso “ove possibile”, per cui il diritto del disabile grave a scegliere la sede di lavoro più vicina al proprio domicilio non costituisce un diritto soggettivo, assoluto o illimitato, ma è un interesse legittimo, quindi i datori di lavoro possono respingere le domande, purché possano dimostrare, a richiesta, che l’esercizio del diritto da parte del disabile possa ledere in maniera consistente le esigenze economiche e organizzative dell’azienda. Al contrario, il divieto di trasferire il lavoratore disabile grave senza il suo consenso è un diritto soggettivo.
Il congedo per cura agli invalidi.
I lavoratori mutilati e invalidi civili cui sia stata riconosciuta una riduzione della capacità lavorativa superiore al 50% possono fruire ogni anno, ai sensi dell’articolo 7, D.Lgs. 119/2011, sia in maniera continuativa che frazionata, di un congedo per cure per un periodo non superiore a 30 giorni. Per poter fruire di tale congedo è necessario che il lavoratore che si trovi nelle condizioni previste dalla norma: − presenti apposita domanda al proprio datore di lavoro; − alleghi alla domanda la richiesta del medico convenzionato con il Ssn o appartenente a una struttura sanitaria pubblica dalla quale risulti la necessità della cura in relazione all’infermità invalidante riconosciuta. Il congedo in questione non rientra nel periodo di comporto e, durante tale periodo, il lavoratore non è tenuto a rispettare gli orari c.d. di reperibilità previsti per la malattia. Pertanto, è necessario documentare in maniera idonea l’avvenuta sottoposizione alle cure e, qualora il lavoratore si sia sottoposto a trattamenti terapeutici continuativi, a giustificazione dell’assenza può essere prodotta anche un’attestazione cumulativa. Durante il periodo di congedo, il dipendente ha diritto a percepire il trattamento calcolato secondo il regime economico delle assenze per malattia, ma l’indennità va sostenuta dal datore di lavoro. Infatti, a tal proposito il Ministero del lavoro, con la risposta all’interpello n. 10/2013, ha chiarito che il recepimento normativo dell’orientamento giurisprudenziale – che, riconoscendo la sussistenza di un nesso eziologico tra l’assenza del lavoratore e la presenza di uno stato patologico in atto, ritiene che l’assenza per la fruizione del congedo sia riconducibile all’ipotesi di malattia ex articolo 2110 cod. civ., con conseguente diritto al corrispondente trattamento economico – riguarda solo il meccanismo del computo dell’indennità, la quale, comunque, va sostenuta dal datore di lavoro e non dall’Istituto previdenziale. Sempre con lo stesso interpello il Ministero ha specificato che, in caso di fruizione frazionata dei permessi per cure agli invalidi, ai fini della corretta determinazione del trattamento economico corrispondente, le giornate di assenza dal lavoro vanno calcolate come un unico episodio morboso di carattere continuativo, in quanto connesso alla medesima infermità invalidante riconosciuta.