Bici e decrescita

Bici e decrescita

di Marco Tabellione

    

     Una delle teorie economiche più rivoluzionarie degli ultimi decenni, anche se spesso snobbata dagli economisti più eminenti, è quella della “decrescita felice” elaborata dall’economista filosofo francese Serge Latouche. L’idea di Latouche è di per sé semplice e quasi aritmetica: l’istanza di una concezione dell’economia come crescita continua è una contraddizione in termini, perché non può darsi una crescita illimitata su un pianeta che ha risorse limitate. Per questo sarebbe saggio e dunque utile, cioè economico, cominciare a considerare la possibilità di una decrescita come stile da adottare, con finalità di riduzione non solo delle produzioni, ma anche dei consumi, delle distese urbane, del tempo dedicato al lavoro, e via dicendo. In pratica ogni branca dell’agire umano potrebbe essere ribaltata prendendo come punto di riferimento la decrescita, che secondo Latouche diventerebbe felice perché ci consentirebbe di vivere ugualmente bene, se non addirittura meglio.

È evidente che la politica delle piste ciclabili rientra nel canone della decrescita. Si tratta di sostituire alle automobili, almeno per il traffico cittadino, le bici, spostando indietro la lancetta del progresso tecnologico, in pratica tornando ad una tecnologia precedente a quella del motore a scoppio. Nei paesi del nord Europa dove tale politica è stata attuata da almeno 40 anni i risultati sono evidenti. Le città hanno visto una riduzione drastica del traffico, dell’inquinamento, dello stress negli abitanti, e in generale dello spreco di tempo, energia e risorse.

Qualche anno fa l’Abruzzo fu coinvolto nel progetto denominato “Bike to coast”, un idilliaco tentativo di dotare l’intera costa abruzzese di un percorso ciclabile senza soluzione di continuità. Il progetto è a buon punto, e con piena soddisfazione oggi si può davvero programmare un viaggio in bici da un capo all’altro della costa abruzzese. In effetti il progetto aveva scopi più che altro turistici, e sicuramente ha raggiunto i suoi obiettivi e altri ne raggiungerà. Tuttavia, almeno per Montesilvano, nonostante la grande gratificazione donata dalla via ciclabile della riviera, si nota anche che le risorse impiegate per la pista ciclabile non hanno neanche lontanamente scalfito il problema del traffico e in generale dell’invivibilità del centro della cittadina, soprattutto se si tiene presente il percorso ad “elle” che collega corso Umberto con Via Vestina.

Si sa anche che molte scuole sono state dotate della figura del mobility manager (responsabile della mobilità), vale a dire referenti che sovraintendono allo studio del tipo di collegamento che alunni e docenti hanno tra le loro case e gli edifici scolastici. E ciò ovviamente con un occhio preferenziale per il settore ciclabile. Però nonostante tutte le buone intenzioni e i risultati raggiunti per una piccolissima fetta di popolazione, si deve ancora constatare che gran parte degli spostamenti avvengono mediante automobile e bus.

Ciò che manca, in effetti, è il cosiddetto “pettine”, vale a dire una rete ciclabile che colleghi la costa con l’interno, né si sa di progetti di tal genere a breve scadenza. Quindi da un lato la mancanza di infrastrutture adeguate rende praticamente inutile qualsiasi politica di incentivo all’uso delle bici, dall’altro ci si trova di fronte un castello tecnologico, costituito da auto a motore a scoppio, smog e stress da rumore, praticamente insormontabile.

Insomma la decrescita felice, che dovrebbe risultare più facile di una crescita più ansiogena e dispendiosa, risulta essere, almeno per le bici, ma ovviamente anche per molti altri settori, ancora un’utopia. È cioè un’utopia cercare di riportare l’evoluzione tecnologica un attimino indietro, a momenti della storia della civiltà in cui le scelte che si facevano erano dettate dal buon senso, dalla saggezza e dalla effettiva utilità. Oggi invece la cosiddetta economia dell’utilità, che si richiama oltre che ad Adam Smith soprattutto al padre dell’utilitarismo Bentham, ci continua a propinare come vantaggioso mettersi dentro una scatola di latta, infilarsi dietro altre scatole di latta, percorrere pochi metri in tantissimo tempo, solo perché il mondo della produzione delle auto (tra l’altro sempre più enormi) ha bisogno ci crescere e offrire un numero di prodotti quantitativamente sempre più numerosi. Continuiamo così! continuiamo pure a crescere, la paura però è che un giorno, superato il limite sopportabile dal pianeta e dagli esseri umani, ci accorgeremo che sarà ormai troppo tardi per fermarsi.

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