Non brucia la speranza
di Girolamo Savonarola
A Padova, nella famosa Cappella degli Scrovegni, è custodito uno dei più grandi tesori della pittura italiana del Trecento. L’autore è Giotto, ineguagliabile maestro dell’arte figurativa, ispiratore del Rinascimento, capace con il suo tratto di regalare capolavori artistici che narrano il rapporto tra Dio e l’uomo, sviscerando il senso della storia e dei singoli eventi. Tra questi dipinti uno ritrae un evento storico con particolare pregio e sapienza, raccontando del massacro degli innocenti ad opera del re Erode. Da un lato i sicari che eseguono con cinismo e senza alcuna pietà l’ordine del loro capo, dall’altro le mamme affrante dal dolore che difendono le loro creature dalla crudeltà del folle e chiedono con coraggio pietà per le vittime innocenti sperando di scongiurare un massacro che comunque si compirà. Proprio a questi bambini – ai Santi Innocenti Martiri, tra i primi santi della storia cristiana – è stata dedicata diversi anni fa la parrocchia di Montesilvano che sorge sulla prima collina di Santa Filomena salendo verso il Colle. Una zona residenziale tranquilla, abitata ma poco vissuta in termini di comunità, che trovava nella parrocchia in legno l’unico luogo di aggregazione oltre che di professione della fede cristiana. La storia si ripete. Prima l’attacco di Erode agli innocenti, adesso nella chiesa che porta il loro nome le fiamme ardono un luogo di culto. Quando l’Eterno decide di scendere nella storia umana e di incarnarsi nascendo bambino – quanto di più indifeso ci possa essere sulla Terra – subito qualcuno si infastidisce e reagisce brutalmente. Quando la Chiesa svolge la sua missione, predicando tolleranza e amore fraterno, qualcun altro non gradisce.
Quanto “fastidio” poteva dare quel bambino di nome Gesù? Quanto “fastidio” poteva dare una piccola parrocchia? Non c’è uno strumento per misurare l’intolleranza, qui c’è solo il desiderio di far prevalere la verità dei fatti. E i fatti sono i ricordi per chi in quella chiesetta ha celebrato un battesimo, per quanti bambini hanno frequentato il catechismo, per quanti hanno vissuto un’esperienza comunitaria, un intreccio di relazioni umani e quindi sociali che hanno dato un’identità a questo territorio oggi privo di un luogo simbolo, incancellabile nella memoria di tanti.
È il senso di smarrimento che ha pervaso tutti; è ormai una comunità orfana, privata con violenza della suo unico luogo simbolo. Era già accaduto nel marzo del 2013 che la chiesa prendesse fuoco diventando inutilizzabile. Ma la determinazione dei parrocchiani ha fatto sì che rapidamente riprendessero i lavori di ripristino e nel febbraio del 2014 tornò al suo splendore, piccola ma bella, con tocchi di rifiniture interne che la rendevano ancor più accogliente di prima. E così i circa 2.500 residenti di quella zona hanno potuto riaverla. Adesso, con due ulteriori incendi distanti l’uno dall’altro una settimana, è stata messa nuovamente in ginocchio. Lo sconcerto, inutile dirlo, è davvero grande.
Per quanti quell’edificio in legno l’hanno visto nascere nei primi anni Novanta, l’anno 2018 segna un triplo salto all’indietro. Ma sotto la cenere in molti son convinti che ci sia ancora un po’ di brace, quel tanto che basta per riscaldare i cuori, anche i più tiepidi, che difronte alle fiamme si risvegliano, perché il fuoco è sì simbolo di distruzione, ma può anche essere simbolo di rinascita.
I piccoli martiri sono innocenti, ma nessuno di noi, oramai adulto, è innocente quando avanza la distruzione, il deserto dei sentimenti, il crollo delle certezze che anche un luogo simbolo aiuta a costruire e a rinsaldare proprio ora che non c’è più