Sicurezza nelle strade: problema morale?

Sicurezza nelle strade: problema morale?

di Marco Tabellione

     Il problema della sicurezza delle strade, come in generale qualsiasi problema di sicurezza che dipenda dall’uomo, investe in senso generico quello del progresso e dell’evoluzione. Il che, d’altra parte, vuol dire ancora poco, perché bisognerebbe innanzitutto accordarsi su cosa si intende per progresso e sviluppo, e in secondo luogo cominciare a rivedere l’idea stessa di evoluzione. È evidente che il progresso a volte non riesce a seguire le vie, non solo della saggezza, ma neanche quelle della razionalità. Il rapporto che l’uomo intrattiene con i mezzi di locomozione è spesso un rapporto tendente al suicidio, o quanto meno va riconosciuto che c’è qualcosa di profondamente illogico nell’organizzazione dei collegamenti urbani ed extraurbani, ed in generale del traffico nelle nostre città.

Bisognerebbe, anche, cercare di andare alla radice di tanti paradossi che gravano sul sistema dei trasporti. È evidente ad esempio che la manutenzione ordinaria non è organizzata secondo una metodologia efficiente. Da anni, da decenni, ma è solo un esempio, ci siamo abituati a coperture di asfalto sia delle strade urbane sia di quelle provinciali che lasciano molto a desiderare, con buche, vibrazioni continue, sussulti, che deteriorano i mezzi, stressano i conducenti e in alcuni casi mettono anche a rischio la salute. E quanto ciò riguardi Montesilvano e le sue strade purtroppo non è azzardato notarlo.

Ciò dimostra che si fa fatica a mantenere efficiente il sistema viario, che però a sua volta ha creato delle esigenze così irrinunciabili, che si stenta a ipotizzare un mondo con una rete di trasporti meno fitta. E il problema forse è proprio qui, sta in una crescita continua di bisogni e sforzi tecnici per soddisfarli, crescita che segue ritmi che si stenta a mantenere. Forse occorrerebbe addirittura rivedere il senso, diciamo così, civico di certe esigenze di collegamento e soprattutto di velocità e quantità e frequenza di contatti. Forse bisognerebbe ragionare non più in termini di crescita, ma di qualità e sicurezza, e in fin dei conti benessere. Ridimensionare il sistema viario – ma anche molti altri sistemi complessi – per poterlo controllare meglio e fare in modo che non si trasformi in un boomerang orribile come è accaduto a Genova. E in fin dei conti chiedersi che cosa sia davvero il benessere, come raggiungerlo, ma soprattutto come mantenerlo.

Il problema della sicurezza delle strade dunque non dipende solo dalla manutenzione delle strade, che in questo periodo è purtroppo diventato il fulcro di tutto il discorso sul sistema dei trasporti. È legato ad una varietà di elementi e di fenomeni, che investono anche il versante culturale e finanche morale. Un altro fattore, e non di secondo piano, è infatti quello dell’educazione civica e stradale dei cittadini, siano essi utenti, siano essi costruttori, progettisti o altro. Così, in base anche a quest’ultimo punto, quello etico, si può affermare che si muore sulle strade per una serie articolata di concause le quali tuttavia rimandano ad una condizione di fondo comune, e cioè al fatto che manca una reale ed adeguata evoluzione civica e culturale. Manca in coloro che sovraintendono alla costruzione e alla manutenzione delle strade, almeno quando sottomettono il profitto all’etica del loro lavoro; manca nel cittadino, almeno quando non si rende conto della pericolosità di cattive abitudini come eccesso di velocità, distrazioni per smartphone o strumenti similari, non rispetto del codice; manca anche nelle autorità quando si fa leva solo sulle multe per sensibilizzare tutti coloro che viaggiano in strada, oppure su inchieste giudiziarie a posteriori inutili di fronte ai morti. E, infine, manca agli organizzatori delle nostre vite e quindi del nostro futuro, ditte e industrie che mirano a dare vita a mezzi sempre più veloci e grandi. Tutto ciò nel tentativo di accontentare un consumatore di automobili inebetito da propagande e messaggi pubblicitari in cui le auto, da mezzo di trasporto, vengono trasformate in status symbol o peggio in oggetti su cui proiettare le proprie aspirazioni di potenza e dominio.

In definitiva si vuole sostenere che solo cambiando il senso civico delle persone e l’idea che queste hanno del progresso potremo in futuro viaggiare più tranquilli, o magari non viaggiare affatto, e non dover registrare un numero così alto di vittime della strada. Purtroppo la partita, quella vera, non si gioca tanto mettendo in movimento la macchina della giustizia su ciò che doveva essere stato fatto e non è stato fatto, perché la giustizia arriva sempre dopo. Si gioca puntando sulla crescita civile, sul reale progresso, e sull’aumento di consapevolezza delle persone, tutte, produttori, utenti, progettisti, lavoratori, esecutori. Per meglio illustrare questa posizione, che mira più a spingere a lavorare con le persone che con le cose, si può concludere con un illuminante racconto Zen, dedicato ad una enigmatica figura di maestro. Leggiamo: “Il maestro accoglieva con gioia i progressi della tecnologia ma era profondamente consapevole dei suoi limiti. Quando un industriale gli chiese quale lavoro facesse rispose: «Sono nell’industria della gente». «E che sarebbe, se permetti?», chiese l’industriale. «Guarda te stesso», disse il maestro. «I tuoi sforzi producono cose migliori; i miei gente migliore». Ai suoi discepoli disse poi: «Lo scopo della vita è il fiorire delle persone. Al giorno d’oggi la gente sembra maggiormente interessata al perfezionamento delle cose».”

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