NEL CONTINENTE NERO – SLCF Luglio 2018

NEL CONTINENTE NERO

di Mika

Nella eterogenea vastità, geografica e culturale, del continente africano, c’è spazio per sanguinarie lotte interetniche, per caleidoscopici paesaggi, per la natura selvaggia, per la barbarie umana, per la superstizione e la verità, per la spensieratezza e per i tramonti.

IL RE LEONE (USA, 1994) regia di Roger Allers e Rob Minkoff. Riconoscimenti: Oscar e Golden Globe 1995 per miglior colonna sonora ad Hans Zimmer e miglior canzone a Elthon John e Tim Rice.

È il 32° lungometraggio Disney, basato su un soggetto originale che trae ispirazione da episodi biblici e dall’Amleto. Racconta la storia, la nascita, la crescita e la riconquista del trono da parte di Simba, erede designato alla rupe dei Re, scalzato dal perfido zio Scar. Nel film si celebra la vita, la natura ed il delicato equilibrio che lega alla terra le creature viventi, sottolineando come la vita sia fatta di contrasti – l’inevitabile lotta tra luce ed ombra, tra bene e male, tra prede e predatori- e quanto sia importante saper cogliere nelle insidie della savana la giusta leggerezza per andare avanti – senza pensieri ed al grido di Hakuna Matata- e non lasciarsi sopraffare dagli eventi. Favoloso il lavoro fatto dal team di animazione della Disney che con l’uso della pixillation – sovrapposizione e moltiplicazione di immagini reali – regala allo spettatore dei paesaggi africani dettagliati e curati nella riproduzione delle luci e dei colori predominanti. Passati ormai più di vent’anni dall’uscita di questo classico dell’animazione riecheggiano ancora le note della memorabile colonna sonora che annovera la collaborazione di sir Elthon John per le due canzoni di punta, diventate delle vere hit: Can you feel the love tonight e The circle of life.

 

KIRIKÚ E LA STREGA KARABÀ (FRA, BEL, LUX, 1998) scritto e diretto da Michel Ocelot. Riconoscimenti: vince nel 1999 il Festival di Annecy. Note: colonna sonora a cura di Youssou N’Dour cantante senegalese e Ambasciatore delle Nazioni Unite.

Vi avviso: non vi aspettate qualcosa di paragonabile ai prodotti di animazione Disney o Pixar. Qui siamo in tutt’altra dimensione. Una dimensione dove la storia fa da padrona. È un racconto di formazione, di passaggio dalla fanciullezza all’età adulta che si raggiunge solo avendo sconfitto la paura e l’ignoranza e avendo compreso il valore del coraggio, della saggezza ed il potere della verità. Al protagonista Kirikù il compito di affrontare, in un percorso denso di prove, la strega Karabà e liberare il suo villaggio dal sortilegio che li ha privati dell’acqua. Le tematiche affrontate e raccontate come una fiaba riguardano la società africana, le radicate superstizioni, il ruolo della donna e l’autodeterminazione. Argomenti che vengono trattati con intensità e sensibilità e con il giusto corollario di un’animazione caratterizzata da colori vividi e fondali ricchi e vivaci che rendono il film godibile seppur carente di quella “magia” a cui ci hanno ormai assuefatto le animazioni holliwoodiane.

HOTEL RWANDA (CAN, UK, ITA, ZAF, 2004) regia di Terry George, con Don Cheadle, Sophie Okonedo, Nick Nolte, Joaquin Phoenix. Note: un’indagine condotta nel 2008 da due giornalisti francesi sembra aver portato a galla dei particolari sconosciuti su Paul Rusesabagina che avrebbe preteso dai profughi del denaro per consentirgli di rifugiarsi nell’hotel da lui gestito.

Una storia vera di coraggio e determinazione. Le due doti che muovono lo spirito e l’operato di Paul Rusesabagina, direttore di una struttura di lusso che apre le porte del suo hotel ai profughi Tutsi in cerca di salvezza, mentre in Rwanda nel 1994 si assiste ad un genocidio interno tra Hutu e Tutsi, due etnie tra loro in conflitto. Una storia su cui l’occidente ha chiuso gli occhi, una tragedia ed un massacro dimenticati poiché avvenuti in un territorio dove non ci sono grandi interessi da coltivare e che ha portato al massacro e alla morte di oltre un milione di Tutsi per mano dei connazionali Hutu. Una follia omicida che non conosce ragioni e che ci viene raccontata dalla regia con stile asciutto e didascalico che conferisce peso, risalto ed intensità all’orrore emotivo di questo pezzo di storia recente. Una storia che Hollywood non poteva lasciarsi scappare per la sua capacità intrinseca di fare breccia nel pubblico, per il forte richiamo emozionale e per la valenza morale e sociale.

 

L’ULTIMO RE DI SCOZIA (UK, 2006) regia di Kevin McDonald, con Forest Whitaker, James McAvoy, Kerry Washington, Gillian Anderson. Riconoscimenti: Oscar e Golden Globe 2007 per miglior attore a Forest Whitaker.

In bilico tra documentario e fiction, e per lo stile delle riprese -per lo più girato con camera a mano- e per il taglio della sceneggiatura che mixa le testimonianze raccolte in Uganda dal regista -premiato documentarista- con le vicende narrate dal romanzo di Giles Foden, questo film ha consacrato Whitaker nell’olimpo dell’Academy per la sua folle interpretazione del dittatore Amin Ada. Il film si snoda tra due personaggi comprimari e sull’evoluzione del loro rapporto che passa da complicità ad antitesi: il medico Garrigan, arrivato in Uganda come volontario, diventa medico personale, confidente e consigliere del sanguinario e crudele dittatore salito al potere nel 1971 con un colpo di stato e rimastovi fino al 1979. Garrigan sarà complice e testimone delle violenze delle torture perpetrate da Amin Ada sulle etnie di religione induista e cristiana. Gli attori hanno da gestire personaggi scomodi, complessi e controversi. Nella cornice africana ugandese si intrecciano realtà storica ed immaginazione sublimati dalla forza recitativa del cast, su cui, su tutti, si impone Whitaker dominando il film.

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