Povertà e ricchezza: una riflessione

Povertà e ricchezza: una riflessione

di Marco Tabellione

 

C’è una frase, fra le tante rivoluzionarie di Gesù Cristo, con la quale credo che non valgano sotterfugi o escamotage: “E’ più facile che un cammello entri nella cruna di un ago che un ricco in paradiso”. Da sempre mi sono chiesto come abbiano fatto molti a convivere con questa frase, il cui significato inequivocabile non lascia dubbi riguardo al suo riferimento morale. Certo Gesù si riferisce al Paradiso, e dunque pronuncia quelle parole da una prospettiva che potremmo definire religiosa. Tuttavia l’affermazione è così radicale che non possono essere trascurate le sue implicazioni etiche, e non si può non leggere l’idea suggerita dal Cristo come proiettata non solo verso l’aldilà, ma anche verso l’al di qua, ed assumere infine un’importanza valida anche per i laici e persino per gli atei.

Di fronte a tale frase dunque non solo non sembrano avere senso le proteste che sorgono sulla presenza di mense per i poveri in zone non considerate idonee, come ultimamente è accaduto anche a Montesilvano. Diventa insensata oltre che chiaramente immorale e irreligiosa anche ogni forma di società basata su una eccessiva sperequazione tra ricchezza e povertà. La ridistribuzione della ricchezza, e cioè l’abbattimento delle attuali differenze abissali tra ricchissimi e poverissimi, dovrebbe essere una delle mete della civiltà, dovrebbe essere un fine da raggiungere.

Anzi, si può ben dire che quella della ridistribuzione della ricchezza appare essere come una delle questioni fondamentali con cui l’umanità, le nazioni e l’Occidente dovranno avere a che fare. Ma questa che sembra una tematica unicamente religiosa, e inoltre non può essere liquidata neanche dal punto di vista morale perché, come detto, contiene delle verità valide anche per gli atei, investe tuttavia anche il campo della logica e della razionalità. Nel senso che appare molto più razionale e logico un mondo in cui le ricchezze siano più equamente distribuite, un mondo in cui tutti possano condurre un’esistenza dignitosa, in confronto a questo nostro mondo dove una percentuale piccolissima dell’umanità possiede il 90 per cento delle risorse. Facciamo un esempio, speriamo non banale. Se si dispone di quattro sedie e vi sono quattro persone che aspirano a sedersi, la soluzione più ovvia e razionale che si possa adottare è quella di dare una sedia a ciascuno, anche perché è ovvio che una persona sola non può utilizzare due sedie contemporaneamente, mentre è quello che appunto accade nella realtà dell’uomo, dove c’è chi dispone di sedie a non finire e chi non ne ha nemmeno una.

Tutto questo discorso, ripeto forse banale, per dire però che la ridistribuzione della ricchezza appare oggi giorno una delle scelte di civiltà piàù importanti che l’umanità si trova a dover compiere. È un po’ la scommessa per gli anni futuri, che va a sommarsi all’altra scommessa fondamentale per l’umanità, quella ecologica, quella cioè della salvaguardia del nostro pianeta. Dunque da un lato civiltà vorrà dire vivere in una terra salvata dall’attuale sistematica distruzione operata dall’uomo e dalle sue esigenze di progresso, dall’altra vorrà dire consentire a ciascun essere umano una vita dignitosa, legata a parametri minimi di ricchezza, istruzione, assistenza sanitaria, alimentazione e abitazione.

Tutto ciò per ribadire che la difesa dei più deboli, che le associazioni di volontariato cercano di portare avanti quotidianamente, non risponde solo a esigenze religiose o morali, non è solo un fatto di bontà e non è neanche solo un’esigenza di civiltà. È un’attività che può portare benefici a tutti. L’eliminazione dei disagi sociali, la cancellazione della povertà, il miglioramento delle condizioni di vita dei più poveri, renderebbero sicura la vita dell’intera società, e l’esistenza di tutti diventerebbe sicuramente più tranquilla. Un solo esempio che in questi mesi sta mettendo a dura prova la nostra nazione: l’emigrazione. In fondo sono proprio la povertà, la miseria, le malattie, e in generale un tenore di vita bassissimo che costringono migliaia di persone a lasciare il loro paese e a riversarsi sulle coste della penisola: la loro povertà finisce dunque per riverberarsi anche sulla nostra vita. Combattere la povertà di queste persone significherebbe perciò razionalmente migliorare anche la nostra vita.