Intolleranza, religione e umanità

di Marco Tabellione

 

Bruciare una chiesa forse perché le campane davano fastidio, forse per una tendenza a trovare nella violenza la soluzione a qualsiasi tipo di problema. In ogni caso l’incendio alla chiesetta in legno di Montesilvano colle fa sorgere ancora una volta impellente il problema dell’intolleranza religiosa e del rispetto della fede altrui. Non che l’episodio debba necessariamente essere riportato ad uno sfondo di razzismo religioso, perché le motivazioni del dolo devono ancora essere chiarite. Tuttavia che si possa prendere di mira una chiesa in legno, inevitabilmente spinge a riflettere sul significato profondo della libertà religiosa e di culto. Una riflessione imposta dal mondo contemporaneo, da un’età in cui più che in passato comunità e popoli diversi si trovano a vivere a contatto, in cui è molto facile avere come vicini persone di fede differente, e dove il rispetto della libertà altrui è ancora più doveroso e necessario che in passato. In un passato dove più omologata e omogenea appariva la società dal punto di vista religioso, etnico, e genericamente culturale, e dove dunque ignoranza e campanilismo avevano, per forza di cose, più presa sulla popolazione.

A volte sconcerta non tanto la violenza immorale che ogni intolleranza scatena e si trascina dietro, quanto l’energia che essa mette in campo. L’elevata aggressività che si registra in ogni forma di intolleranza appare inspiegabile, se non si fa riferimento alla sfera degli interessi egoistici e di parte. Il razzismo, il radicalismo religioso, il giudizio e pregiudizio sommario, muovono da un desiderio di difesa, di protezione che determina poi la mancanza di comprensione della condizione altrui, condizione che a volte, per assurdo, non è né lontana né diversa.

Probabilmente il perdurare incontrastato di forme di rifiuto dell’integrazione, del contatto e dell’accettazione della convivenza con culture altre e diverse, nasce da un’idea di uguaglianza che appare errata, intrisa di equivoci. Uguaglianza non vuol dire omologazione, omogeneizzazione, vuol dire proprio il contrario, uguaglianza è accettazione del diverso, vuol dire riconoscimento che ci sono differenze, ma che queste non possono mettere in discussione i diritti delle persone, a cominciare dai due diritti fondamentali, il diritto alla vita e alla libertà, per finire, anzi per non finire, con il diritto alla libertà di culto.

Sinceramente credo che, per poter cominciare a costruire un futuro in cui le barriere religiose, etniche e culturali non siano più così invalicabili, occorra accettare la diversità senza sé e senza ma, e imparare anche ad accoglierla, ad accettare cioè società future multietniche, anche perché questo futuro è già qui e non si può rifiutare, è la storia che ce lo impone e ce lo chiede. Ci chiede di adeguarci, approvare, quindi non solo rassegnarsi, ma anche saper cogliere le incredibili opportunità che possono sorgere dal connubio di più civiltà.

Aldous Huxley, scrittore a volte assimilato a Orwell di 1984, in un suo vecchio saggio, La filosofia perenne, ci dà un’idea di religione nuova, e realizza un connubio incredibile fra tutte le religioni, giungendo ad ipotizzare una sorta di spiritualità superiore, ottenuta appunto legando fra di loro le parti migliori di tutte le religioni. Ma questo connubio che Huxley limita alle religioni e alle filosofie spirituali, credo in tutta sincerità che possa prospettarsi anche a livello globale, culturale, immaginando un nuovo grado di evoluzione offerto proprio dal contributo unico e irripetibile di culture diverse e in passato estranee, se non addirittura nemiche. Utopia? Chissà, per il momento è bello crederci. O meglio dobbiamo crederci, se vogliamo cominciare a prospettare un mondo nuovo, in cui la cultura occidentale e globalizzante non sia l’unica a dettare legge, a dettare costumi, stili di vita, e a imporre a livello mondiale gli errori che essa, la civiltà occidentale, ha purtroppo compiuto in tremila anni di dominio.

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