L’angolo della poesia

A cura di Gennaro Passerini

 Oggi vi propongo la poesia della poetessa Antonietta Siviero classificata al terzo posto del concorso nazionale “Il Grande Sorpasso” sancito nella premiazione del 27 Aprile 2024. Il dolore descritto in questa lirica raggiunge valori così alti che ne sarete coinvolti. Sentirete la condizione altrui come se fosse la vostra. Vi immedesimerete a tal punto da essere assaliti da una profonda e travolgente emozione. Il commento è affidato alla preziosa penna della prof.ssa Palma Crea Cappuccilli.

 STAVA LA MADRE

Stava la Madre ai piedi della Croce,

stracciata l’anima dai chiodi nella

carne del Figlio conficcati,

squarciate le membra dal battere furioso di

colpi sulla piastrella dei lunghi ferri dalla punta tagliente.

Oh Madre, Madre santa, quanto sacre, angosciose

le lacrime tue sul Cranio versate.

Madre, quant’odio, quanti chiodi ancora,

carne innocente trafiggono,

quanti semi imbavagliati dalla ruggine ammuffiti,

quanto tetano il mondo infetta,

quanti Caini di sangue assetati.

Ed è pioggia cruente il pianto sulla

roccia di Abramo, di rosso chiazzato,

sacerdote il fiume, la veste imbratta.

Ed è strage di fiori, capolini recisi carminio stillanti,

di campi disseccati, di notti dannate

da fosforo bianco letalmente illuminate,

di urla strazianti di madri che più

alte delle bombe nell’aria riecheggiano.

E Tu stai, Madre, non sette, mille e più spade

a pezzi il tuo petto fanno.

Gocciole tue di sangue sui tuoi figli che

In pozzanghere di dolore a mucchi giacciono,

stille amare dai divini tuoi occhi, copiose

su papaveri sbiaditi dal livore calpestati, scivolano.

Stava la Madre e ancora sta, nel suo peregrinare, pace chiede.

Pace suono dolce di parola, miele dell’esistenza.

Arca dell’Alleanza, accordo ignorato,

muri eretti nel tempo da potenti nella polvere dell’indifferenza.

E sta la Madre, da spine il cuore lacerato.

Chiatta vivente, ancora, l’umanità, nella folle tempesta

di mostri senza coscienza a picco cola.

E stava la Madre e ancora sta.

Stava ai piedi della croce la Madre,

sta la Madre di dolore fasciata ai piedi delle croci del mondo.

 

di Palma Crea Cappuccilli

Stavano presso la croce di Gesù sua madre, la sorella di sua madre, Maria di Clèofa e Maria di Màgdala. Gesù allora, vedendo la madre e lì accanto a lei il discepolo che egli amava, disse alla madre: «Donna, ecco tuo figlio!». Poi disse al discepolo: «Ecco tua madre!». E da quel momento il discepolo la prese nella sua casa. “(Giovanni 19, 25-27).

Con queste parole, proferite in punto di morte, Gesù consegnò sua madre all’Umanità e la rese Madre di tutte le madri.           .

Il titolo della poesia in esame, nella sua traduzione in italiano, rimanda direttamente al più noto Stabat Mater di Jacopone da Todi, una preghiera del XIII secolo, nel cui incipit si legge la stessa scena con cui si apre la nostra poesia.

«Stabat Mater dolorósa

iuxta crucem lacrimósa,

dum pendébat Fílius.

Cuius ánimam geméntem,

contristátam et doléntem

pertransívit gládius.”

I termini, epiteti stereotipi rimasti per sempre connessi al nome di Maria, dolorosa, lacrimosa, invitano a una meditazione sulle sue sofferenze di madre durante la Passione e la crocifissione di Cristo.

La figura di Maria addolorata ha ispirato nel corso dei secoli, grandi pittori (da Gentile da Fabriano al Perugino, da Giotto a Caravaggio, Mantegna, Michelangelo, Gabriel Wuger, Roger Van der Weiden), musicisti (Scarlatti, Vivaldi, Pergolesi, Haydn, Boccherini, Rossini, Verdi, fino al grande Luis Bacalov (Estaba la madre, 2004) e Stefano Lentini (che ha composto lo Stabat Mater per il film The Grandmaster del regista cinese Wong Kar-wai)

Il dolore di una madre, il più puro, il più struggente, il più profondo dei sentimenti umani, ha accompagnato sempre la storia dei popoli ed è stato oggetto di sublimazioni ed esaltazioni artistiche irripetibili. Nelle Supplici di Euripide sono proprio le madri che rivendicano la restituzione dei cadaveri dei figli morti in guerra, sono loro a scandagliare con coraggio e abnegazione le ragioni politiche e sociali che hanno portato a morte i loro figli. E non sono state le mamme di Plaza de Majo, nell’Argentina della “guerra sporca”, le uniche a creare un movimento di protesta contro l’esercito e a chiedere, coi loro fazzoletti bianchi annodati in testa e le foto in mano dei loro figli “desaparesidos”, di riaverli o solo rivederli? Come non ricordare il movimento Women Wage Peace che ha portato avanti l’obiettivo di far sentire la voce di migliaia di madri, israeliane, ebree, arabe, palestinesi, siriane. di destra di sinistra di centro, di tutte le madri del mondo! E ancora i movimenti delle mamme russe ed ucraine, perché ancora sono troppe le mamme” fasciate di dolore ai piedi delle croci del mondo”

E’ in un certo senso il tema di Madre coraggio di B. Brecht,  (1938-39) scritta alla vigilia della II guerra mondiale, in cui la guerra svolge il duplice ruolo di salvezza e distruzione: permette a madre coraggio di tamponare la povertà, ma le toglierà i figli uno dopo l’altro. La guerra è voluta dai “grandi”, “muri eretti nel tempo da potenti nella polvere dell’indifferenza”, ma colpisce la vita della gente comune, inerme, donne e bambini innocenti.

Il nodo cruciale della lirica che vi presentiamo, e di conseguenza la sua chiave di lettura, è da ricercare quindi in quell’ardito passaggio al presente “Stava la Madre, e ancora sta”, in cui si legge la volontà dell’autore di dare alla lirica stessa un valore eterno e universale, nella sublimazione del dolore di una madre che ha perso un figlio e nella condanna totale della guerra.

Oggi come allora, come sempre, nel cammino dell’Umanità, ci sono madri che piangono i loro figli, “strage di fiori/ capolini recisi carminio stillanti” perché gli uomini, nella loro lunga storia non hanno saputo fare a meno della guerra, che un tempo uccideva con frecce e fucili, oggi con “fosforo bianco” e con “missili intelligenti” (!!!) La guerra è la più terribile delle vicende umane, stravolge e cancella il senso stesso della vita, distrugge ed annienta esseri umani   che “in pozzanghere di dolore a mucchi giacciono”, “papaveri sbiaditi dal livore calpestati”, vede genitori seppellire i figli. “In tempo di pace sono i figli a seppellire i genitori, ma in tempo di guerra sono i padri a seppellire i figli” (Erodoto, Storie, I, 87). E ancora oggi, nonostante il lungo cammino della civiltà, ’ l’Umanità, nella folle tempesta di mostri senza coscienza a picco cola”.

L’autore, nella rappresentazione della mater dolorosa, dimostra di attenersi fedelmente alla simbologia che accompagna il culto dell’Addolorata, facendo riferimento ai particolari che meglio identificano questa immagine: una, cinque o sette spade conficcate nel cuore, “non sette ma mille spade a pezzi il tuo cuore fanno”, la veste del lutto viola, rosso sangue o nera, “di rosso chiazzato, sacerdotale il fiume, la veste imbratta”, il viso rigato dal pianto “le lacrime tue sul Cranio versate” e ancora “è pioggia cruenta il pianto sulla roccia di Abramo”, “stille amare dai divini tuoi occhi, copiose…scivolano” (soprattutto nelle statue spagnole, spesso il viso della Madonna è solcato dalle lacrime).

La figura della madre è topos della letteratura di ogni tempo e ogni luogo, come sopra accennato, ma la presentazione delle figure materne varia non solo in base al contesto storico culturale, ma anche in base all’individualità artistica e caratteriale.

Diventa mater dolorosa in Foscolo (“In morte del fratello Giovanni”) mentre ormai ormi avanti con gli anni in un monologo delirante parla con il figlio morto. “parla di me col tuo cenere muto”.

In ogni caso costituisce, nel momento della sofferenza, un punto di riferimento saldo, un nido insostituibile che aiuta a vincere l’inquietudine e “il male di vivere”.

La sintesi in questo pensiero bellissimo nel romanzo Casa Howard (Garzanti, traduzione di G. Lonza) di E. M Forster,

Sono sicuro che se le madri delle varie nazioni potessero incontrarsi, non ci sarebbero più guerre.”  perché “Per ogni soldato che imbraccia il mitra, per ogni colpo di cannone, mille donne abbracciano i loro figli. A Hiroshima, a Nagasaki, a Dresda, dove le città e gli uomini sono diventati cenere, nell’ultimo istante mille madonne stringevano fra le braccia un bambino “(dal Web).

Oggi ci sono nel mondo più di cento guerre. Non è difficile immaginare quante vite spezzate e quante madri ancora ai piedi delle croci, mentre l’uomo, ingranaggio di un progresso tecnologico inarrestabile, paradossalmente è arrivato sugli altri pianeti per cercare vita altrove, ha raggiuto traguardi che appena ieri sembravano fantascienza, e si fanno miracoli in campo medico, per salvare disperatamente anche solo una sola vita.

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