E se domani…
di Pasquale Sofi
Mancano ormai meno di due mesi al termine del mandato di Sergio Mattarella quale Presidente della Repubblica e l’operato dei nostri politici, già da qualche tempo, è rivolto sempre più verso la ricerca del nome del successore, da tenere rigorosamente segreto per evitare, come spesso succede, che le candidature della prima ora vengano bruciate. E mentre l’attività parlamentare sembra sospesa in attesa del mese di gennaio, si avviano contratti segreti, si studiano accordi e strategie, ma soprattutto si tralasciano i problemi seri del paese per accreditarsi personalmente o come partito nei confronti di quello che sarà il nuovo Capo dello Stato. Eppure il Presidente uscente ha dato in ogni circostanza ampie dimostrazioni, a differenza di tanti suoi predecessori, con quale rigore, tempra morale e correttezza istituzionale si debba concepire e vivere il ruolo di primo cittadino garante del dettato costituzionale e scevro da condizionamenti di parte. Conciso nei suoi discorsi apparentemente ripetitivi o monocorde, ma icastici nella sostanza, è riuscito a ottenere il rispetto e l’ammirazione dei capi di stato dell’intera Europa, e non solo. Chi gli succederà sarà capace di perpetuare i suoi comportamenti? Non è che in giro ci sia tanto da scegliere… Ad oggi una sola candidatura è certa: quella di Silvio Berlusconi. Indisponibile quale candidato di bandiera (sarebbe come le cosiddette lepri in atletica, che devono alimentare la corsa nel primo tratto per poi abbandonare la competizione cedendo la leadership ad un competitor più quotato) per il suo centrodestra, si è autocandidato ed è in cerca (evidente eufemismo vista la sua storia pregressa ricca di Scilipoti e c.) di voti a tutto campo. Con il centrodestra compatto gli servirebbero poco più di una cinquantina di voti per essere eletto dopo il quarto scrutinio (dopo tre scrutini ove necessita la maggioranza qualificata, è sufficiente la maggioranza semplice). Nel caso in cui fosse Silvio Berlusconi il successore di Sergio Mattarella, gli italiani sarebbero ridicolizzati a livello planetario e non tanto per essere stato Berlusconi pluricondannato (sappiamo quanto una Magistratura “deviata” abbia infierito contro di lui perché autentico leader politico e, complessivamente non ci farebbe una gran bella figura nel vederlo eletto al Quirinale da un potere antagonista) ma perché sarebbe facile, soprattutto all’estero, additarlo come il Presidente del Bunga Bunga….
L’altro autorevolissimo candidato al Colle che rappresenterebbe l’autentico successore di Mattarella sul piano etico e morale (per non citare l’altissimo prestigio internazionale di cui gode) è l’attuale Presidente del Consiglio Mario Draghi, senza ombra di dubbio il più quotato tra i potenziali candidati per leadership, carisma e capacità manageriali; però in troppi, anche per interessi di bottega o ambizione personale, premono affinché l’ex presidente della BCE rimanga a Palazzo Chigi. Obiettivamente sarebbe una figura eccellente anche nel coprire questo ruolo come sta attualmente dimostrando, al punto che in tanti cercano di insistere con il Presidente uscente per provare a convincerlo ad accettare una ricandidatura a tempo, utile per consentire al Presidente del Consiglio di condurre il PNNR fino al termine naturale della legislatura per poi magari, avviare una staffetta. Tale posizione sarebbe la più auspicabile da parte dei più e sembra che l’anziano Presidente, seppur stanco, avrebbe accettato se il parlamento compatto lo avesse richiesto; ma la posizione contraria della Meloni (che vorrebbe capitalizzare l’opportunità del vento favorevole) rende vana tale ipotesi. Personalmente, fossi nei panni di Draghi, non avrei dubbi: tra Palazzo Chigi e il Palazzo del Quirinale opterei per quest’ultimo senza tentennamenti di alcun genere. La motivazione è banale: Mario Draghi non ha appartenenza politica e pertanto oggi, essendo leader di tutti e di nessuno con quale seguito politico sarebbe in grado di affrontare una delle due elezioni? Per il Colle le rituali forche caudine dei franchi tiratori sarebbero ben poca cosa rispetto agli appetiti dei leader del centrodestra e non solo, ansiosi di tornare a guidare il governo e a gestire il potere; l’antagonismo tra la Meloni e Salvini lo sta a dimostrare. Certamente, come sostiene lo stesso Berlusconi, è allucinante solo immaginare alla guida del governo del paese, sia l’alleato principe della Le Pen in Europa che la leader del Partito dei conservatori e dei riformisti Europei. E certamente non saranno in pochi gli elettori italiani che, a quanto emerge dai sondaggi, non abbiano ben recepito gli errori e gli orrori conseguenti alle risultanze delle elezioni del 2018 e che si accingono a ripercorrere la stessa strada. E tornando a Draghi, a ben riflettere, rischia di rimanere con il cerino in mano sia per il Quirinale che per Palazzo Chigi, ma i rischi maggiori si prospettano per quest’ultimo.
Circa gli altri aspiranti al soglio Presidenziale che normalmente si configurano in una ventina di candidati all’incirca, furono poco meno infatti, a detta del Presidente Napolitano, al tempo dell’elezione di Sergio Mattarella coloro che agognarono all’ambita meta. Oggi ai soliti conosciuti nomi della vecchia nomenklatura vanno aggiunti la Presidente del senato Maria Elisabetta Alberti Casellati e l’ex premier e attuale Commissario europeo Paolo Gentiloni; E certamente ci ritroveremo il dottor sottile Giuliano Amato, un uomo per tutte le stagioni che Silvio Berlusconi avrebbe già voluto al posto di Mattarella anni addietro e, non riuscendovi, proprio per lui ruppe il Patto del Nazareno, che purtroppo per gli Italiani, costò il referendum costituzionale che consegnò la Repubblica Italiana al bieco regionalismo di oggi. Eppure a quel tempo qualcuno dopo la vittoria del No ebbe a dire “Abbiamo salvato la Costituzione”. E non solo! Con il referendum furono bocciati gli unici due leader che l’Italia annoverava a quel tempo; cominciarono infatti la parabola discendente sia Renzi, che il referendum lo aveva promosso, sia Berlusconi che con il Patto lo aveva prima avallato e poi ricusato. Tra gli altri potenziali candidati possiamo segnalare, i nomi di Marcello Pera che potrebbe compattare il centro destra in caso di passo indietro (molto difficile) di Berlusconi, oppure dell’outsider (ma molto outsider) Pier Ferdinando Casini quale veterano del Parlamento; ma quest’ultimo essendo candidato della prima ora credo che non abbia molte chance. Da non sottovalutare tra le candidature femminili quella di Marta Cartabia; già stimata Presidente del CSM, (la sua controversa riforma non poteva trovare il plauso del M5s ma sembra il frutto di una mediazione che potrebbe accontentare larga parte dei parlamentari). Anche la sempre verde Emma Bonino avrebbe la saggezza e i giusti requisiti per seguire le orme di Sergio Mattarella.
Ma in quest’ultimo periodo si è levata decisa la voce della “pasionaria” del centrodestra nostrano Giorgia Meloni che, con un eloquio fermo e più arrabbiato del solito ha urlato dall’alto di un palco “un patriota per il Quirinale”! A questo punto la domanda nasce spontanea (come direbbe il vecchio Lubrano) come si consegue il titolo di patriota? E chi lo rilascia? Sarà, come spesso succede in questi casi, che della cosa sarà investita l’Università! Oppure sarà un gruppo elitario di probi viri selezionato tra i discendenti dei Giuseppe Mazzini, Ciro Menotti, Silvio Pellico, Santorre di Santarosa, Carlo Pisacane etc.. ad assumersi l’ambito onere? Solo che l’On Meloni confonde lo schieramento di parte con l’alta personalità necessaria a rappresentare l’Italia nelle dinamiche sociali e politiche, sia nei contesti nazionali che in quelli internazionali, perché nulla esclude che tra i ranghi di quelli che lei definisce patrioti (come tra quelli dei competitor) possano esserci tutte scartine.
Comunque vorrei ricordare a tutti che un’elezione, compresa quella del Presidente della Repubblica, può essere determinata anche da motivi contingenti: l’esempio è dato dall’elezione di Oscar Luigi Scalfaro che da outsider proposto dai radicali di Pannella si trovò letteralmente catapultato al palazzo del Quirinale dall’onda emotiva dell’attentato di Capaci ove trovò la morte Giovanni Falcone, assieme alla moglie e alla sua scorta.