Il patriota Antonio Tripoti

 

di Pasquale Criniti

Antonio Tripoti (Teramo, 6 giugno 1809 – Teramo, 21 ottobre 1872) è stato un funzionario e patriota italiano.

Rivelò molto presto un acceso sentimento patriottico che lo espose a persecuzioni, per cui fu costretto a emigrare in Francia appena diciannovenne, dove si arruolò nel corpo dei Lancieri, partecipando alla spedizione francese in Belgio nel 1831.

Aderì anche all’associazione dei Veri Italiani che operava in sintonia con la Giovine Italia di Giuseppe Mazzini.

Rientrato in Italia nel 1832, si diede alla propaganda antiborbonica a Napoli, che gli valse il confino a Chieti (1833), quindi il nuovo espatrio in Francia, a seguito dell’arresto di diversi cospiratori tra i quali il padre.

Egli stesso venne condannato in contumacia.

In Francia si unì in matrimonio con Giuseppina Thommasset.

Nel 1844 ottenne la grazia e rientrò in Italia.

Nel 1848 fu uno dei primi a organizzare la Guardia Nazionale, combattendo a Napoli, ma in seguito alla restaurazione dovette nuovamente fuggire.

Nel luglio 1849 si trovò a Roma nella difesa della Repubblica romana, ma dopo la sconfitta dei garibaldini dovette nuovamente fuggire prima in Francia, quindi in Spagna.

Nel maggio 1860 si trovò prima a Genova, quindi si recò a Napoli per unirsi ai rivoluzionari; successivamente fu destinato a Teramo con la nomina di maggiore della Guardia Nazionale; qui organizzò il governo provvisorio.

Nella villa Delfico a Montesilvano il 10 settembre 1860 partecipò a un’importante riunione con il conte Troiano De Filippis Delfico, Clemente De Caesaris, Ariodante Mambelli e molti altri famosi patrioti abruzzesi per pianificare l’insurrezione contro il potere borbonico.

Quindi insieme a Clemente De Cesaris, soprannominato il “Garibaldi d’Abruzzo”, riuscì a favorire l’avanzata delle truppe di Vittorio Emanuele II verso il Regno delle Due Sicilie convincendo il Comandante borbonico della Fortezza di Pescara e i suoi gendarmi ad arrendersi, senza spargimento di sangue, alla Guardia Nazionale di Chieti, poichè ormai Garibaldi era già entrato a Napoli e il re Ferdinando II si era rifugiato nella fortezza di Capua.

Prese parte alla battaglia del Macerone, scontro avvenuto il 20 ottobre 1860 presso il valico del Macerone, il passo appenninico che collega l’Abruzzo con il Molise, fra i reparti dell’esercito borbonico guidati dal generale Luigi Scotti Douglas e il IV Corpo d’armata dell’esercito piemontese guidato dal generale Enrico Cialdini.

Infine raggiunse la fortezza di Civitella del Tronto, che dopo una sanguinosa resistenza cadde il 20 marzo 1861.

Nominato Comandante dei Volontari del Gran Sasso, Antonio Tripoti ripristinò l’ordine nei dintorni di Isernia e liberò le prigioni di Rivisondoli, Roccaraso e Castel di Sangro.

Con lo scioglimento dell’Esercito Meridionale dei Volontari si dimise e venne nominato dal generale Enrico Cialdini ispettore della Guardia Nazionale Mobile, liberando la provincia di Teramo dal brigantaggio.

Nel 1862, quando ebbe termine la luogotenenza in Napoli, si ritirò a vita privata dopo aver riservato le sue migliori energie nella lotta per l’Unità d’Italia.

Anche i suoi due figli furono ferventi patrioti: Savino (1840-1882) fu volontario già nel 1859 nella guerra dichiarata all’Austria, Luigi (1846-1931) si arruolò nei garibaldini appena quattordicenne.

Per i servigi resi a favore dell’Italia Tripoti venne nominato Ispettore Forestale e ricoprì tale incarico sino alla morte.

La sua città natale lo ha ricordato con un busto bronzeo, realizzato da Raffaello Pagliaccetti, collocato nei giardini Gambacorta di viale Mazzini, e con l’intestazione di una via.

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